02
Jan
Nell’assenza dell’autorevolezza sta la polverizzazione del sapere. Il sistema educativo contemporaneo resta aggrovigliato in una preparazione generale che non è in grado di sviluppare lo sguardo profondo sul reale. Far prevalere gli studi tecnico-scientifici e l’urgenza della spendibilità disciplinare è una direzione ormai molto diffusa nel cortile didattico occidentale: le conoscenze richieste sono limitate a porzioni sempre più specifiche, relative a singoli compiti, ed esaminate con quel pragmatismo culturale che si sta progressivamente sostituendo alla riflessione metodica, che dovrebbe abituare i giovani a ragionare con la propria testa. Gli effetti si osservano nelle generazioni recenti, che cercano abitualmente il modo più immediato per rapportarsi alle cose. Concentrarsi sulla soluzione di un problema alla volta non permette loro di accedere alla sicurezza basilare su cui affidare le scelte successive.
L’istanza pedagogica all’orizzonte non è così elementare da poter essere lavata via con una ridistribuzione del carico di ore a scuola: inizia a monte, dai genitori, i quali continuano a voler essere figli e non si assumono la responsabilità di un’autorevolezza nella trasmissione dei valori. Cosa può fare la formazione pubblica e privata per porre rimedio? Recuperare il senso umanistico dello studio. Abbandonare la visione funzionale della cultura, in cui prevale la mera pratica sulla pazienza del concetto, e riscoprire l’autonoma utilità delle lingue classiche, che non sono lingue morte, ma lingue letterarie, e vivono tutt’oggi negli scritti che hanno influenzato la cultura attraverso i secoli.
«A partire dagli anni 60 del Novecento – scrive la sociologa Martha Nussbaum – l’ondata scientifica ha spinto diversi Paesi europei a decidere di contrarre il ruolo dello studio delle lingue classiche nella formazione medio-superiore, anzitutto limitandone la presenza a un solo indirizzo di tipo “ginnasiale”».
«Qui – cioè nella formazione basata sulle lingue classiche, continua la studiosa – si innestano le ragioni educative generali di una (…) conoscenza geo-storica non meramente cronachistica o erudita, ma di taglio antropologico e critico, e insieme le ragioni della presenza di quei classici che sono portatori eccellenti di visioni del mondo che hanno condizionato alle radici la nostra cultura».
Le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica. Utilizzando il modello brachilogico del pensiero rischiamo di rimanere vittime di precomprensioni che rimangono per noi cogenti: smettiamo di interrogarci su chi prende le decisioni, come e perché; accettiamo che qualcuno che non siamo noi faccia scelte per la comunità.
Non dimentichiamo cosa significa cultura umanistica. Cultura umanistica significa recuperare pienamente l’importanza della classicità come chiave per aprire la mente alla comprensione dell’altro da noi, anzitutto di quell’altro di cui noi siamo figli. Non si deve ridurre tutto a uno studio storico erudito per conoscere il passato con atteggiamento museale; la validità di una formazione improntata ai saperi tradizionali e alla conoscenza delle lingue antiche ottiene un impatto fortissimo anche dal punto di vista pratico soprattutto sulla capacità del Paese di raffinare il sistema di pensiero ed esprimere scelte consapevoli. Da un punto di vista funzionale immediato questa educazione può rivelarsi del tutto inutile o marginalmente utile, ma nella valutazione di lungo termine l’arricchimento che offre è incommensurabile.
Coniugando la prospettiva contemporanea della Nussbaum – dove lo studio delle lingue classiche si rivela essenziale per sviluppare la capacità di relazionarsi e prendere decisioni per il bene pubblico – e quella antica di Platone – secondo cui la bellezza è l’attività più importante che l’uomo possa svolgere, perché vettore della bontà politica – capiamo che la cultura classica che educa alla bellezza e a una conoscenza di matrice umanistica è la più utile per la costruzione della classe dirigente del futuro. Solo amando il fondamento della nostra civiltà possiamo crescere politici e intellettuali all’altezza di un compito di questa portata.
Prof. Stefano Zecchi, filosofo e scrittore, già Assessore alla Cultura del Comune di Milano. Relatore IASSP
(A cura di Andrea Meneghel)
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03Oct
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