Giovani e futuro (2010)
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“Perché dovrei preoccuparmi delle generazioni future, in fondo loro cosa hanno fatto per me?”. Anche Woody Allen finì per annoiarsi del conformismo politically correct.
Eppure quel legame intraumano che ci ha concesso di esistere ha la potenza della forza di gravità. Ci proietta verso un orizzonte più ampio della nostra esistenza, verso qualcosa che sembra rivolgersi all’eterno.
I patrimoni, così volitivamente accumulati, si disperdono e finiscono in altre mani, note e ignote. Nelle “nostre” stanze echeggeranno altre voci.
La crisi che stiamo scontando rende drammatico questo ciclo, esentandoci dall’ottusità dell’automatismo del passaggio generazionale. “Le crisi sono davvero ciò che ancora non si è trovato di meglio, in mancanza di un Maestro” (di una nuova sovranità o di un nuovo ethos?).
Ma ben prima della crisi abbiamo visto fermarsi l’ascensore sociale, abbiamo letto l’ansia precoce da inutilità e la noia negli occhi di molti ragazzi.
Non ha senso generalizzare sul conflitto generazionale, né ci serve l’amarezza del Gattopardo: “Finché c’è morte c’è speranza”.
Forse l’immagine dei giovani serve agli adulti perché in essa trapela l’energia vitale un tempo posseduta e la durata stessa colma di promesse.
Intanto una parola occupa, come un rumore di fondo, la mente e attende di essere pronunciata. La parola è “restituzione”. Essa mostra l’assoluto dell’essenzialità che via via abbiamo barattato col suo opposto.
L’anima sorride a chi ha rinunciato al proprio nome per poter essere chiamato amore. La vita infatti è solo la virtù dell’incontro…prima di restituire anche quel nome.
Anno pubblicazione 2010
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