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May
Le cosiddette “abilità emergenti”, alcune delle quali appaiono improvvisamente dopo che il modello raggiunge una certa dimensione presentano dei forti corrispettivi con ciò che si verifica nel funzionamento normale o patologico di molti meccanismi umani, per l’emergenza di funzioni o di talenti eccezionali.
Le capacità aritmetiche e quelle di ragionamento verbale appaiono solo in modelli di certe dimensioni. A mio avviso, quando si parla di dimensioni, non bisogna limitarsi solo a considerare il numero dei dati e dei parametri, ma anche la durata del training e, soprattutto, la capacità del modello di essere spinto, stirato (“stretched”) sino all’estremo, fino a raggiungere il + o – infinito (maximum stretching).
Pertanto da una parte bisogna sapere in anteprima quello che c’è oltre l’orizzonte attuale, perché è già partita la corsa verso la costruzione di modelli sempre più potenti. Ma è opportuno conoscere in dettaglio anche tutto quello che può fornire l’approfondita conoscenza di ciò che si verifica nell’uomo, in particolare nella ristretta proporzione di umani in cui “emergono” capacità o abilità straordinarie, o fuori dall’ordinario.
La mia ipotesi è che la macchina usa strumenti e sonde sensoriali o percettive che sono diverse da quelle utilizzate dall’uomo, ma molti dei meccanismi e percorsi di addestramento e apprendimento sono simili o analoghi. L’uomo, per motivi di risparmio energetico e di miniaturizzazione, nel corso dei millenni ha affinato una serie di dispositivi che hanno come scopo finale quello di occupare poco spazio e di funzionare col minimo di energia. In maniera che il tutto possa “attivarsi” in uno spazio concentrato delle dimensioni fisiche di 1,75 metri di altezza per 70 kg di peso.
Con queste finalità si sono affinati dispositivi come l’occhio, la cui evoluzione ha attratto in particolare le speculazioni di Darwin. Ma si sono perfezionati anche tutti gli altri sensi e i principali circuiti funzionali, che sono alla base del normale funzionamento dei vari organi ed apparati dell’organismo umano. Le macchine artificiali, che possono contare su piattaforme di grandi dimensioni, che occupano spazi enormi e possono essere dotate di memoria sovrumana e di enorme velocità di calcolo, a cui poi possono essere “attaccati” i singoli dispositivi che fungono da agenti o chatbot, hanno già potenzialità enormemente maggiori di quelle umane per quanto riguarda memoria, immissione di dati e velocità di calcolo.
Ma possono implementare ulteriormente queste capacità specifiche e, mediante la combinazione di diverse abilità e di addestramento per compiti diversi all’interno dello stesso agente, possono acquisire altre abilità, che sono in relazione con informazioni e dati che non provengono solo da testi scritti o immagini, ma da un numero enorme di informazioni derivate dall’interazione col mondo reale.
Gli aspetti che intendo sottolineare sono 3.
In primo luogo: a) la quantità di dati da immettere e processare, la potenza della memoria e la velocità di calcolo possono ulteriormente aumentare; b) possono essere incorporati dati e token provenienti da fonti diverse che utilizzano meccanismi di percezione diversa.
In secondo luogo: a) i meccanismi di percezione, le sonde sensoriali che usa o che userà in futuro la macchina saranno diverse da quelle in uso nell’uomo per effetto dell’evoluzione. Queste speciali sonde sensoriali umane si sono evolute nel corso di millenni fino a raggiungere capacità quasi massimali, per le dimensioni fisiche dell’involucro umano, delle sue abilità energetiche e di funzionamento in condizioni di massimo risparmio. Questa evoluzione da una parte rappresenta una superspecializzazione, ma dall’altra un limite difficilmente superabile, perché soggetto a vincoli embriologici, di sviluppo, di compressione e di miniaturizzazione obbligata.
Gli uomini sono dei bonsai rispetto alle macchine, che possono assumere le dimensioni di sequoie gigantesche. Inoltre, le macchine sono più duttili e possono andare incontro ad un maggior numero di abilità emergenti. Oltre a possedere reti neurali che possono essere moltiplicate e adattate di volta in volta a seconda dei bisogni e dei compiti da svolgere, è come se le macchine fossero costituite da un insieme di cellule staminali totipotenti, potenzialmente capaci di svilupparsi in qualsiasi direzione.
Il terzo aspetto è che, anche se la materia di cui sono costituiti l’uomo e la macchina, rispettivamente materia organica e inorganica, è diversa, e sono diverse anche le sonde sensoriali con cui si ottengono le percezioni (splendide nella loro performance in rapporto alla miniaturizzazione quelle umane, che sono però limitate da numerosi vincoli strutturali; capaci di ulteriore implementazione quelle della macchina), i meccanismi attraverso cui vengono ottenute le varie prestazioni e si raggiunge il perfezionamento delle funzioni, con l’emergenza di abilità che risultano per il momento inspiegabili nella macchina, sono straordinariamente simili.
Pertanto, da una parte la macchina potrebbe aiutare a capire meglio il funzionamento di molti meccanismi umani, sia per quanto riguarda le capacità percettive, che quelle attualmente considerate mentali, associative, o superiori; dall’altra lo studio approfondito del funzionamento degli organi, dei sistemi e degli apparati della macchina dell’organismo umano potrebbe aiutare sia a prevedere che a interpretare più correttamente alcuni comportamenti inspiegabili della macchina superintelligente. Questo con una duplice finalità: 1) umanizzare sempre più il comportamento della macchina artificiale, conoscendo in dettaglio gli step di funzionamento di quella umana; 2) prevenire o minimizzare i derangment, (l’uscita fuori dai binari), i rischi e gli effetti collaterali potenzialmente deleteri, proprio sulla base del comportamento umano in condizioni fisiologiche e patologiche.
Per ottimizzare questo approccio è necessario conoscere in dettaglio il funzionamento dei 360 circuiti del corpo umano. I quali non si comportano esattamente secondo quanto introiettato dal senso comune e nemmeno secondo quanto viene fatto passare come scienza consolidata da un congruo numero di ricercatori ossequiosi di un certo tipo di scienza “main stream”.
È fondamentale un maggior sapere critico, applicando l’approccio fisiopatologico, oltre a quello neurofisiologico, ed un uso appropriato delle discipline del corpo umano, con la ricerca sistematica non solo dei correlati neurali, ma anche dei corrispettivi anatomo-funzionali dei vari comportamenti per saperne di più su come funziona la macchina organismica.
Si scopre così che l’uomo non è guidato solo dalla razionalità, ma dagli impulsi dai riflessi, e anche dal cosiddetto cervello viscerale. Esiste un rapporto di 6:1 tra i sistemi di controllo bottom-up dai visceri verso la periferia, con 6 diversi circuiti di modulazione del cervello provenienti dai visceri e dai sensi, e un solo circuito top-down di super-regolazione, a partenza dal cervello, con l’acetil colina come mediatore, che dovrebbe controllare gli impulsi periferici sulla base di una guida razionale, legata al “ripensamento” delle sensazioni, emozioni ed impulsi a partenza dalla “pancia”.
In particolare, molte della attività del pensiero, quelle considerate legate alle aree corticali, che governano i meccanismi di associazione, o quelli della cosiddetta creatività, in realtà hanno molto a che fare anche con il movimento, l’allenamento muscolare e viscerale, il coordinamento tra corpo e attività cerebrale. Recenti ricerche hanno evidenziato una stretta correlazione tra aumento delle capacità cognitive e modifiche a carico di piccole aree della corteccia parietale, che si sviluppano in seguito all’esecuzione ripetuta di movimenti fini, di attività di coordinamento occhio-mano, come suonare uno strumento musicale (violino, pianoforte), dipingere, scrivere, allenarsi a ricomporre manualmente il cubo di Kubik. Molti dei grandi geni del passato erano geni multidisciplinari, in cui le abilità manuali (pittura, disegno, musica, scrittura, manualità chirurgica o sperimentale) si associavano ad eccezionali capacità speculative, inventive, innovative.
Non solo, ma quasi tutti i grandi geni del passato erano malati. In altre parole, a fronte di talenti eccezionali ed abilità straordinarie (memoria, capacità di concentrazione, talento per i numeri, abilità nel disegno, capacità matematiche), i grandi geni presentavano spesso disturbi dell’affettività, o comportamenti francamente patologici, che potevano includere la sindrome di Asperger e altre forme dello spettro dell’autismo, le sinestesie, ma anche atteggiamenti di tipo compulsivo, disturbi della personalità, con tratti di narcisismo e megalomania, fino a disturbi più gravi, di tipo psicotico, oltre a malattie organiche come cecità, sordità, strabismo, e a vari handicap funzionali o malattie organiche dell’apparato digerente (ulcera peptica, enterocoliti), respiratorio (asma, riniti allergiche), metabolico (disturbi dell’alimentazione, obesità, diabete, sindrome dismetabolica) o immunitario (malattie autoimmuni).
Ho di recente sottolineato come la malattia e l’handicap funzionale si associno frequentemente alla creatività e all’emergenza o all’affinamento di talenti eccezionali. (F. Cetta “Perché comandano i folli e noi li facciamo comandare”. Vol I e II, Pagine, Roma, 2021, 2022).
E come questo si verifichi sia spontaneamente (accanto alla malattia di base), ma anche in risposta, in maniera reattiva, per cercare di contrastare l’handicap funzionale iniziale causato dalla malattia, attraverso opportuni meccanismi di compenso e riciclo di aree cerebrali o di segmenti del resto del corpo, contigui dal punto di vista anatomico o affini da quello funzionale.
Francesco Cetta
Docente IASSP di “Intelligenza Artificiale Umanizzata”
e docente Università San Raffaele, Milano
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