18
Mar
Nel mese di febbraio l’Unione Europea ha raggiunto uno storico accordo creando il primo regolamento sull’Intelligenza Artificiale (IA). La rapida evoluzione ed espansione della IA ha già portato grandi cambiamenti alle nostre vite e ne porterà di ulteriori anche in futuro. Secondo un recente rapporto del Fondo Monetario Internazionale, discusso durante il World Economic Forum a Davos lo scorso gennaio, la IA avrà conseguenze sul 40% dei posti di lavoro a livello globale, arrivando al 60% nelle economie avanzate con il potenziale di aumentare ulteriormente il divario tra Paesi ricchi e Paesi poveri. Anche il ritmo del cambiamento ha subito un’accelerazione negli ultimi anni con ingenti investimenti nel settore, specialmente negli Stati Uniti.
Sempre nel mese di Febbraio, Nvidia, il produttore dei principali chip sottostanti lo sviluppo dell’IA, è diventata la terza azienda per capitalizzazione negli Stati Uniti: un dato che sottolinea l’impatto incrementale delle tecnologie di IA nel nostro quotidiano portando al centro del dibattito sulla questione non solo notizie entusiasmanti, ma anche preoccupazioni sull’uso e sull’applicazione di queste nuove tecnologie. Diversi ambiti della nostra vita ne sono già affetti tra cui la già citata occupazione, il controllo sociale, le violazioni del copyright, la diffusione di fake news, il comportamento discriminatorio e la manipolazione a fini di propaganda elettorale.
Pertanto l’Europa sta cercando di diventare un punto di riferimento tramite la definizione di una legislazione dedicata elaborando un primo quadro normativo sull’applicazione e lo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Riflettere a lungo sulle implicazioni sociali delle nuove applicazioni e dei nuovi strumenti che arrivano quotidianamente sul mercato può anche essere importante, ma non possiamo limitarci alla loro mera regolamentazione.
Molti si ricorderanno la prima ricerca fatta su Google e la sconcertante differenza in termini di velocità e risultati che ha prodotto rispetto ai motori di ricerca tradizionali che si usavano all’epoca. Sebbene il dominio mondiale del motore di Google sia inconfutabile, esistono mercati in cui la sua leadership è stata messa in discussione. Prendiamo come esempio il motore di ricerca Baidu (Pechino, 2000) che nel 2023 deteneva il 67% della quota di mercato in Cina (dati Statcounter.com).
Nello stesso periodo, il motore più popolare nella Federazione Russa è stato Yandex, con quasi il 70%. Da parte sua, la UE non è riuscita a sviluppare un equivalente motore di ricerca che goda di una popolarità significativa: secondo la fonte appena citata, nel 2023 il 91,5% delle ricerche online in Europa è passata attraverso Google. Ciò che ha fatto invece la UE è stato cercare (disperatamente) di regolamentare il motore americano con motivazioni tese a tutelare la riservatezza dei suoi cittadini, il loro diritto all’oblio e la concorrenza stessa attraverso una serie di azioni antitrust. Eppure, mentre la UE conduceva le sue battaglie, i suoi cittadini hanno allegramente ignorato i motori costruiti per proteggere la privacy voltando di fatto le spalle alle preoccupazioni dei suoi legislatori.
La realtà è ancora peggiore: a volte le norme della UE di fatto cadono nel vuoto. Ad esempio, le informazioni rimosse per tutelare il “diritto all’oblio” spesso non vengono effettivamente rimosse ma diventano semplicemente non visibili quando si effettua una ricerca da un indirizzo IP (Internet Protocol) basato nella UE.
Il resto dell’umanità, compresi i cittadini della UE dotati di una semplice VPN (Rete Privata Virtuale), può comunque accedere alle informazioni schermate. Considerazioni simili valgono per le vendite online, dove il dibattito sulle modalità di accesso, l’impatto sulle comunità locali, la logistica e, ancora una volta, la concorrenza, ha scatenato dibattiti per anni. Eppure, a seguire i 554 miliardi di dollari di vendite di Amazon, troviamo prima altri rivenditori statunitensi per arrivare poi a due campioni cinesi, Alibaba e JD.com (Jing Dong), con vendite rispettivamente di 127 e 151 miliardi di dollari nel 2022. E l’Europa a che punto è? Otto, un venditore online tedesco, ha registrato nello stesso periodo un fatturato di poco inferiore ai 18 miliardi di dollari. Non siamo riusciti a produrre un campione nostrano o, meglio ancora, un modello alternativo, come una piattaforma open source che possa permettere a tutti i produttori europei di vendere i loro prodotti.
La lista potrebbe continuare a lungo, includendo i social media, i siti di networking professionale, le piattaforme di intrattenimento e molte altre aree del mondo tecnologico, ormai egemonia di altri, che noi europei abbiamo scelto di (tentato di) regolamentare piuttosto che fare da apripista. Non sarebbe meglio subordinare la regolamentazione a un’azione volta all’ingresso deciso nel mercato della IA, incoraggiandone lo sviluppo e la concorrenza alle innovazioni altrui? Se guardiamo al modo in cui la IA si sta evolvendo, la nostra unica speranza di darle una forma accettabile è in primis quella di svilupparla e utilizzarla noi stessi.
L’Ordine Esecutivo (Excutive Order) sulla IA del Presidente Biden pubblicato lo scorso ottobre parte da un punto molto diverso: la cooperazione e la condivisione di informazioni tra le principali aziende statunitensi del settore della IA e il governo americano è posta come condizione sine qua non per poter procedere alla sua corretta regolamentazione. Ancor prima di articolare le regole da seguire e le aree in cui l’Amministrazione Biden concentrerà i propri sforzi di protezione, il primo passo è stato quello di imporre la condivisione della conoscenza.
Come pensano di accedere le autorità europee alle informazioni pertinenti e necessarie per regolamentare la IA? Come possiamo evitare il rischio di trasformare una serie di buone intenzioni in un altro insieme di documenti ridondanti analoghi a quelli spesso prodotti per effetto del regolamento europeo sulla protezione dei dati (GDPR), con un dubbio risultato sull’effettiva protezione dei dati dei propri cittadini? Sappiamo bene ormai che i cittadini della UE, desiderosi di utilizzare una nuova applicazione divertente, sottoscrivono prontamente le informative senza leggere – e ancor meno comprendere – i diritti che essi stanno cedendo. Ma il pericolo, a mio avviso, ora è ancora più grande: il cercare di forzare la regolamentazione dell’algoritmo (o l’ambito della sua applicazione) come modo per ridurre i suoi potenziali danni rischia di non centrare il punto.
Lo sviluppatore dell’algoritmo non è necessariamente la mente o l’azienda che ne comprenderà tutte le implicazioni o che avrà l’idea di applicarlo a un ambito diverso. Pensiamo a un algoritmo di IA come al telescopio originale: torneremmo a multare i suoi inventori per non aver incluso l’astronomia tra i suoi usi, quando ci volle una delle più grandi menti europee del suo tempo per pensare di applicare lo strumento allo studio dei corpi celesti? E c’è di più: molte delle soluzioni ad alcuni dei problemi sollevati dall’uso dell’intelligenza artificiale sono risolte dalla IA stessa attraverso applicazioni di IA concorrenti.
Ad esempio, per quanto riguarda il plagio, sono già disponibili diversi strumenti che possono aiutare a identificare la percentuale di un testo che potrebbe essere stata prodotta da un algoritmo. Quindi, forse la UE dovrebbe subordinare la riflessione sulla regolamentazione alla questione-chiave di come rendere la UE un leader della IA.
Marianna Vintiadis, Chief Executive Officer di 36Brains e relatrice dei progetti di formazione IASSP
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03Oct
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