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Apr
Università digitali, telematiche, a distanza, online. L’incertezza della nomenclatura è segno conclamato di una fattività emergente: un nuovo fenomeno guadagna terreno senza che sia ancora del tutto stabilito. Le università di nuova generazione sono già di fatto una realtà, ma la loro completa ricezione presso il pubblico nazionale attende una organica familiarizzazione. Per ora, l’interregno dei nuovi orizzonti formativi pone potenzialità e notevoli opportunità, ma anche incertezze e critiche – alcune delle quali ampiamente esplorate dai giornali – che si annuvolano senza appello ai precorsi storici. L’esperienza darà il suo giudizio, severo o benevolo, ma il compito del pensiero è provare a intercettare lo sviluppo delle cose, per comprenderle e anticiparle. Questo ci proponiamo di fare nel nostro intervento e successivi due dedicati agli atenei smart del XXI secolo.
Il panorama che si va configurando intorno alla formazione digitale (principalmente legato all’istruzione terziaria) non è solo una variante di ciò che prima esisteva, un equivalente “online” degli atenei in situ, ma uno scenario diverso, con potenzialità e risorse inesplorate, a cui avvicinarsi con mentalità fresca e curiosa. All’erogazione contingentemente differenziata di un servizio, infatti, si affiancano i correlati di un’esperienza sociale ed estetica alternativa, che investe le forme di relazione al sapere. Questa distinzione tra università telematiche e tradizionali riguarda una pluralità di caratteristiche determinanti per la vita degli studenti. Ne abbiamo individuate quattro:
- indifferenza locale;
- fruizione diacronica;
- riflessività didattica;
- uniformità valutativa.
La prime due fanno riferimento alla possibilità di seguire la stessa lezione in luoghi e secondo tempi differenziati, senza incidenza alcuna sul contenuto. La terza si applica alla relazione tra insegnante e studente, dove si assiste all’interessante sbilanciamento verso l’iniziativa di quest’ultimo. La quarta riguarda il metro e l’omogeneità dei criteri di valutazione sull’intero campione studentesco.
Traiamo alcune conseguenze. Dalla rimozione della variabile locale deriva non solo un’enorme agevolazione per coloro che, abitando in zone remote o mal servite – come non è raro in Italia – potrebbero essere tentati di desistere dalla prosecuzione degli studi, ma anche per quella quota significativa di famiglie che faticano a pagare, oltre alla retta, un affitto fuori città e una convenzione con i mezzi regionali. Spostarsi fisicamente nel luogo di lezione è, nel bene e nel male, un ostacolo. Si perde, va notato, l’esperienza qualificante del soggiorno fuori porta e la condivisione di un momento della vita con i colleghi di studio.
Circa la possibilità di gestire i tempi dello studio, pertinente sia la distribuzione oraria sia la scelta dei macro-periodi di maggiore impegno, i principali beneficiari crediamo saranno gli studenti-lavoratori e le famiglie in cui persistono esigenze formative tra i ruoli genitoriali. Questo rilievo è di interesse soprattutto per la potenziale riscoperta della complementazione di studio e lavoro, esperienza corroborante e significativa, pur ammettendo alcuni limiti. Uno studente dovrebbe avere il tempo, crediamo, di dedicarsi agli studi senza urgenze esterne. La fatica di un secondo impegno, tuttavia, può elevare il talento e introdurre in forma completa le competenze parzialmente reintrodotte, per via omeopatica, con il tirocinio curricolare.
In terzo luogo, l’inversione dei ruoli didattici, cioè lo spostamento dell’asse di attenzione dalla lezione frontale dell’insegnante all’intervento manuale dello studente che avvia la registrazione, avrà conseguenze importanti. L’esperienza che ne risulta appare esteticamente e funzionalmente diversa: da un lato vanno calcolate le comodità dell’ambiente di studio e l’accesso a comportamenti non facili da attuare in aula – come il dialogo contestuale con un collega o l’uscita per il caffè – ma anche la possibilità di riavvolgere, fermare, far riprendere il discorso. D’altro lato, si tratta di un rapporto con il sapere che necessita di grandi quote di auto-motivazione, costanza, impegno, attenzione. Va accolta, dunque, cum grano salis, e soprattutto in relazione all’effettiva disponibilità allo studio e alla comprensione delle motivazioni intrinseche al raggiungimento del titolo.
Si segna con un gesso bianco, in ultimo, la raggiunta uniformità valutativa su tutto il territorio della Penisola, altrimenti soggetta a variabili culturali fittissime, di cui altri Paesi non risentono (pensiamo a quanti chilometri occorre viaggiare per incontrare differenze di costume tangibili negli USA).
Abbiamo preferito non menzionare la differenza di costo all’immatricolazione, benché rilevante, in quanto non costituisce elemento determinante, necessario, perché si parli di accademia online. Variazioni di costo, anche fino all’equivalenza con le rette delle università tradizionali, non influirebbero significativamente sullo svolgimento dell’effettiva pratica dello studio, come invece le altre specificità che abbiamo rilevato.
In conclusione, le università telematiche sono realtà peculiari con caratteristiche proprie; offrono risorse da cui trarre vantaggio in relazione alle esigenze personali, ma non possono essere considerate sostituti degli atenei fisici, in quanto l’esperienza che apportano è, per forza di circostanze, diversa. I vantaggi che presentano sono numerosi: dal contrasto alle barriere estrinseche (tempo e distanza) all’attenuazione di alcuni rischi endemici agli istituti tradizionali (la divergenza valutativa, la perdita di interesse). Entrambe le forme di studio hanno titolo di concorrere alla crescita culturale del Paese. La varietà è forza.
Andrea Meneghel, redazione IASSP
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03Oct
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