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Il recente crollo del regime di Assad, le guerre in corso a corona senza quartiere in Ucraina e in Medioriente, evocano costantemente il ruolo dell’intelligence. Ma di cosa parliamo quando parliamo di intelligence? Prima di tutto è un argomento da studiare e da affrontare scientificamente. Sosteneva Giorgio Galli che l’intelligence in Italia era interpretata erroneamente perché mancavano gli studi storici e gli inquadramenti teorici. La situazione è migliorata negli ultimi anni, poiché da noi si sente parlare sempre più di intelligence a livello culturale. Non quanto sarebbe necessario, ma i passi avanti sono innegabili, da quando nel 2007, grazie alla lungimiranza di Francesco Cossiga, è stato promosso all’Università della Calabria il primo percorso accademico italiano del settore. Infatti, progressivamente sono aumentati i master, le pubblicazioni, l’interesse mediatico.
Per alcuni aspetti, l’intelligence comincia ad affermarsi come strumento fondamentale per sostenere in maniera adeguata qualunque decisione. Un sapere sociale, insomma, e non esclusivamente la prerogativa del sovrano basata sulla “divina manipolazione delle trame”. Pertanto, si tratta di un metodo che si basa sull’interpretazione e la contestualizzazione delle informazione, cercando di attenuare il più possibile gli inevitabili pregiudizi cognitivi.
In altre parole, l’intelligence è un sapere che non può essere ridotto a semplice attività dei Servizi. Il trattamento corretto delle informazioni, selezionando quelle utili e ignorando quelle irrilevanti, permette non solo di sopravvivere ma anche di prevalere sugli altri, anche senza combattere.
In realtà, l’intelligence è un processo indispensabile – e quotidiano – che compiamo tutti: cittadini, imprese e Stati. Serve, dunque, ai cittadini per affrontare la società della disinformazione in cui siamo immersi, serve alle imprese per affrontare le sfide della globalizzazione e agli Stati per garantire benessere e sicurezza ai cittadini.
Infatti, mai come oggi l’intelligence è necessaria per difendersi dalla disinformazione, che rappresenta un’emergenza educativa e democratica e che si manifesta in un modo molto preciso: con la dismisura dell’informazione da un lato e il basso livello sostanziale di istruzione dall’altro. La dismisura dell’informazione confligge con le ampie ma pur sempre limitate capacità cognitive umane e il livello di istruzione nel nostro Paese dimostra che i tre quarti dei nostri connazionali non comprendono una frase complessa in lingua italiana e che quasi il 27 per cento sono analfabeti funzionali: sanno leggere, scrivere e far di conto ma non utilizzare in maniera adeguata queste abilità. Si tratta delle stesse persone che viaggiano sui social, rispondono ai sondaggi e votano, per cui occorre interrogarsi sulla reale natura della partecipazione elettorale e quindi della democrazia. Pertanto, l’intelligence è una indispensabile forma di resistenza contro la manipolazione e gli aspetti negativi delle tecnologie, a cominciare dall’intelligenza artificiale.
Andrebbe, quindi, auspicata una “Citizen Intelligence”, caratterizzata dalla capacità di raccogliere, analizzare e utilizzare le giuste quantità di informazioni di cui si ha bisogno per assumere decisioni a proprio vantaggio, avvicinandosi, per quanto possibile, in maniera lucida alla realtà.
L’intelligence non è un corpo estraneo in cui emergono gli abissi dell’animo umano ma una modalità che accompagna la storia dell’uomo, che è indistinguibile dalla storia dell’intelligence e dalla storia delle civilt . Scrive infatti Christopher Andrew che l’intelligence rappresenta “la dimensione mancante della storia”. Raccogliere, analizzare e utilizzare le informazioni è stata impiegata dall’origine dell’umanità, fin da quando i nostri antenati vivevano nelle caverne e poi successivamente con le epoche che si sono succedute, dalla egizia alla babilonese, dalla greca alla romana. Ma è con Elisabetta I, nell’Inghilterra del Cinquecento, che nascono i moderni Servizi, con specializzazioni per l’interno e l’estero, scuole di formazione, reclutamenti nelle università.
Estratto dall’articolo del Prof. Mario Caligiuri, Università della Calabria, pubblicato sul Mattino 14/12/2024
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