04
Jul

La sicurezza è probabilmente la caratteristica della contempora-neità. Si tratta di un concetto che si è allargato a dismisura, coinvolgendo tutti gli ambiti sociali: dalla salvaguardia fisica a quella ambien-tale, da quella informatica a quella sanitaria, da quella sociale a quella alimentare e così via. Lo scenario in cui tale tendenza si manifesta è quello della globalizzazione che determina asimmetrie e manipolazioni della realtà. Pertanto, proverò a esaminare quella che è l’emergenza educativa e democratica del nostro tempo, la disinformazione, che è percepita in modo del tutto errato.
Proseguirò analizzando il confronto senza quartiere in atto tra intelligenza umana e intelligenza artificiale, i cui esiti non sono affatto scontati, in un futuro quanto mai aperto con innumerevoli scenari. Approfondirò poi il tema del disagio sociale legato alle spaventose diseguaglianze che si stanno delineando, anche in conseguenza dell’intelligenza artificiale. I tre ambiti appena decritti hanno bisogno di strumenti interpreta-tivi, predittivi e di governo inediti e originali. In tale contesto, l’intelligence può rappresentare uno strumento fondamentale, se considerata nella sua dimensione creativa di nuova conoscenza che può contribuire a definire parole, concetti mentali e categorie culturali che sono allo stato nascente o che non sono ancora emerse.
Infatti, abbiamo bisogno di comprendere la realtà che invece continuiamo a descrivere con codici di un mondo che sta scomparendo. L’intelligence si può configurare come la forma più sottile dell’intelligenza umana, poiché consente di andare al di là di quello che appa-re, interpretando la realtà per attenuare i bias cognitivi e le manipolazioni della propaganda e degli algoritmi
2.La società della disinformazione
L’emergenza educativa e democratica del nostro tempo è rappresentata dalla disinformazione che contraddistingue la società globale e di-
gitale’. Questo tipo di società si caratterizza in modo molto preciso: l’eccesso informativo da un lato e il basso livello di istruzione sostanziale dall’altro, che nulla ha a che vedere con il titolo di studio formale.
Tale combinato disposto, per usare un linguaggio giuridico, allontana le persone dalla comprensione di quanto le circonda, per cui la realtà sta da una parte e la percezione pubblica della realtà esattamente dall’altra.
Un elemento su cui riflettere è quello delle fake news. A riguardo, rileva Monica Maggioni, «l’intero dibattito sui falsi in rete, le fa-ke news, è importante, ma costituisce solo un pezzo davvero infinitesimale del problema. Disintermediazione, uso distorto dei dati, creazione di un’idea di consenso che è totalmente fabbricata: sono questi i temi su cui dobbiamo confrontarci. La notizia falsa è alla fine la più semplice delle cose da smascherare […] quello che non vediamo sono gli algoritmi potenti, le strategie dei giganti del tech che guadagnano miliardi di dollari e orientano volumi d’affari degni di interi Stati»?.
Oltre a questa considerazione sempre maggiormente evidente, le centrali più potenti della disinformazione sono gli Stati e le multi-nazionali, Nel 1993 Régis Debray aveva riportato profeticamente una fulminante considerazione del celebre creativo francese Jacques Ségué-la: «un ministro è una pagina di pubblicità»*. Basta assistere ogni sera a un telegiornale per constatare come le dichiarazioni dei politici e dei rappresentanti delle istituzioni siano sovrapponibili a slogan pubblicitari identici a quelli commerciali’. Un’attività tesa a sedurre, plagiare, orientare i cittadini piuttosto che aiutare la comprensione delle questioni pubbliche o stimolare il pensiero critico. Inoltre, gli slogan hanno questa caratteristica: non devono essere dimostrati.
Lo stesso cliché si riscontra nelle trasmissioni di approfondimento dove le opinioni si equivalgono, attuando lo schema di Carl Schmitt amico-nemico. Con grande lucidità, Hannah Arendt spiegava che quando le opinioni hanno la medesima possibilità di espressione, assegnando lo stesso valore, scompare la verità. La filosofa americana faceva riferimento ai Pentagon Papers, documenti riservati del Pentagono – pubblicati nel 1971 dal «New York Times» e subito dopo dal «Washington Post» – che rivelavano come il governo americano, attraverso il segreto di Sta-to, il depistaggio e la controinformazione, avesse sistematicamente mentito riguardo alle vicende della guerra in Vietnam?
La ragione delle menzogne non era né militare, né politica ma funzionale alla fabbricazione di notizie che, mediante la manipolazione mediatica, condizionassero l’opinione pubblica. Si puntava sull’immagine non tanto per migliorare la realtà ma per sostituirla attraverso l’accattivante racconto dei media’. Per la Arendt, «la mancanza di rapporto fra i fatti e le deci-sioni, fra i servizi di informazione e i servizi militari e civili, è il segreto forse più importante, e certamente quello meglio protetto, che i Penta-gon Papers hanno rivelato»?. Ma l’assenza di consequenzialità tra fatti e decisioni, assunte spesso in condizioni emotive anomale o attraverso visioni ideologiche o bias cognitivi, vale per le scelte di tutti gli uomini, a cominciare da quelli che rappresentano lo Stato.
Pertanto, secondo la filosofa, si assiste alla scomparsa della differenza tra verità e opinion, poiché in «una società in cui ogni affermazione equivale alle altre»° si registra «una desolante equivalenza tra chi denuncia un comportamento e chi lo nega, senza alcuna differenza»”.
Con l’avvento del digitale tale tendenza si è dilatata a dismisura, comportando quella che Byung-Chul Han ha definito «crisi della verità»’2, che alimenta una società della sfiducia”, con conseguenze evidenti sul patto sociale che lega lo Stato ai cittadini.
3. La guerra delle intelligenze
Se provassimo a identificare lo «spirito del tempo», cioè la tendenza culturale prevalente di una determinata epoca, potremmo individuare quello attuale nel confronto tra intelligenza umana e intelligenza artificiale.
Il mondo che abbiamo ereditato dalle generazioni precedenti non esiste più. Siamo di fronte a uno spillover, a un salto di specie di gran lunga superiore al passaggio dall’uomo di Neanderthal all’uomo Sa-piens. L’inevitabile ibridazione tra uomo e macchina crea un mondo molto diverso da quello che abbiamo conosciuto e interpretato nello stesso modo per secoli. Di questo non ci rendiamo conto e continuiamo a considerare quello che sta accadendo come una consueta trasformazione sociale, sebbene accelerata rispetto alle altre. E un grave errore di prospettiva, poiché l’intelligenza sulla quale si sta impostando la società non è quella umana ma quella artificiale.
Osserva Laurent Alexandre che «la legge del parlamento pesa sempre meno rispetto a quella delle piattaforme digitali. Lo Stato sociale non crea più il futuro ma lo subisce». Allora, occorre prendere atto di una «terribile verità»: «le tecnologie digitali fornite dai GAFA [Google, Amazon, Facebook, Apple] offrono ai cittadini più servizi di qualsiasi amministrazione».
L’uomo rischia di perdere la centralità di fronte allo sviluppo dell’intelligenza artificiale da egli stesso creata. Tutto ruota attorno al quesito di fondo: si riuscirà a controllare l’intelligenza artificiale o sarà l’intelligenza artificiale a imporsi?
Sul punto le opinioni divergono, ma alcuni segnali sembrano evi-denti. Prima di tutto la capacità di sviluppo cerebrale si è manifestata nel corso dei millenni in base all’evoluzione naturale, mentre l’intelligenza artificiale si sta sviluppando a una velocità di gran lunga maggiore e per tantissime funzioni già sovrasta quella umana. Inoltre, sembra alle porte quell’algoritmo definitivo che si programmerà da solo senza l’apporto umano, in base al meccanismo del machine learning basato sull’apprendimento che deriva dalla pratica”?.
Sarà possibile premere un pulsante per interrompere il funzionamento dell’intelligenza artificiale, come abbiamo visto nel film 2001:
Odissea nello spazio? Teniamo conto che le smart city, in pieno sviluppo in tutto il mondo, affidano funzioni delicatissime e decisive all’automazione digitale. Peraltro, dall’intelligenza artificiale, che non è certo infallibile, si pretende una razionalità e un’eticità di comportamenti che nel corso della storia assai spesso è difettata all’intelligen-
za umana.
Occorre quindi affrontare con tempestività i tanti e crescenti problemi sociali. Per farlo, potremo essere pericolosamente attratti dai sistemi di governo autoritari che sembrerebbero più efficienti nella glo-balizzazione, ma saremo tentati di delegare le scelte pubbliche all’intelligenza artificiale’. Parrebbe andare in questa direzione l’opinione dei cittadini, compresi quelli italiani, per i quali – in base a una ricerca del Center for the Governance of Change dell’IE University di Segovia – sarebbe preferibile essere governati da un algoritmo per il 59%, a fronte della media europea del 51%19.
E sullo sfondo, Yuval Noah Harari ipotizza addirittura l’emergere di due distinte razze umane, poiché «quando gli algoritmi avranno estromesso gli umani dal mercato del lavoro, la ricchezza e il potere potrebbero risultare concentrati nelle mani di una minuscola élite che possiede i potentissimi algoritmi, creando le condizioni per una disuguaglianza sociale e politica senza precedenti»
Il confronto con l’intelligenza artificiale pone questioni decisive all’uomo per conoscere meglio sé stesso attraverso: il funzionamento di psiche e cervello, i poteri nascosti della mente, le facoltà paranorma-li, le capacità dei plusdotati, identificandone limiti e potenzialità. E analizzando il funzionamento dei nostri cervelli, sarà proprio l’intelligenza artificiale a svelarci davvero chi siamo?
Lo sviluppo delle tecnologie richiede il potenziamento dell’intelligenza umana, che può avvenire in un solo modo: l’esercizio, la riflessione, la coscienza e quindi l’educazione. Non a caso, per Laurent Ale-xandre «l’insegnante è il mestiere più importante del XXI secolo»2′, E dovrebbe esserlo – ma so bene, per esperienza, quanto sia improbabile -perché, proprio attraverso l’educazione, si può dare sostanza reale alla democrazia, oggi trasformata in una procedura elettorale. Solo attraverso un profondo processo educativo sarebbe possibile creare cittadini consapevoli (in grado di individuare, controllare e sostituire i propri rappresentanti) ed élite responsabili (che operino il più possibile per conseguire gli interessi della maggioranza e non soprattutto di sé stessi e della propria cerchia ristretta). Infatti occorre evitare quella che Luciano Canfora definisce la democrazia dei signori??,
John Dewey aveva compreso che alla crisi della democrazia si risponde con più democrazia, che non è solo la meno imperfetta forma di governo ma anche la meno imperfetta forma di giustizia sociale. Diventa allora determinante la formazione delle élites, dalle quali dipende la visione politica e l’organizzazione della società”
Introduzione di Mario Caligiuri, professore all’Università della Calabria e relatore dei progetti di formazione IASSP, al libro “Hard Times: le nuove guerre e la difesa europea” edito da Donzelli Editore
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