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Jul
Fino alla metà del secolo scorso la guerra poteva essere considerata, come diceva il Barone von Clausewitz, “la prosecuzione della politica con altri mezzi”. Quando due o più Stati nazionali – che non riuscivano a risolvere una controversia tra loro con la negoziazione – scendevano in guerra, gli eserciti “regolari” si confrontavano in armi dopo che gli ambasciatori avevano consegnato una formale dichiarazione di guerra. Le guerre contemporanee non sono più così esplicite, chiare e comprensibili a tutti; tendono piuttosto a nascondersi dietro l’ambiguità di narrazioni false e motivazioni pretestuose o vengono occultate dietro il paravento di “operazioni militari speciali”.
Questi conflitti tendono quindi a eternizzarsi, non distinguendosi più tra civili e militari e non combattendosi più solamente sul campo di battaglia. La “guerra dell’informazione” colpisce target civili, perché́ manipola l’opinione pubblica per destabilizzare il nemico dall’interno. La “guerra cyber” colpisce le infrastrutture critiche e quindi la popolazione, perché può̀ interrompere la produzione e distribuzione dell’energia elettrica, può compromettere le telecomunicazioni e le infrastrutture di trasporto (stradale, ferroviario, aereo e marittimo) e può̀ soffocare così anche il sistema produttivo di una nazione, senza bisogno di blocchi navali e no-f ly zone.
Con un attacco di “guerra economico-finanziaria” si può̀ mettere in ginocchio una nazione, distruggerne la capacità produttiva, impoverirne la popolazione e quindi destabilizzarne le istituzioni e lo Stato. Nemmeno il “bioterrorismo” distingue tra target militari e vittime civili, perché́ un agente patogeno contagia indistintamente chiunque.
Tutto questo non è una forma eccentrica del conflitto bellico, marginale o accessoria rispetto alla conduzione delle attività̀ militari cinetiche. Questa è la “nuova guerra” del nostro tempo. In questo quadro, il potere e la ricchezza – moventi e cause delle guerre di conquista – si sono disgiunte dalla necessità di possesso e controllo territoriale. Sul piano della giurisprudenza, Carl Schmitt poneva la base del diritto che legittimava la guerra nella misura della terra e dei confini e nella necessità di difenderli anche con le armi, mentre oggi le guerre di invasione territoriale sono eccezioni e non più la norma.
Non è più̀ necessario invadere per conquistare, sottomettere e controllare, perché́ si può̀ condizionare, razziare e depredare anche senza mettere le “truppe sul terreno”. È semplicemente un’altra forma della guerra, meno cruda e meno cruenta (almeno in apparenza). Oggi la nostra vita dipende da un’economia globale interconnessa che si basa su una rete di supply chain, all’interno delle quali le interdipendenze tra i sistemi economici – apparentemente distinti e distanti – sono concretamente insolubili. La connettività̀ ha sostituito la divisione come nuovo paradigma dell’organizzazione globale. La raffigurazione grafica reticolare delle nostre infrastrutture dice molto di più̀ del funzionamento del mondo che non le cartine politiche con i loro confini.
La vera mappa del mondo non dovrebbe rappresentare soltanto gli Stati, ma anche le metropoli, le autostrade, le ferrovie, le pipeline, i cablaggi per Internet e gli altri simboli della nostra civiltà̀ di network globali. Internet e la globalizzazione dell’economia – che hanno trasformato sistemi economici sottosviluppati in poderose potenze industriali nel giro di poche decine di anni – hanno persino modificato la natura degli scambi mondiali e creato un sistema unificato di world production.
La produzione di merci e servizi fruibili su base planetaria infatti non avviene più in un singolo Paese, ma nella dimensione globale delle subforniture, perché́ le materie prime, le tecnologie, i componenti e i servizi necessari alla produzione provengono sempre da diversi Paesi e continenti. La natura della competizione geopolitica si evolve pertanto dalle guerre di conquista di un territorio a un “tiro alla fune” per il controllo delle supply chain globali. Persino la guerra in Ucraina ne è l’esempio. All’apparenza è una guerra cinetica novecentesca, tra due Stati, combattuta sul campo dalle rispettive forze armate.
In realtà̀, questa è solo la parte emersa dell’iceberg di una guerra ibrida globale. Sotto la superfice c’è una guerra economico-finanziaria (che riguarda le materie prime, come il grano e l’acciaio), c’è una guerra psicologica e dell’informazione, c’è una guerra cyber. Quello che succede – e che colpisce anche Paesi che non prendono parte direttamente al conflitto armato – non è la conseguenza della guerra russo-ucraina, ma è la guerra stessa. La rete delle connessioni di questa guerra, che ha epicentro in Ucraina e che provoca terremoti che si diffondono in tutto il mondo, intreccia quella delle “catene di valore” globali.
La geopolitica in un mondo connesso si gioca sempre meno sulla mappa del Risiko della conquista territoriale e sempre più̀ nel Matrix dell’infrastruttura fisica, digitale, logistica e finanziaria. La competizione ed il conflitto tra Sistemi Paese non possono più̀ avvenire prioritariamente tra Stati Nazionali, ma lo diventano tra le possibili opportunità̀ alternative all’interno dello stesso sistema comune di supply chain globali. L’ultima guerra mondiale che si è conosciuta è la Guerra Fredda. Allora il blocco Occidentale, liberale e capitalista, era in conflitto con quello Orientale, comunista e caratterizzato da un’economia pianificata. La competizione tra sistemi ideologici, politici ed economici alternativi aveva una sua elegante semplicità̀, perché́ ciascuno si collocava da una parte o dall’altra.
Oggi si assiste invece al passaggio da uno stato di guerra fra sistemi (capitalismo vs comunismo) a una guerra all’interno di ciascun sistema globale di supply chain. Il problema che una buona politica si dovrebbe porre non è, dunque, solamente come sia possibile rafforzare gli apparati dello Stato preposti a garantire la sicurezza della Nazione, ma anche come si possa irrobustire una società̀ troppo fragile davanti a minacce che non conosce e che quindi non teme. Se si vuole irrobustire la società̀ affinché́ possa resistere efficacemente ad attività̀ di infowarfare e cyberwarfare, ad esempio, non occorre sperare di annullare gli attacchi ostili (che è impossibile), ma bisogna fare in modo che la diffusione del contagio venga bloccata da ridondanza e ridimensionamento dei target (sia infrastrutturali che umani).
La permeabilità̀ alla manipolazione informativa e la possibilità̀ di non subire danni irreparabili a infrastrutture critiche – a causa di attacchi cibernetici ben mirati e coordinati – dipendono fondamentalmente dalla numerosità̀ e dalla diffusione degli “anelli deboli”. Bisogna dunque assicurarsi che gli hub delle nostre reti (sociali, informative, culturali, finanziarie, logistiche, sanitarie, istituzionali, ecc.) siano sufficientemente robusti, cioè in grado di resistere se diventassero target di un attacco mirato di guerra asimmetrica. In altre parole, è assolutamente necessaria la diffusione della “cultura della sicurezza”, che permetta anche di scegliere con oculatezza gli strumenti da impiegare con efficacia nel malaugurato caso in cui sorgesse la necessità. Nell’attuale contesto sociale, la speranza deve essere quindi riposta nelle generazioni più̀ giovani. È a queste ultime che occorre pensare e provvedere con la formazione, con l’educazione e – quando se ne fosse capaci – con il buon esempio.
LA GUERRA IN UCRAINA
L’attuale situazione di conflitto tra Russia e Ucraina, ancora lontana da una definizione pacifica delle ostilità nei territori contesi, presenta importanti profili di minaccia per gli asset strategici del nostro Paese, soprattutto in considerazione della presa di posizione del cosiddetto “blocco occidentale” (principalmente in ambito NATO) fin dall’inizio a difesa della nazione aggredita. Le iniziative a sostegno dell’Ucraina si sono concretizzate in questo biennio soprattutto attraverso la fornitura – massiccia e costante – di sistemi di armamento di immediato impiego e indirettamente attraverso l’addestramento (esclusivamente nei Paesi di provenienza del suddetto materiale) di aliquote di personale militare utilizzatore. Il governo russo ha espresso a più riprese la propria contrarietà a questo coinvolgimento dei Paesi occidentali e della NATO in particolare, formulando – in modo assolutamente esplicito – minacce di rappresaglia nei confronti di chiunque risultasse coinvolto nella fornitura di materiale bellico a sostegno delle forze armate ucraine. Sebbene tali minacce – almeno sino a questo momento – non siano da intendersi come una chiara volontà di attacco rivolto verso infrastrutture militari e industriali direttamente situate nei Paesi interessati (fatto che rappresenterebbe un esplicito “atto di guerra” con gravi conseguenze di escalation verso un conflitto esteso Russia-NATO), esistono tuttavia ragionevoli rischi di sabotaggio – ancorché di mero “carattere dimostrativo” – verso siti di aziende direttamente o indirettamente coinvolte nella produzione di materiale di armamento destinato al teatro operativo ucraino.
Ulteriori elementi di minaccia possono concretizzarsi verso settori produttivi correlabili a beni e servizi oggetto di embargo (operato a più riprese principalmente da parte di Unione Europea e Stati Uniti d’America). In tal caso, ci si riferisce in particolare al settore petrolifero, ove la minaccia può manifestarsi attraverso azioni di sabotaggio rivolte alle infrastrutture di stoccaggio, trasporto e raffinazione (per la maggior parte situate sul territorio nazionale), alle navi petrolifere (anche in acque e porti internazionali) e agli oleodotti per il trasporto di gas dall’area nordafricana ai nostri hub nazionali (soprattutto considerando che tale canale di approvvigionamento costituisce a oggi un’importante azione di mitigazione in risposta al blocco della fornitura russa). L’attenzione del governo italiano è peraltro già fortemente concentrata in tal senso, così come richiamato nell’ultima Relazione Annuale del Comparto Intelligence al Parlamento e ove si evidenzia come già nel 2023 l’attività “ha riguardato in primo luogo le potenziali minacce al percorso di diversificazione delle importazioni di gas naturale, avviato a seguito dello scoppio della crisi russo-ucraina e in fase di piena attuazione su un orizzonte temporale di medio periodo. In questa chiave, particolare attenzione è stata dedicata alla raccolta informativa destinata, da un lato, alla tutela dell’integrità delle infrastrutture di adduzione esistenti e, dall’altro, alla salvaguardia dell’effettiva e tempestiva implementazione delle nuove opere in fase di realizzazione”.
Secondariamente, potenziali elementi di rischio (soprattutto per azioni ostili di tipo “cyber”) possono essere considerati per il comparto finanziario, in conseguenza al sequestro di beni e conti bancari attuato nei confronti di società e persone fisiche riferibili al governo russo. Le stesse infrastrutture portuali possono essere ragionevolmente inquadrate in uno scenario di minaccia, soprattutto in considerazione degli attacchi sino a oggi condotti con successo per opera delle forze armate ucraine verso i principali porti della Crimea (con sensibili danni alle operazioni logistiche militari e civili tra la Russia e i territori occupati) e che hanno visto l’impiego di sofisticati sistemi d’arma e di ricognizione di produzione occidentale. Quest’ultimo elemento – in particolare – potrebbe costituire un concreto motivo per una rappresaglia (verosimilmente, un’azione di sabotaggio con carattere “di avvertimento”) nei confronti di un Paese appartenente alla NATO (come l’Italia) in uno scenario di conflitto asimmetrico.
Ulteriori obiettivi per azioni di disturbo possono essere costituiti da infrastrutture di comunicazione (principalmente cavi sottomarini), con concreti rischi di interdizione del traffico dati su scala internazionale. In particolare, l’Italia possiede e gestisce importantissimi asset di tipo undewater, considerabili di rilevanza strategica internazionale anche per la loro collocazione geografica al centro del Mediterraneo.
Infine, esiste sempre la minaccia di attacchi cibernetici alle infrastrutture nazionali destinate alla gestione di servizi essenziali per la popolazione (energia, telecomunicazioni, trasporti, ecc.), la cui compromissione – seppur temporanea – può arrecare grave pregiudizio al benessere sociale. In tal senso, la sopra citata Relazione del Comparto Intelligence rileva come attualmente contro il nostro Paese siano in essere “sforzi degli attori ostili di matrice statuale e hacktivista verso obiettivi afferenti ai settori energetici, della logistica e dell’agroalimentare, nel tentativo di coordinare maggiormente le offensive cibernetiche con quelle cinetiche, in modo da supportare con maggiore efficacia ed efficienza la campagna militare contro Kiev” e che “a causa del perdurante isolamento verso l’Occidente, la Russia impiega il suo arsenale ibrido per cercare di recuperare parte della propria influenza sul versante internazionale, con le consuete attività di spionaggio e di compromissione (e l’eventuale sabotaggio) di infrastrutture critiche”.
IL CONFLITTO ISRAELO-PALESTINESE
La situazione di grave tensione nell’area medio-orientale, creatasi a seguito dell’attacco del 7 ottobre 2023 a opera delle milizie di Hamas nel territorio di Israele, ha portato a una forte azione militare da parte delle forze armate israeliane nell’area di Gaza, nei territori a sud Libano (verso le postazioni di Hezbollah) e in Cisgiordania. In Italia, a seguito di tale azione militare, si riscontrano massicce campagne di natura ideologica pro-Palestina e – di conseguenza – antisioniste e contro lo Stato di Israele. Questa situazione sta progressivamente portando a un clima sociale ostile contro qualsiasi attività di collaborazione tra il nostro Paese e Israele, soprattutto negli ambiti industriali (ancorché legati a tecnologie di impiego militare o anche solo “dual-use”) e della ricerca scientifica. In tale scenario esistono rischi potenziali di azioni di sabotaggio (anche con limitati obiettivi di carattere “dimostrativo”) nei confronti di aziende del comparto Difesa.
Altrettante attività di disturbo (con finalità principalmente di carattere propagandistico) sono possibili nell’area della ricerca tecnologica e scientifica, soprattutto in ambito universitario, ove sussistano specifici programmi di collaborazione Italia-Israele e ove siano attivi gruppi afferenti all’area antagonista studentesca e/o anarchica. Infine, il conflitto israelo-palestinese costituisce una minaccia alle filiere logistiche anche al di fuori dei confini nazionali, pregiudicando le condizioni di sicurezza della rotta commerciale attraverso il Canale di Suez e il Mar Rosso a causa delle azioni delle milizie Houthi (supportate dall’Iran in chiave anti-israeliana) contro il traffico navale internazionale.
Nell’immediato, il perdurare di tale situazione obbliga le compagnie logistiche a impiegare rotte commerciali di circumnavigazione del continente africano, con aggravi in termini di costi e tempi di consegna delle merci e quindi con ripercussioni importanti sulla “catena di valore” legata soprattutto all’importazione sia di beni ad alto contenuto tecnologico (elettronica, microchip, ecc.) proveniente dalle aree produttive dell’Estremo Oriente sia di prodotti petroliferi provenienti dalla Penisola Arabica e dai Paesi del Golfo Persico.
LA MINACCIA IRANIANA
In una situazione di accresciuta tensione internazionale legata al conflitto israeliano-palestinese, il regime iraniano costituisce un ulteriore elemento di minaccia alla stabilità della regione mediorientale. Tutte le attività ostili rivolte allo Stato di Israele attuate da Hamas, Hezbollah e Houthi risultano essere supportate politicamente e militarmente dal governo di Teheran. L’escalation in corso potrebbe comportare un’estensione del conflitto anche tra i rispettivi alleati delle parti in conflitto, accrescendone le conseguenze su scala globale in termini di incertezza sui mercati internazionali (legati in particolare al settore petrolifero e alle rotte commerciali).
Azioni dimostrative a opera dell’Iran e dei vari attori “alleati” (statuali e non) potrebbero verosimilmente verificarsi sul dominio cibernetico nei confronti di quei Paesi – come gli Stati Uniti e l’Italia – storicamente legati a Israele da programmi di collaborazione industriale e di ricerca scientifica, colpendo infrastrutture coinvolte nelle suddette attività. Per quanto attiene alle rotte marittime nell’area mediorientale di interesse per le importazioni di petrolio e gas (in particolare, quelle operate nel Golfo Persico attraverso lo Stretto di Hormuz), attacchi con droni o con imbarcazioni veloci – principalmente per opera dei Pasdaran – potrebbero avere come obiettivo navi italiane (o comunque operanti per conto di compagnie nazionali) dirette verso i porti del nostro Paese.
Operazioni ostili (con finalità terroristiche e/o di sabotaggio) potrebbero inoltre essere condotte direttamente sul nostro territorio nazionale a opera di gruppi o di singoli soggetti verso aziende del settore Difesa o di comparti afferenti a tecnologie dual use. Nella già citata Relazione del Comparto Intelligence si evidenzia infatti come già a partire dallo scorso anno si sia assistito “a una rivitalizzazione della propaganda jihadista, non solo in chiave antisionista, ma anche tesa a rilanciare lo scontro tra Islam e Occidente, nell’intento di proiettare la minaccia oltre i confini del teatro del conflitto.
Appare dunque concreto il rischio che la crisi possa costituire una cassa di risonanza per il messaggio jihadista, non solo andando a incidere sui processi di radicalizzazione, ma potendo anche fungere da innesco di potenziali lupi solitari stanziati in Europa, inducendoli a passare all’azione ”. Ed è proprio in tale quadro di destabilizzazione del cosiddetto “Occidente filo-israeliano” che il regime iraniano potrebbe fornire un supporto importante (anche solo indiretto) ispirato da quelle ragioni religiose che da sempre trovano nella radicalizzazione pericolosi elementi di convergenza.
LE TENSIONI IN ESTREMO ORIENTE E NELL’INDO-PACIFICO
Il quadro di incertezza che caratterizza il continente asiatico è oggetto di costante analisi geostrategica da parte del Comparto Intelligence. La citata Relazione Annuale riporta innanzitutto come la Cina stia giocando un ruolo sempre più pervasivo per il controllo delle rotte commerciali nell’area dell’Estremo Oriente e del Sud Est asiatico, rilevando come “lungo le rotte che attraversano l’Indo-Pacifico transita una quota preponderante dei commerci via nave che per la gran parte doppiano snodi essenziali quali lo Stretto di Malacca e quello di Taiwan. Si tratta di un crocevia di collegamenti oggi indispensabili per molteplici catene globali del valore, destinate anche ad alimentare il sistema manifatturiero italiano, incluse quelle che impiegano fattori di produzione critici in settori ad alta tecnologia ed elevata domanda, come i semiconduttori e la componentistica necessaria alla transizione ecologica”.
Si evidenzia inoltre come le tensioni determinate dall’azione del governo di Pechino sull’area dell’Indo-Pacifico siano oramai da inquadrarsi in una strategia globale, con lo scopo di “allargare il suo ruolo di attore dominante nel quadrante asiatico, acquisire lo status di grande potenza (anche marittima) globale, in grado di tutelare i suoi interessi, anche attraverso le numerose comunità della diaspora cinese, e di rivaleggiare con gli USA, sfuggendo così a quelle che percepisce come iniziative occidentali di contenimento. La proiezione cinese – dal punto di vista economico, logistico-infrastrutturale, politico e, sia pure in misura minore, militare – tocca già ogni angolo del pianeta, manifestandosi altresì in un’attenzione sempre più marcata verso il Sud Globale, anche nelle forme di una penetrazione diffusa e influente in aree geopolitiche di maggiore prossimità per il nostro Paese, nel Mediterraneo allargato o in Africa”.
Le tensioni sull’area – che sono soprattutto da riferirsi alla volontà del governo cinese di esercitare una progressiva azione politico-militare volta alla riunificazione con Taiwan (in aperto scontro con gli Stati Uniti) – stanno peraltro portando a un incremento delle capacità militari di Pechino da un punto di vista quantitativo e soprattutto qualitativo (in particolare, sotto il profilo tecnologico). Pertanto, in tale scenario, la minaccia verso il sistema industriale italiano è principalmente riferibile – in un quadro generale “ostile” ai nostri interessi nazionali – al possesso di capacità industriali nei settori della Difesa e delle tecnologie dual use. Tale strategia può attuarsi attraverso l’acquisizione di asset nazionali di primaria rilevanza strategica (mediante complesse e sofisticate operazioni finanziarie su scala internazionale) e anche attraverso attività di tipo spionistico per l’ottenimento malevolo di segreti industriali (soprattutto in ambito militare). In un quadro generale di accentuata instabilità sull’area dell’Estremo Oriente è altresì da considerare l’attività della Corea del Nord.
La posizione politico-militare assunta in questi anni dal regime di Pyongyang, supportata in vari modi e secondo interessi specifici da parte di Cina e Russia, richiede un continuo sforzo di accrescimento delle proprie capacità industriali (soprattutto nel settore bellico). La minaccia coreana al nostro sistema industriale può inquadrarsi soprattutto nel dominio cibernetico. Innanzitutto, occorre considerare la necessità di acquisizione di tecnologie militari (resa difficoltosa dalle sanzioni attuate negli ultimi anni dalla comunità internazionale) e questo aspetto – unito alle elevate capacità operative in ambito cyber – evidenzia come le attività di hackeraggio ad opera di gruppi riconducibili al regime nord-coreano siano una minaccia costante per le aziende del comparto nazionale della Difesa.
In secondo luogo, occorre tenere presente come una parte considerevole delle attività finanziarie della Corea del Nord avvenga attualmente attraverso operazioni malevole sul web e pertanto il comparto bancario italiano (anche in considerazione della elevata consistenza dei depositi dei risparmiatori privati) costituisce un obiettivo ad alto profilo di rischio. Le stesse capacità cyber possono infine essere esercitate dalla Corea del Nord per operazioni di sabotaggio ad asset industriali strategici e servizi essenziali di Paesi occidentali e dell’area NATO (considerando in particolare l’Italia), in tal caso a supporto di nazioni come Russia e Iran coinvolte nei rispettivi conflitti e in attuazione di accordi di cooperazione politico-militare (come efficace “merce di scambio” per la fornitura – a proprio favore – di materiali e tecnologie per impiego bellico).
CONCLUSIONI
Il presente studio ha inteso fornire uno scenario complessivo sulle minacce (dirette e indirette) che possono rivolgersi all’intero settore industriale nazionale in considerazione dell’instabilità su scala mondiale che caratterizza l’attuale fase storica. I diversi comparti produttivi strategici devono essere oramai considerati – nel loro insieme – un vero e proprio “dominio” di competizione tra Stati, soprattutto in relazione ai conflitti in corso su diverse aree del Pianeta. La globalizzazione supera oramai ogni barriera o confine di sorta, creando scenari di vulnerabilità per le singole nazioni spesso non prevedibili nei meccanismi e negli effetti di medio-lungo termine. La consapevolezza delle minacce (nella continua evoluzione, spesso drammatica, degli eventi) deve mantenersi elevata, in modo che l’intero Sistema-Paese possa dimostrare sempre un alto livello di resilienza di fronte ad attacchi di qualunque natura e provenienza.
L’Italia riveste oramai un ruolo da protagonista assoluto nell’intero contesto geopolitico internazionale, come Nazione del G7, come Alleato fondamentale all’interno della NATO e come Paese di avamposto dell’Unione Europea nel Mediterraneo. In tale quadro, il Sistema Industriale Strategico italiano deve essere considerato oramai al centro delle priorità in tema di Sicurezza Nazionale, come elemento fondamentale per il benessere collettivo e strumento imprescindibile di credibilità nel complesso teatro delle relazioni internazionali.
L’articolo di Alberto Pagani, docente dell’Alma Mater Studiorum- Università di Bologna e relatore dei progetti di formazione Iassp, per la rivista elaborata dall’Osservatorio per la Sicurezza del Sistema Industriale Strategico Nazionale del Cisint.
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