08
Oct

Paolo Salvatori, nato a Roma nel 1954, dopo aver conseguito la Laurea in Scienze Politiche entra a far parte dell’Amministrazione dello Stato nel settore del Commercio internazionale. Transitato ben presto negli Apparati di sicurezza nazionali, è stato impegnato per quasi tre decenni nel contrasto a minacce particolarmente insidiose come il traffico di tecnologie sensibili, la proliferazione di armi di distruzione di massa e il terrorismo internazionale.
È stato Direttore della Divisione Controproliferazione e della Divisione Controterrorismo dell’Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna (AISE).Il 20 aprile 2018 ha pubblicato con l’editore La Lepre Edizioni il saggio dal titolo: “Spie? L’Intelligence nel sistema di sicurezza internazionale”, la cui prefazione è stata curata da Robert Gorelick, già responsabile della C.I.A. in Italia, e la postfazione da Alberto Manenti, già Direttore dell’A.I.S.E. Nel 2024 ha pubblicato sempre presso la Lepre edizioni, “Intelligence, quo vadis? Passato e futuro dei servizi segreti esteri“.
Come avviene il reclutamento nei servizi di sicurezza?
Tutte le organizzazioni intelligence, per la loro non convenzionalità, operano ai fini del reclutamento in una contesto che li esenta da quegli obblighi giuridici che riguardano l’accesso al pubblico impiego. Tuttavia per rispettare nello spirito i principi di astrattezza e generalità è teoricamente possibile per ogni cittadino fare regolare domanda per accedere a queste organizzazioni. A tal fine in tutti i Paesi, compresa l’Italia, è disponibile un portale pubblico attraverso il quale inoltrare la propria candidatura di arruolamento. Nella pratica di tutti i giorni, ,ovviamente, l’organizzazione intelligence si adopera ad una continua attività di scouting in determinati ambienti, soprattutto universitari, per individuare potenziali candidati che soddisfino le esigenze di un servizio segreto, disponendo questi, a seconda dei casi, di un background culturale, linguistico, scientifico che potranno costituire indispensabile premessa per un successivo impiego nel settore intelligence. A questo si aggiunga un’azione ancor più mirata in direzione di determinati ambienti che offrano una preparazione da utilizzare in contesti operativi specialistici. In ogni agenzia di intelligence vigono tradizioni e orientamenti che inclinano in un senso o nell’altro l’attività di reclutamento.
Che tradizioni hanno gli altri Paesi?
Si va dal servizio britannico che da sempre privilegia un reclutamento dalle università (addirittura restringendo questa ricerca a quelle più prestigiose e “tradizionali” inducendo anche a malumori da parte di possibili “concorrenti”) fino a quello francese che si affida alle Forze Armate come bacino privilegiato, sia pure non esclusivo, da cui attingere risorse. In Italia è in corso un lento mutamento di procedure che non è ancor giunto a piena maturazione. Da un reclutamento quasi esclusivo nelle forze armate e di polizia che avveniva in passato è sempre più frequente l’abitudine di attingere dalle università individuando candidati che posseggano quei requisiti culturali potenzialmente impiegabili in attività di intellligence.
Come un servizio segreto efficiente può contribuire alla sicurezza del Paese e alla sua politica estera?
Se limitiamo il concetto di intelligence alla sua accezione più corretta e cioè di “attività di spionaggio che opera in un’arena internazionale in una cornice di assoluta non convenzionalità essendo lo spionaggio attività sostanzialmente illecita nel diritto interno di ogni Paese”, l’analisi dell’efficienza delle Agenzie intelligence si riduce ad una scelta tra un numero molto ristretto. Per motivazioni storiche che sono state oggetto di approfondimento nel mio libro, l’Europa continentale, con una parziale eccezione della Francia, a mio avviso, peraltro, non particolarmente significativa, ha completamente delegato dalla fine della seconda guerra mondiale, all’asse USA/Gran Bretagna il compito di provvedere all’acquisizione di intelligence utile all’Occidente riservando ai singoli Stati di provvedere alla propria sicurezza interna anche attraverso la costituzione di servizi segreti, assimilabili ad una sorta di polizia segreta. Quello che è ormai noto come l’ombrello militare anglo-americano che esentava gli Stati europei dal preoccuparsi della propria sicurezza militare aveva dunque un parallelo ombrello di intelligence che dispensava gli stessi alleati dal costruirsi una rete informativa all’estero proiettata nelle aree di interesse.
Di questa lacuna paghiamo oggi le conseguenze?
L’assoluta inconsistenza europea che si va sempre più dimostrando in politica estera ha una chiave di lettura non secondaria, ritengo, in questo immenso gap intelligence che si è andato sempre più consolidando nel corso dei decenni. L’inizio dell’invasione russa in Ucraina che ha visto gli Stati europei assolutamente impreparati, se non attoniti, rispetto agli eventi, a differenza degli USA e della Gran Bretagna, è stato l’ultimo , clamoroso caso che testimonia del buio informativo entro cui si muove la politica estera europea. Nella competizione internazionale intelligence, dunque, si muovono pochi protagonisti. Alla statunitense CIA e al britannico SIS va naturalmente aggiunto il Mossad israeliano che ha fatto dell’intelligence una componente primaria, se non principale, della politica estera israeliana. Su fronti diversi, spesso in opposizione a quello occidentale, operano alcuni servizi di intelligence come il russo SVR, erede della tradizione del KGB sovietico che costituisce vitale strumento per l’attuale dirigenza del Cremlino per sostenere una politica egemonica che tenta di rinverdire le glorie passate. A questo “club ristretto” che ha caratterizzato la competizione del passato si stanno aggiungendo sempre più numerosi aspiranti che, approfittando del caos apolare che sta caratterizzando questi ultimi anni, entrano sulle scena mondiale con velleità egemoniche, anche aggressive. Queste nuove entità politiche invadono spazi di agibilità politica creatasi dall’arretramento americano, consapevoli che una politica estera degna di questo nome non può prescindere dalla disponibilità di un adeguato strumento intelligence che dia sostanza alle proprie aspirazioni/velleità.
Sul fronte storico, quale ruolo ha avuto il nostro paese nel contesto della Guerra Fredda e nel contrasto al terrorismo?
L’Italia, nel contesto della guerra fredda prima e nel periodo che ho definito nel libro, del ventennio del liberismo interventista americano, poi, ha svolto sempre il ruolo di fedele alleato della NATO, nel rispetto di ruoli ed interessi che erano sostanzialmente condivisi con gli USA ed analoghi a quelli dei suoi partners europei. Da questo punto di vita non va dimenticato l’importante onere che la geografia politica ed economica assegnava all’Italia, ad esempio, nel contrasto alla proliferazione degli armamenti di distruzione di massa che aveva nell’area nordafricana e mediorientale, naturale proiezione dell’Italia, i massimi protagonisti. Analogamente, nella lotta al terrorismo, la presenza storica ed economica dell’Italia in quelle stesse aree ha consentito al nostro Paese di fornire il suo contributo rafforzando contestualmente, quel controllo del suo territorio, da sempre caratteristica positiva delle nostre forze di polizia.
Estratto dell’intervista di Giuseppe Gagliano, Presidente Cestudec e relatore dei progetti Iassp, per InsideOver
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