05Sep
Perché l’Intelligence
In uno scenario politico-economico iper competitivo non possiamo aspettarci troppa condiscendenza né dai paesi partner (UE) né tantomeno dalle nuove potenze con ambizioni neo imperiali.
Tutto ci chiede di ritornare alla cura di casa nostra iniziando dalle fondamenta, cioè dalla formazione di una nuova classe dirigente illuminata dal principio dell’interesse nazionale, visto che siamo incapaci di esprimere una visione di politica economica in grado di difendere la produttività e la stessa possibilità di creare e di riprodurre la ricchezza-benessere nel Paese. Tutto questo mentre la nostra proverbiale inconcludenza politica offre ottime occasioni di predazione.
Si dovrà ripristinare il nesso tra il meglio della cultura animi, orientata a una forte competenza disciplinare e al principio di autorità coinvolgendo le forze più sensibili e più avvedute che ci devono pur essere anche nel Paese che si reputa il meno ingenuo della terra a dispetto dei fatti.
Sarà necessario però essere selettivi, premiare il merito ed essere elitari nel senso più autentico del termine: esigere che sia il meglio della mente umana a edificare il nostro futuro.
Il merito è l’esito di una selezione che elegge un primato come nella competizione agonistica. Ma anche se si dice che “l’importante è gareggiare” nessuno darebbe le chiavi della città all’ultimo classificato.
Il Paese che disconosce il valore del merito spreca l’intera catena formativa compromettendo il suo futuro. Eppure tutti sanno che le chiavi della città non sono in buone mani.
“Lo Stato non è altro che gli statali”, recita un lemma della nostra prassi sfiduciaria che divide in campi avversi interessi e sintassi e che deprime ogni impulso tensivo o morale. Si oggettiva così l’impossibilità di costituire un sistema-paese, un insieme dove ogni parte sia funzionale a un’unità efficiente.
Il legame tra la parte pubblica e quella privata è però divenuto indispensabile dinnanzi al ritorno della storia. Un legame attualizzato proprio attraverso l’interdisciplina dell’intelligence economica, cioè la forma più razionale della strategia di politica economica che stringe in un vincolo significativo passato e futuro.
Il passato e il futuro come in ogni singola vicenda esistenziale confermano l’idea che per sapere chi si è veramente bisogna sapere ciò che si è stati e ciò che si vuole essere. Mentre nel presente convergono la necessità, il volere, le intuizioni, gli eventi e ogni bivio del possibile che si affaccia davanti a noi.
Ma oggi il presente è un presente assoluto, dove l’esistenza è schiacciata sulla sua perpendicolare, attraversata da pulsioni, emozioni e reattività, ridotta a tattica esistenziale, a dei “like”. Lo spettacolo mediatico occupa tutto il presente e vanifica la strategia, la forma estensiva del pensiero pensato, ci esenta (con dolci spinte) dalla memoria del passato e da ogni tensione fattiva. È vero però che chi più assiste meno vive.
Persino la storia, tanto incancellabile quanto irrimediabile, ora può essere interpretata opportunisticamente e addirittura negata (cancel culture) e il futuro declassato a un insignificante “non ancora”.
Se per saggiare il futuro è sufficiente conoscere cosa e come si studia nelle scuole, allora sarà necessario inventare al più presto un nuovo campo di studi che ci risvegli da quella forma di ipnosi che è il divisismo italiota e soprattutto che ricomponga la faglia degli interessi antagonisti tra la funzione di servizio della cosa pubblica e la domanda di libertà e intraprendenza del privato.
La cosa è tanto immensa quanto vana in una società al cui centro c’è un vuoto, un cuore spento, privo di idee ideali e di idee strategiche.
Eppure sarà necessario ricostruire ex nihilo la didattica di una “strategica” ―al pari dell’interdisciplinarietà operativa delle alte scuole di formazione dei paesi vincenti― per poter creare un vero sistema-paese, se si vuole che un’espressione della geografia possa meritare di chiamarsi Nazione.
Si dovrà però far nostro il precetto di Marcus Aurelius Princeps, anch’esso impossibile senza fede, “Bisogna essere retti e non da altri sorretti o raddrizzati”.
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