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May
Parto dalla città di Adana, 1076 chilometri ancora avanti a me. Procedo verso Tarso, poi Antiochia, e ancora Şanlıurfa, Harran fino all’est Turchia, Mardin, viaggiando con i mezzi pubblici. Lungo la strada ho potuto osservare la società turca, i suoi costumi e usanze, e sono riuscito a gettare uno sguardo sui brulicanti e incrinati confini con la Siria. Lo scopo della mia spedizione era una ricerca antropologica nell‘Anatolia sudorientale legata alla storia delle religioni. Un pellegrinaggio moderno in visita ai principali luoghi di culto, che rappresentano le fondamenta della fede e della nostra cultura, senza tralasciare importantissimi siti archeologici.
Cos’è il pellegrinaggio? Un movimento spaziale verso il sacro. Luoghi di importanza capitale nella nostra storia – come Göbekli Tepe, santuario tra i più antichi al mondo datato tra 12 mila e 15 mila anni fa – sono cementati nella regione anatolica. Siti ignoti ai circuiti turistici nelle periferie meno frequentate. Un tesoro da recuperare, per cui mi sono avventurato in zone colpite da forti tensioni geopolitiche, sociali e religiose, eventi sismici e bellici. Scrivo per raccontare cosa ho visto.
Ad Antiochia, nel 2023, c’è stato un forte terremoto. Edifici distrutti restano in rovina, mentre famiglie vivono in distese di container grandi come una stanza. Alcuni resistono nelle case martoriate dai danni sismici. L’immobilità dello stato è incresciosa, mentre differenze di reddito marcate continuano a essere visibili anche a un turista distratto. Il politico Atatürk (1881-1938) è considerato l’innovatore della Turchia moderna, uno stato laico che compete sul piano economico con le potenze europee. Ci sono aree molto moderne, come l’industria dell’acciaio ad Alessandretta. Una potenza che incute timore e di cui i turchi vanno molto fieri.
La presenza militare è oppressiva; posti di blocco con blindati e mitragliatrici non sono infrequenti. Presso Harran, quanto più ci si avvicina al confine con la Siria, le barriere e le prove di forza dell’esercito vanno infittendosi in una drammatica parata muscolare. La tensione è palpabile. I carrarmati coesistono con le vite dei civili; i militari passeggiano nella folla. Ho scattato una foto in cui si vedono tre bambini mano nella mano davanti a un carrarmato con la bandiera turca. La città di Harran è antichissima e sussistono edifici di tremila anni fa, con case a forma di cono.
Nell’entroterra, a Şanlıurfa, le cose cambiano drasticamente. Non è possibile recuperare una lattina di birra nemmeno in un centro commerciale o un albergo 5 stelle. Quattro donne su cinque usano il burka – non il velo, il burka – e chiunque veste con forte rischiamo alle usanze locali. Gli stranieri sono visti con diffidenza. Scopriamo una Anatolia molto antica.
La tradizione si mostra anche nell’architettura. Lo spazio per l’abluzione e la preghiera è presente in qualsiasi struttura, dall’aeroporto all’ufficio. Quando è l’ora della preghiera il tassista interrompe la sua attività; i commessi, gli impiegati si fermano per i riti. Una devozione che travalica l’apparente mondanità. Qui Atatürk è molto distante. Del resto, c’è una mancanza di rispetto per le tradizioni occidentali. I resti di una chiesa armena nella periferia di Şanlıurfa sono usati come luogo di ritrovo per grigliate. A Mardin alcuni musulmani mangiano seduti presso un altare cristiano. Rivalità e prevaricazione vincono sullo spirito di riconoscimento. Sono stato vittima di due episodi di aggressione: aprendo la porta del taxi delle persone mi si sono avvicinate chiedendomi soldi e, al mio rifiuto seguito da avvertimenti del tassista, stavano per alzare le mani; sono scappato. Davanti al Tempio di Giobbe alcuni musulmani mi hanno forzato a partecipare controvoglia a un rito, chiudendomi di peso in una stanza. Episodi che mostrano una volontà di integrare l’altro senza il suo consenso.
Qualche esempio di chiesa musealizzata, va detto, c’è e viene rispettato. In una delle ultime zone in cui si parla aramaico antico si incontrano chiese caldee, armene, ortodosse, cattoliche, una protestante. Per un migliaio di chilometri, tuttavia, neanche un occidentale, nemmeno un turista o un immigrato. La contraddizione non è ultima di casa.
Il turco sa essere molto accogliente e gentile con il forestiero. Occorre ammetterlo, si trovano nel turco atti di gentilezza e accoglienza ai quali noi occidentali siamo disabituati. A Mardin sono stato accolto da una famiglia come un figlio, indipendentemente dal timore per ripercussioni e aggressioni.
Non me la sento di giudicare queste persone. Vivono una realtà difficile, alle volte senza speranza. Sembra che qui il tempo si sia fermato. Una Turchia moderna all’apparenza, ma arcaica sotto la superficie. Un popolo fiero e intransigente, pieno di sorprese.
L’esperienza completa si può leggere in L’acqua della vita. Pellegrinaggio in Anatolia alle origini del Sacro, di Emanuele Franz (Audax 2024).
Emanuele Franz
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03Oct
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