06
Jun

Gli aggiornamenti sullo stato bellico del fronte russo-ucraino hanno colpito in questi giorni con una forza travolgente tutta l’Europa. Droni e missili americani (in uso agli ucraini) hanno preso di mira la città di Belgorod, in territorio russo. Lo scenario sembra mutare di nuovo: cambiano le linee di attacco, le zone franche, il tipo di offesa, le precauzioni da una parte e dall’altra. Le compagnie commerciali hanno modificato le rotte di navigazione, i governi sono in allarme, la tensione sale drasticamente. Nessuno sa cosa aspettarsi.
Il vice ministro degli Esteri russo Ryabkov ha parlato di «errori fatali» in riferimento alle dichiarazioni del governo degli Stati Uniti d’America, che avrebbe appoggiato un uso offensivo, seppur limitato, dell’arsenale fornito. Si sta aprendo una ulteriore dimensione di conflitto, con rischio aumentato di ricorso alle armi nucleari. In tutto questo, le prospettive dell’Unione Europea sembrano avere un ruolo scarsamente significativo, se è vero che i russi preferiscono interfacciarsi direttamente con il rivale d’Oltreoceano, anziché vedere nel “vicino” continentale un interlocutore decisivo.
La domanda che poniamo è la seguente: l’attuale proiezione strategica e intellettuale dei governi europei è sufficiente per prevedere, gestire e analizzare gli scenari possibili? Che provvedimenti sono stati presi per prevenire quello a cui stiamo assistendo? La diplomazia europea può intervenire? Come gestire le risorse militari sul Continente?
Troppe questioni restano inevase, stando almeno ai centri di informazione (agenzie, media, televisione e gionali) che hanno recepito la notizia con passività sorprendente. L’informazione, è risaputo, è il nuovo petrolio delle Nazioni; questo vale ancor più in uno scenario dinamico e instabile come quello bellico. L’intelligence – nelle sue varie espressioni – ha un ruolo fondamentale. Eppure, queste strutture continuano a lavorare, soprattutto in Italia, a bassa intensità. Il Paese dovrebbe destinare alle sue strutture informative una quota di bilancio adeguata alle nuove richieste?
I – Anzitutto, i servizi di intelligence istituzionali, il cui compito è intercettare, filtrare e analizzare i dati in ingresso, non dovrebbero essere pensati come componenti isolate, ingranaggi autonomi di un più grande meccanismo. La loro potenzialità deriva dalle occasioni di applicare i risultati a un sistema di informazione diffuso, che comprenda attori economici e politici, fino a raggiungere il grande pubblico. Una rete che avremmo tutto l’interesse a migliorare, se vogliamo essere riconosciuti come attori presenti sullo scacchiere internazionale.
II – In secondo luogo, la loro funzionalità non è ridotta agli obiettivi strettamente governativi e militari. Tutto il sistema-Paese può avvantaggiarsi di un’élite pensante informata e organizzata. Il ricorso all’intelligence dovrebbe rappresentare una prassi constante, più che uno strumento accessorio o, peggio ancora, un apparato che si attiva solo in seguito a sollecitazioni da minacce esterne. Un mancato posizionamento coerente e credibile dell’Italia sulla scena dei conflitti globali e geopolitici ha come sgradevole conseguenza la permeabilità agli interessi strategici di potenze rivali. Stante l’attuale prassi internazionale di coinvolgere strumenti di guerra cognitiva, economica, normativa e ibrida allo stesso tempo, la minaccia è concreta. La debolezza dello spazio informativo vitale al di fuori dei confini nazionali comporta la perdita reale di deterrente politico, con il parallelo acuirsi della crisi nazionale e una maggiore esposizione al calcolo straniero.
In considerazione di quanto esposto, dovremmo pensare i centri di intelligence come luoghi non solo ricettivi e reattivi, ma principalmente come motori di decisioni capaci di influire a vantaggio dell’interesse nazionale sullo scenario globale. In altre parole, dovremmo considerarli come laboratori di strategia. Uno slogan politico di metà secolo recitava «la fantasia al potere», ora non resta che sostituire la fantasia con la creatività strategica (vasto programma, come diceva De Gaulle). Creatività normata da condizioni oggettive che alla fantasia non si pongono, ma che la rendono adeguata al mondo in cui viviamo, senza prospettare fughe o utopie. In sintesi, la strategia è il luogo in cui il possibile si estende a ipotesi. Ipotesi che, più che mai, esigono la nostra responsabilità.
Andrea Meneghel, redazione IASSP
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