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Nov
Prima i missili a lungo raggio, poi le mine antiuomo: dagli Stati Uniti è arrivato il doppio via libera a nuove forniture per l’Ucraina, impegnata nel durissimo scontro nell’oblast’ del Kursk. Una mossa che ha sorpreso per la tempistica, con il presidente Usa Joe Biden a fine mandato. «La decisione è apparsa come una conferma del supporto americano a Kyiv, anche se i missili a lungo raggio e le mine antiuomo non cambieranno le sorti della guerra: nel primo caso, ne occorrerebbero molti di più. Inoltre il loro impiego, come già avvenuto lo scorso maggio da Biden, è vincolato a una serie di condizioni che non cambiano neppure ora» osserva Alessandro Politi, direttore della Nato Defense College Foundation.
L’impiego di mine antiuomo è invece controverso: la Convenzione di Ottawa ne vieta l’uso, la detenzione, la produzione e il trasferimento. E impone la distruzione degli stock esistenti. «Ma gli Usa non hanno sottoscritto l’accordo» ricorda Politi, che s’interroga invece sulla portata della decisione anche all’interno degli stessi Stati Uniti: «È difficile dire se Biden abbia voluto lanciare un messaggio al suo successore, Donald Trump. Di certo ha confermato che, sia pure nel rispetto degli equilibri e di un’annunciata transizione pacifica, la politica americana rimarrà la stessa fino all’ultimo giorno del suo mandato».
In vista dell’insediamento del presidente eletto, le Cancellerie del mondo si chiedono intanto se realmente con l’arrivo di Trump si potrà giungere a una pace, in particolare giusta: «Pace è una parola grossa, specie in questo momento. E non perché non sia importante, anzi. Rifletterei però sull’aggettivo “giusta”: la pace è sempre politica. Se è anche unita alla giustizia, tanto meglio. La storia fornisce molte dimostrazioni eloquenti: la pace di Versailles era per esempio giusta, ma insostenibile». Come spiega ancora Politi, «oggi è urgente una sospensione delle ostilità. Poi forse potrebbe arrivare il tempo per una soluzione sostenibile. È uno scenario pessimistico, ma al momento una vittoria sul campo da parte di Kyiv è irrealistica. Questo non significa una sconfitta su tutti i fronti: gli ucraini hanno vinto strategicamente perché non si sono dissolti, non sono collassati ed è un dato formidabile, anche se non è quello che volevano loro. È indubbio che siano stati aggrediti e stiano combattendo per difendersi, ma temo che l’unica soluzione possibile ora sia appunto una sospensione delle ostilità».
Che il governatorato di Kursk possa essere una merce di scambio appare però alquanto inverosimile: «Non credo che Putin baratterebbe una porzione dell’oblast’ per Mariupol o altre città annesse alla Federazione» osserva Politi. «Però la fine dello scontro potrebbe giovare anche a lui. Non dimentichiamo che i 10mila soldati nordcoreani sul campo servono a evitare ulteriori perdite per la Russia, già alle prese con diserzioni di massa e tentativi di lasciare la madrepatria, aumentati dopo l’ultimo ordine di mobilitazione emanato nel 2022 dal Cremlino per 300mila uomini, scesi di 200mila con successive renitenze».
La presenza nordcoreana ha portato anche a chiedersi se non rimarrà come forza-cuscinetto in un eventuale scenario futuro: «Non so se sarà possibile, perché occorrerebbero negoziati bilaterali o multilaterali. In ogni caso non credo sia stata una mossa vincente per Putin affidarsi a forze di Pyongyang: in questo modo ha pericolosamente collegato il teatro euroatlantico a quello indo-pacifico» conclude Politi.
Intervista su “La Ragione” di Alessandro Politi, direttore della Nato Defense College Foundation e relatore dei progetti di formazione IASSP
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