24
Jun
L’Occidente è sedotto dall’idea di addomesticazione del potere. Gli archetipi massimi di governo ne portano traccia: la democrazia come autodeterminazione del popolo; l’aristocrazia come dominio di una selezionata élite. Questi nomi si riconducono alla regolazione del potere (Krátos) da parte della comunità, sia essa ristretta come quella degli eccellenti (ἄριστοι, aristoi) o estesa al popolo intero (ai demi, unità sociali minime dell’Attica antica). Il potere è strumento di gestione della pólis, lo sottolinea l’antecedenza del soggetto sull’oggetto. Gli uomini usano il potere nell’ordine convenzionale del linguaggio, ma lo subiscono molto più spesso di quanto credono sul piano dei concetti e della pratica.
Siamo influenzati dal potere o lo usiamo attivamente? La risposta a questa domanda indica in via diretta un collocamento reale sullo scenario politico. Non si dà mezzo né compromesso; o autenticamente incaricati di una parte di potere, come nella vera democrazia, o sollevati nelle responsabilità da un diverso ordine politico, non necessariamente peggiore, ma da riconoscere qua tale. I popoli decidono, anche quando non decidono. Nella monarchia, il ricorso al comando di uno solo (arké) sui sudditi è previsto in nuce dall’etimologia; gli oligarchi trattano la cosa pubblica come una questione privata di parte. Nella demagogia, il popolo (demos) è trascinato (ago) nelle decisioni conservando l’impressione di governarsi da sé, anziché essere attivo interprete.
Il potere è ovunque e si insidia nei più fitti penetrali della vita; si fa strada nelle case, nell’amministrazione, diviene “microfisico”, come scrive Foucault. Ignorarlo non è possibile e fingere di potervisi sottrarre è semplicemente ingenuo. Ogni relazione esprime una dialettica di potere: è potere in movimento, bilanciamento degli interessi. Chi, tra due amici, decide dove si prenderà il prossimo caffè applica una basilare strategia di determinazione politica. Scalata molte volte, questa interazione è la base dei grandi conflitti e della competizione che sommuove il globo.
La pace, come molti hanno detto, non è assenza di guerra, ma condizione dinamica di sicurezza che evolve in simmetria con lo scenario. Una pace datata può diventare il presupposto di un conflitto. In oltre settant’anni di apparente pacificazione sul territorio europeo, gli abitanti del Vecchio Continente si sono adagiati sull’idea di una definitiva sconfitta dell’antica ferinità. Sotterraneamente, lo scontro tra civiltà e barbarie è proseguito. Questo scontro assume oggi diversi nomi: guerra ibrida, a bassa intensità, guerra di deterrenza, guerra normativa competizione economica, culturale, tecnologica. Tutto indica che lo scontro tra nazioni è proseguito cambiando forma.
Le notizie che compongono il quadro di sapore della quotidianità tecnologicamente avanzata e socialmente informata – la comunità smart, in unica parola – si prestano a molteplici livelli di lettura: come eventualità geopolitiche del tutto impreviste, come singole volontà degli Stati o di coloro che ne incarnano la guida, come risultante di lotte politiche interne, come prodotto rizomatico di un intreccio di interessi nazionali e internazionali. La lettura che decidiamo di dare agli eventi influenza la percezione del mondo in cui viviamo. Sperare e disperare resta in nostro potere. Sappiamo che il reale è complesso, molti non approfondiscono quanto lo sia. Ascoltare la seduzione della conoscenza è oggi una decisione coraggiosa, in parte persino controtendenza.
Andrea Meneghel, redazione IASSP
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