17
Jun

Le elezioni europee ci hanno restituito un quadro solo in parte atteso. Alcuni scenari hanno aperto a consistenti rivolgimenti interni – Francia, Olanda, Germania – altri attendono una diversa configurazione delle forze in campo – pentastellati in Italia, Verdi nel continente. PPE e S&D si confermano i maggiori partiti europei, mentre nuovi ingressi e avvicendamenti di varia entità coinvolgono i restanti gruppi parlamentari.
L’analisi che qui vogliamo condurre è politica solo nel senso in cui “politica” è il riflesso della realtà geostrategica, economica e culturale che interessa il globo. Se a livello locale prevalgono i “personaggi” e le aree di voto iper-intense (il paradosso altoatesino), su ampia scala il risultato elettorale si innesta all’interno di una rete di rapporti ed equilibri delicati, in cui la forza dell’evento è sistematicamente tamponata da una serie di filtri e previsioni che consentono, entro un certo margine, di gestire il dato emergente. Sulla scrivania di qualche burocrate nel mondo saranno apparsi da settimane fascicoli che rappresentano la situazione attuale tal quale i giornali ce l’hanno presentata. Non si tratta di un pilotaggio dei risultati, ma di una previsione in ipotesi da parte di analisti competenti.
Una narrazione alleggerita della politica internazionale rappresenta le cabine elettorali come momento decisionale che si ripercuote direttamente sulla governance del mondo. Al contrario, i cambiamenti nella natura evasiva dei conflitti a bassa intensità e nella competizione economica trasversale sono veicolati più da congiunture e accordi sotterranei tra le parti, che da singoli colpi d’ariete. La politica è una complessa coreografia di spinte e contro-spinte, di cui fa parte, senza predominare, la fase elettorale. Altri elementi intervengono a infittire le variabili, come l’inclinazione alla scommessa e l’aleatorietà degli eventi bellici e climatici.
Alterare questi equilibri è un lavoro ad alto rischio, un arte per pochi o la conseguenza di rivolgimenti tellurici e imprevisti. L’intelligence può raccogliere informazioni che aiutano i decisori a orientarsi, ma il risultato è sempre un lavoro di squadra, che spesso coinvolge pubblica amministrazione e imprese insieme. Non esistono più leader solitari o grandi capi-popolo; auspicare un ritorno alla politica dei grandi partiti di massa non è realistico.
Tornando alla situazione europea, l’affresco post-elettorale segnala un interessante ritorno agli equilibri pre-2008. Come qualcuno ha commentato, si rientra nel bipolarismo di destra e sinistra. Il fatto ci sembra notevole. Un sistema politico e di pensiero che credevamo superato con l’ingresso in arena di forze della cosiddetta “terza via” – con le sue alternative più o meno pronunciate – dimostra la sua resistenza alla sostituzione: sia ciò indizio di forza o di semplice inerzia delle idee di un popolo è difficile a dirsi.
Tra centro-destra e centro-sinistra, il centro vince? Può l’acme delle emergenze che affronta il nostro Paese coincidere con l’appiattimento su posizioni cautamente moderate? L’impegno dei nuovi schieramenti sarà quello di ricevere la lezione delle nuove strategie e dinamiche di potere senza perdere identità; mostrarsi all’altezza delle sfide del futuro e provare a riscoprire l’orgoglio di appartenenza.
Andrea Meneghel, redazione IASSP
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