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Jan
Che cosa si intende per merito individuale?
Di merito si parla nell’articolo 34 della Costituzione Italiana.
Di talenti e dell’uso diverso che ciascuno ne fa si trova traccia nel Vangelo, nella famosa parabola dei talenti. Già all’inizio dell’era cristiana, il merito era considerato frutto di una dote posseduta ab initio[1], ma poi anche della capacità individuale di implementare questo patrimonio individuale, sulla base di scelte personali, che spesso prevedono anche duro allenamento, abitudine alla fatica, sacrificio.
In realtà, molti talenti eccezionali emergono e si sviluppano in soggetti predisposti, con un corredo genetico ed epigenetico che li favorisce se sono “diversi”, incluso le affezioni e i sintomi patologici.[2]
Il talento eccezionale[3] è una delle componenti essenziali che facilita l’inclusione di un individuo nel gruppo dei “capaci e meritevoli”.
Comunque, fino alla fine del XX secolo, sia l’emergenza e lo sviluppo dei talenti, che la loro finalizzazione con l’ottenimento del successo nei campi più disparati, e quindi una valutazione positiva di merito, erano considerati caratteri che potevano essere implementati con l’allenamento (“training”), o con l’impiego di moduli o schemi ripetitivi che rientravano comunque nell’ambito delle funzioni organismiche naturali.
Negli ultimi due decenni, inizialmente allo scopo di ripristinare funzioni perdute, o di contrastare gravi handicap organici o psichici, provocati da patologie, traumi, incidenti, interventi chirurgici, prima con l’intento di recuperare la funzione sensoriale e motoria, e poi anche per migliorare l‘attività cognitiva, si è sviluppato in maniera esponenziale l’uso di protesi, appendici, o arti artificiali, ma anche di procedure, strumenti e device in grado di migliorare e implementare la capacità mnemonica, o l’attività cognitiva di base, quella considerabile come fisiologica.
Le protesi, così come l’interazione uomo-macchina[4],sono state usate in maniera crescente per espandere e aumentare le capacità, il grado di funzionalità dei vari organi e sistemi, anche oltre le possibilità naturali di ciascun individuo.
Pertanto i vari talenti, anche quelli intimamente collegati con ciò che attualmente viene incluso nel temine di “merito”, già oggi – ma sempre più nel prossimo futuro – potranno essere espansi, ampliati artificialmente, con la possibilità di implementare le capacità iniziali dei vari sensi, ma anche di migliorare con mezzi non naturali l’attenzione, la memoria, l’apprendimento, le capacità cognitive.
È self-evident che questa possibilità offerta concretamente all’uomo contemporaneo determina una variazione sia della definizione che della tutela e della prevenzione degli abusi che un merito artificialmente aumentato può comportare nei vari tipi di gare, non solo sportive[5], ma anche in qualsiasi tipo di competizione o valutazione, in cui, nel rispetto del dettato costituzionale, il merito naturale dovrebbe essere tutelato.
Senza scendere in dettagli troppo specialistici, proverò a tracciare un quadro complessivo di come, partendo dall’iniziale richiesta di sostituire o ripristinare funzioni corporee danneggiate per traumi o malattie, si sia progressivamente passati a un uso sempre più esteso di sostanze o dispositivi implementativi della funzione. Questi “aiuti” non si limitano agli attrezzi della palestra per sviluppare la muscolatura, o all’uso di integratori, o molecole con funzioni specifiche, controllate dalle autorità competenti[6], per migliorare le prestazioni muscolari, o di farmaci per acuire la memoria o l’attenzione, (agenti psicostimolanti). Ma arrivano a includere sostanze in grado di aumentare la capacità cognitiva, o addirittura la creatività[7], o l’uso di dispositivi, che possono interferire anche con le funzioni cerebrali (stimolazione cerebrale profonda), mediante l’attivazione transcranica di determinate aree corticali, ma anche mediante l’infissione di aghi intracerebrali.
Queste procedure più complesse (l’infissione di aghi) per il momento sono limitate alla cura di casi particolarmente gravi di malattie refrattarie a qualsiasi tipo di terapia medica.
La creatività umana, quella propria dei grandi creativi malati usa spesso il pensiero divergente e scorciatoie patologiche, piuttosto che la logica, il sillogismo, o il calcolo probabilistico. (vedi F.Cetta , opere succitate). In un recente saggio “La scorciatoia”, (Il Mulino, 2023), Nello Cristianini afferma che “la macchina è diventata intelligente non comportandosi in maniera umana”. Questa conclusione a mio avviso non è scientificamente condivisibile, perché in realtà è possibile trovare molte affinità nei meccanismi usati dalla macchina e dall’uomo. Non solo perché anche le macchine straordinarie super-intelligenti usano meccanismi analoghi a quelli dell’uomo, anche se il confronto va più correttamente fatto con il grande creativo, dotato di talenti straordinari, piuttosto che con i meccanismi usati dall’uomo medio.
In particolare, c’è ancora molto da capire su come funzionano le macchine super-intelligenti. Molto sfugge al controllo e alla comprensione umana attuale.
Non c’è dubbio che l’intelligenza artificiale sia in grado di implementare sia le capacità cognitive globali che specifici talenti. E questo coinvolge il merito individuale e porta necessariamente a considerare non solo che cosa si debba intendere per merito naturale, ma anche quali tipi di merito aumentato in una realtà diventata in gran parte artificiale siano da considerare auspicabili e non debbano per converso essere controllati e prevenuti, in particolare quando entrano in competizione con il merito degli altri per il raggiungimento dello stesso obiettivo e, più in generale, del successo.
Si tratta di un punto controverso, oggetto di un dibattito in continua evoluzione.
L’idea generale alla base del miglioramento delle capacità individuali e dello sviluppo di talenti in soggetti normali è quella di utilizzare tecniche simili a quelle che sono state utilizzate in persone con lesioni o patologie neuropsichiatriche.
L’adattamento, che è alla base della selezione darwiniana, potrebbe essere non solo frutto della casualità e della stocasticità[8] dei mutamenti genetici, ma anche di un atto volontario e premeditato della nostra specie. È questo il sogno dei transumanisti, come Raymond Kurzweil, i quali sostengono che è possibile migliorare la condizione umana in tutte le sue forme, attraverso tecnologie come l’ingegneria genetica, la bioingegneria, l’intelligenza artificiale e la nanotecnologia molecolare. La loro premessa fondamentale è che l’evoluzione biologica potrà eventualmente essere superata dai progressi della tecnologia con la possibilità di creazione di organismi umani 2.0, molto più resistenti e con capacità funzionali e intellettuali aumentate.
Importanza dei dettagli, dei corrispettivi anatomo-funzionali e della conoscenza dei meccanismi suggeriti dall’approccio fisiopatologico
Per delineare meglio il quadro del merito individuale nell’era dell’intelligenza artificiale devo scendere nei dettagli, in particolare nella ricerca dei corrispettivi anatomo-funzionali di determinate abilità e capacità, perché altrimenti si rischia di parlare di aria fritta.
Pertanto, prima provo a delineare a grandi linee i progressi delle tecniche e dei device che stanno impiegando in maniera crescente l’IA, partendo dal primo impiego nell’uomo di protesi e dispositivi per riparare danni motori o funzionali e, successivamente, cerco di immaginare come device basati sulla IA potranno essere utilizzati anche dall’uomo normale, senza handicap evidenti, proprio per implementare artificialmente le proprie capacità. E quindi il suo merito in una valutazione comparativa.
Più che soffermarmi sugli aspetti esclusivamente etici o giuridici, provo da clinico e fisiopatologo a focalizzare l’attenzione sulle incertezze che tuttora esistono, quando si tenta di usare dispositivi associati alla IA e capaci di determinare una stimolazione cerebrale, in grado di migliorare le prestazioni funzionali. Le maggiori incertezze riguardano gli effetti collaterali e le ripercussioni negative nei soggetti normali, che potrebbero essere attratti da questo tipo di doping mentale.
In particolare, oltre alle imprevedibilità degli effetti, è certo che a fronte di alcuni vantaggi cognitivi ci sono svantaggi o alterazioni a carico di altri circuiti organismici. Ma, per saperne di più, è necessario scendere in dettagli che sono di fisiopatologia organismica e di funzionamento del corpo umano. Perché per il momento, anche se AlfaGo e ChatGPT[9], si sono dimostrati capaci di prestazioni eccezionali, nessuno sa quali siano i meccanismi e i percorsi attraverso cui le macchine hanno ottenuto questi risultati. Molti programmatori informatici ritengono che non sia importante conoscere i meccanismi in dettaglio, ma che ci si possa accontentare del fatto che abbiano successo.
Io, al contrario, ritengo che la conoscenza dei meccanismi sia essenziale. Anche se al momento si ignorano i percorsi funzionali della macchina, è fondamentale usare come modello ciò che succede o si è verificato nell’uomo che ha acquisito talenti eccezionali, proprio per provare a prevedere in dettaglio con quali percorsi e quali meccanismi va a interagire la macchina – e quali modifiche o alterazioni si verificano e in quali circuiti – quando diventa super-intelligente.
È questo il traguardo più importante per evitare, combattere e prevenire i pericoli di un’intelligenza artificiale fuori controllo: conoscere con precisione come funziona e come attiva i superpoteri piuttosto che fissare norme giuridiche che limitino lo sviluppo di macchine troppo autonome, senza sapere prima quali sono gli effetti e le conseguenze di questo eccesso di autonomia. Dagli eccessi incontrollati e dalla imprevedibilità delle macchine dotate di intelligenza super sofisticata non dipende solo la valutazione del merito individuale degli individui che ne fanno uso, ma anche la possibilità di progresso futuro e la persistenza stessa del genere umano come lo abbiamo conosciuto finora.
Che cosa ci rende umani
La premessa fondamentale che guida il lavoro dei ricercatori è che noi interagiamo con un ampio spettro di tecnologie digitali per le diverse azioni della vita quotidiana. Nei sistemi informatici la velocità di ricezione e di invio delle informazioni è maggiore di quella umana. Le interfacce cervello-computer determinano vantaggi per l’interazione e la comunicazione, sia con i dispositivi che con le altre persone, poiché aumentano notevolmente la velocità di emissione delle informazioni. La possibilità di ricorrere a tecnologie basate sulla nostra attività cerebrale e in grado di decodificare i nostri pensieri per poi utilizzarli come comandi o segnali di uscita delle informazioni, aumenterebbe notevolmente la nostra capacità di interagire con l’ambiente. Le interfacce cervello-computer potrebbero implicare tecnologie invasive (come gli impianti intracerebrali), o non invasive (come l’EEG o la stimolazione transcranica). Queste tecnologie non consisteranno solo in sistemi in grado di registrare l’attività cerebrale (come con L’EEG), ma interagiranno anche con dei sistemi che la stimolino. In altri termini, si potranno utilizzare dei sistemi bidirezionali (circuiti chiusi) capaci di identificare l’attività cerebrale e di influire su di essa per “ottimizzarla”, o anche per stimolare lo sviluppo magnificato di alcune funzioni, che poi andranno a influire sul merito individuale.
Un aspetto importante da capire è “che cosa ci rende umani” e ottenere una migliore conoscenza della nostra struttura organismica e dei meccanismi di funzionamento interno.
Quindi lo studio clinico dell’uomo usando l’approccio fisiopatologico può determinare un aumento dello sviluppo delle tecnologie di intelligenza artificiale.
Ma anche nel caso specifico della velocizzazione della trasmissione delle informazioni, io invito alla cautela. Infatti, gli impianti intracerebrali saranno in grado di decodificare il significato dei pattern di attività cerebrale che si generano durante il processamento mentale, e potranno inviare queste informazioni sia a diversi computer, che ad altre persone senza che vi sia bisogno della mediazione del linguaggio verbale. Pertanto, il significato dei nostri pensieri potrà essere trasmesso ai nostri interlocutori in maniera diretta, e simile a quando pensiamo, comunichiamo con noi stessi (introspezione e interocezione) e/o restiamo in contemplazione con i nostri pensieri. Non sempre i concetti sono rappresentabili attraverso le parole, perché corrispondono a concetti complessi. Le interfacce cervello-computer trasformeranno la comunicazione in qualcosa di simile alla telepatia.
La mia esortazione invita a riconsiderare ancora una volta vantaggi e svantaggi.
Basta analizzare le differenze tra il testo scritto e il messaggio vocale. Immaginiamo le possibili differenze con la comunicazione di un pensiero appena pensato, “una voce dal sen fuggita”. Quello che si ottiene in più in termini di velocizzazione e di rapidità di comunicazione si perde in termini di memoria e ricordo individuale. Ma soprattutto si perde la possibilità di riconsiderazione o revisione del nostro pensiero. Su un testo scritto si rimugina, ci si scrive sopra, si apportano correzioni ripetute: in altre parole si rende possibile l’attivazione di quei meccanismi di controllo “top-down”, che determinano il “ripensamento” e sono alla base del ragionamento logico-razionale. La velocizzazione della comunicazione fa perdere alcune proprietà di apprendimento e ripensamento legate alla scrittura e all’analisi col tempo necessario del testo scritto.
L’interfaccia cervello-computer facilita una sorta di comunicazione telepatica, e consente di trasferire i pensieri direttamente dal dispositivo cerebrale al Pc, oltre che ad altre persone in tempi più veloci, facilitando per esempio sedute di brainstorming o incontri tra membri di un gruppo di lavoro con partecipanti situati a distanza. L’interazione col computer non soltanto aiuta a emettere un ordine al fine di svolgere un’azione concreta, ma permette anche di “pensare” con un computer. Si può pianificare qualcosa con l’aiuto dei dispositivi, che per esempio formuleranno previsioni o analizzeranno meglio i modelli fisici fornendoci dei “feedback”.
Un altro ambito in cui l’interfaccia cervello-computer potrebbe avere un notevole effetto è il controllo mentale interno, per migliorare la qualità della vita e l’attivazione di aree cerebrali associate all’acquisizione di abitudini, come l’induzione al sonno, allo stato di allerta, o un miglior controllo della fame o della sazietà.
Esistono già diverse persone che hanno deciso di espandere il loro repertorio sensoriale e di conquistare nuove forme di percezione del mondo (vedi l’esempio succitato di Harbisson).
Si sta lavorando per migliorare l’hardware delle interfacce, aumentando la quantità di neuroni alla quale è possibile connettersi, ottenendo una migliore risoluzione e precisione e facilitando l’impianto dei dispositivi. Recentemente un gruppo di ricercatori dell’Università di California a Berkeley ha pubblicato un articolo in cui sono presentati alcuni dispositivi miniaturizzabili chiamati “dust”, o polvere neurale nelle industrie da spargere nel cervello[10]. Questi dispositivi senza batteria impiegano l’energia ultrasonica per interagire col sistema nervoso tramite una connessione scalabile e wireless. Sono in grado di trasmettere dati elettrofisiologici altamente attendibili. Future ricerche mirano a nuove strategie per l’incapsulamento biocompatibile dell’impianto intracerebrale, che potrebbe durare per tutta la vita. Alcuni di questi granelli si sono dimostrati capaci di aumentare l’attenzione, diminuire o attivare la risposta immunitaria, aumentare la plasticità neurale, consentendo trattamenti terapeutici di stimolazione cerebrale profonda.
L’intelligenza artificiale e il merito artistico
Hanno creato scalpore e suscitato un acceso dibattito negli ultimi mesi le prestazioni di ChatGPT, capace di generare nuovi testi letterari, e in grado di utilizzare la frase come se ne conoscesse il significato, pur ignorando l’esistenza di una struttura sintattica e di qualcosa di simile alla grammatica universale di Chomsky.
Molto più che attraverso le prestazioni di ChatGPT, che potrebbe diventare uno strumento di falso merito nel campo del merito letterario, è interessante esplorare come il merito possa essere potenziato dall’intelligenza artificiale, anche in un settore particolare come quello delle arti visuali.
Proprio in questi giorni sono in mostra alla galleria Robilant+Voena di Londra le opere realizzate da Daniel Ambrosi con l’intelligenza artificiale. “Il nostro concetto di arte cambierà, e così la nostra percezione: ci sarà l’arte tradizionale, quella con pennello e tela, che prima o poi sparirà, poi l’arte fatta in collaborazione con le macchine, e infine verrà il momento in cui le macchine creeranno arte senza che gli umani siano coinvolti nel processo. E ce la dovranno spiegare, perché avranno una diversa coscienza e diverse emozioni rispetto a noi”. Ambrosi, fotografo, grafico e architetto americano, è considerato uno dei fondatori del movimento artistico basato sull’intelligenza artificiale. Il risultato più recente di questa pratica sono le serie Dreamscapes (paesaggi sognati), lavori su larga scala che provano a riprodurre l’esperienza multisensoriale di trovarsi in un certo lungo. Le potenti esperienze paesaggistiche non sono solo viste o viscerali, sono anche cognitive, ti fanno pensare: riguardo la natura del vedere e riguardo l’essenza stessa della realtà.
Il processo creativo comincia con la fotografia: Ambrosi scatta decine di immagini di alcuni panorami, che poi mischia usando la computer grafica, per ottenere un singolo panorama ad alta risoluzione. A questo punto entra in gioco l’intelligenza artificiale, nella forma di DeepDream, un software per il riconoscimento delle immagini rilasciato da Google nel 2015, che permette di avere una sorta di allucinazione che conduce al risultato finale.
L’artista americano si definisce “co-autore” di quelle opere, e indica nell’intelligenza artificiale uno “strumento” e una “collaborazione”. Crede che sia uno degli esempi più puri di arte ibrida umano-IA, dove uomo e macchina lavorano come partner uguali”.
DeepDream genera immagini realistiche, ma con una virata interessante. La macchina vede cose che noi non vediamo e le enfatizza: ci porta oltre l’immaginazione. L’IA ha un modo diverso di guardare il mondo. Il mondo non è semplicemente cosa vediamo, ma come lo vediamo: più guardi in profondità e più cose vedi. Indubbiamente la ricchezza di dettagli e particolari nei Dreamscapes rimanda a un occhio non umano.
Grado di creatività e di consapevolezza della macchina
L’altro aspetto che mi sono proposto di trattare è quale sarà il ruolo dell’intelligenza artificiale e delle macchine super-intelligenti nel prossimo futuro, e come chi avrà a disposizione le macchine più potenti e sofisticate potrà implementare artificialmente il proprio merito personale o quello del team o del gruppo di lavoro o di potere, di cui queste macchine superpotenti sono messe a disposizione.
Per molti anni non solo il common belief, ma anche la scienza ufficiale, ha avallato l’assunto per cui le macchine, anche quelle dotate di intelligenza artificiale più potente, calcolano, grazie alla memoria eccezionale che hanno a disposizione, ma non sono in grado di pensare, e soprattutto non sono dotate di creatività.
Anch’io, che fino a pochi mesi fa ero un fautore di questa teoria, ho incominciato a veder le cose in maniera meno dogmatica.
È ovvio che la macchina, o il robot androide, è costituita di materia inorganica, di parti meccaniche per l’involucro esterno, oltre che di sensori o telecamere che la mettono in comunicazione col mondo esterno, e di chips di silicio o di altro materiale nobile opportunamente modificato per la creazione di software che permettano un addestramento che non sia solo supervisionato, ma anche quello non supervisionato, che consenta alla macchina di avere un certo grado di libertà. Questa libertà, anche se apparentemente resta nel range prestabilito dal programmatore in fase iniziale, include però la possibilità di decidere autonomamente[11], e di imboccare una via piuttosto che un’altra, in corrispondenza di una biforcazione presente nell’albero decisionale contenuto nell’algoritmo.
In particolare, sulla base del tipo di soluzione “autonoma” data a un certo problema, le macchine dotate di algoritmi non supervisionati sono in grado di generare nuovi algoritmi[12] che gli stessi sviluppatori non sono in grado di spiegare. In altre parole, i creatori degli algoritmi non conoscono e non sono in grado di comprendere sulla base di quali meccanismi le macchine prendono le loro decisioni creative.
Nel caso di AlphaGo, la macchina, oltre a essere dotata di memoria eccezionale, è stata istruita con milioni di dati, ha appreso tutte le possibili conformazioni spaziali della scacchiera necessaria per il gioco del Go, e poi ha giocato per milioni di volte contro se stessa, usando un algoritmo non supervisionato autogenerativo. Questa macchina è stata in grado di battere in 5 gare su 5 il campione mondiale coreano di Go. Addirittura, alla 27ª mossa della 2ª manche, il campione si è dimostrato visibilmente sorpreso per una scelta apparentemente errata della macchina. Ma è stato proprio grazie a questa mossa – che nessuno prima aveva mai tentato- che la macchina ha vinto la gara.
Si può discutere sul linguaggio e sul significato dei termini, ma non c’è dubbio che la macchina si è dimostrata in grado di risolvere problemi in maniera creativa, innovativa, usando soluzioni che nessun essere umano aveva mai sperimentato. A mio avviso questa può essere considerata un’indubbia espressione di creatività da parte della macchina.
In altri saggi[13], spiego in dettaglio quali sono i fattori che facilitano la creatività, sia nell’uomo che nella macchina. Siccome, per acquisire una creatività eccezionale[14] è necessario che la macchina, oltre a generare nuovi algoritmi e a ricordare le soluzioni dei problemi e gli effetti di tutte le mosse sperimentate in precedenza, di fatto vada incontro a una riconfigurazione della propria struttura e, oltre che memoria, debba avere anche consapevolezza della propria struttura interna e delle variazioni della propria configurazione intercorse nel tempo, sempre con le cautele legate all’uso comune della parola coscienza, non esito ad ammettere che la macchina dotata di creatività eccezionale deve possedere un certo grado di auto-consapevolezza, o di coscienza.
È chiaro che non è una coscienza uguale a quella che sperimenta l’uomo costituito da materia organica. Ma è qualcosa di molto simile. Così come simile a quello effettuato nell’uomo, e in particolare nello sparuto gruppo dei grandi geni dotati di creatività eccezionale, deve essere il percorso che Alpha Go ha messo in atto per diventare super-intelligente.
In altre parole, il modello umano, cioè la conoscenza nei dettagli di come, attraverso quali meccanismi, organi e circuiti, avviene l’apprendimento e lo sviluppo della creatività nell’uomo eccezionale, rappresenta uno schema idoneo ed efficace per comprendere molti dei meccanismi messi in atto dalla macchina.
Questa considerazione apre nuovi scenari, non solo su come facilitare al massimo la creazione di una intelligenza artificiale umanizzata, che sappia replicare il più possibile le funzioni e le capacità eccezionali presenti in alcuni uomini, ma anche su quali ingredienti elementari utilizzare, quelli tipici e rappresentativi di ciò che ci rende umani[15] per accelerare il processo, con risparmio di tempo.
La creazione di macchine dotate di IA umanizzata ripropone in maniera drammatica la questione del merito in tutti i suoi risvolti, non solo di tipo valutativo, ma anche di ordine giuridico, etico e di equità sociale.
Chi avrà accesso all’IA aumentata? Che impatto avrà per implementare quelle che attualmente vengono considerate le funzioni fisiologiche umane, cioè quelle presenti nell’uomo medio? Come impatterà il diverso accesso nelle varie aree o macro-regioni del mondo, o all’interno della popolazione di una stessa nazione, a questi strumenti di implementazione nelle capacità cognitive?
Poiché gli uomini non sono tutti uguali, ma anzi sono l’uno diverso dall’altro per ciascuno dei 360 principali circuiti funzionali, e quindi dotati di diverse condizioni cognitive di base, e di diversa predisposizione a una possibile implementazione artificiale attraverso l’interfaccia uomo-macchina, questa eventualità, che ovviamente non sarà offerta a tutti in maniera uguale o equilibrata, contribuirà a ridurre le differenze di capacità cognitiva[16], oppure acuirà ulteriormente le differenze tra gli uomini?
Chi selezionerà coloro che avranno accesso a questo tipo di implementazione? E, fatto da non trascurare nelle sperimentazioni di nuove tecnologie, ci saranno effetti collaterali importanti e non reversibili per l’uso esagerato o improprio dell’interazione uomo-macchina?
Molti di questi interrogativi avranno una prima risposta nel prossimo futuro, mentre per altre risposte bisognerà attendere un lasso di tempo più lungo.
Sulla base delle evidenze scientifiche a disposizione, le procedure in grado di determinare le modifiche più significative, come l’infissione di aghi intracranici, o la stimolazione cerebrale profonda, anche se già messe in atto per alcuni tipi di patologia, sono ancora da considerare sperimentali. Proprio per la straordinaria variabilità interindividuale e la diversa attivazione dei vari circuiti, si sa che lo stimolo di alcune aree cerebrali produce alcuni effetti (non si sa ancora per quale durata), ma basta spostare il bersaglio di pochi millesimi di millimetro e si va a colpire un nucleo di cellule con effetti diversi.
È acclarato che la stimolazione cerebrale profonda produce effetti che possono aumentare le capacità funzionali del cervello. Ma, così come nel caso della cura delle malattie attraverso la modifica del microbioma intestinale, c’è ancora molto da imparare sulla funzione dei singoli nuclei o gruppi di cellule cerebrali, sugli effetti della stimolazione a breve e lungo termine, e su come la stimolazione di alcune cellule interferisca con la funzione di altri gruppi di cellule che interagiscono nello stesso circuito, o in circuiti correlati.
Se è certo che la stimolazione diretta di alcune aree cerebrali è tecnicamente possibile, e produce effetti, il suo impiego ottimale, sia a scopo terapeutico, in caso di danno funzionale, che per implementare nei soggetti normodotati alcune funzioni o lo sviluppo di particolari talenti, non è dietro l’angolo.
In particolare, dovranno passare molte decadi prima che si realizzi quanto ipotizzato in alcuni film o racconti di fantascienza, in cui l’introduzione nel cervello di un device miniaturizzato sia in grado di far perdere completamente la volontà di un individuo e di assoggettarlo a volontà aliene, da parte di extraterrestri o del malvagio di turno.
Pur con queste “rassicurazioni” temporanee, bisogna però prendere atto che il dado è tratto.
Non solo le principali piattaforme connesse ad Internet sono in grado di determinare un significativo cambiamento del comportamento degli adolescenti e dei giovani, fino a indurre vere e proprie dipendenze da Internet e dai like, ma sono da prevedere spiccate modifiche a livello individuale, legate ai nuovi sviluppi dell’IA e dell’interazione uomo-macchina.
Al di là della manipolazione massiva e indistinta messa in atto da Instagram, Whatsapp e tutte le altre piattaforme mediali che, attraverso lo strumento dei “like” e le alterazioni del normale funzionamento del circuito della ricompensa, modificando o alterando la secrezione di neurotrasmettitori come dopamina, serotonina, o endorfine, creano l’insorgenza di dipendenza da Internet, legata all’abuso di tali strumenti di comunicazione di massa, l’implementazione progressiva di tecnologie, device e procedure capaci di mettere l’utilizzatore in grado di aumentare artificialmente le proprie capacità cognitive porta alla creazione di nuovi scenari a livello di singolo individuo. Scenari di cui bisogna prendere atto al più presto. Scenari che vanno analizzati in dettaglio e fronteggiati in maniera adeguata. Anche per quanto riguarda le implicazioni sul merito, la sua misura, valutazione e possibilità di implementazione attraverso l’allenamento naturale o strumenti artificiali.
Invito pertanto alla cautela, come stanno facendo da più parte scienziati, ricercatori, ma anche responsabili di aziende coinvolti negli sviluppi dell’IA per la creazione di macchine super-intelligenti.
È di questi giorni la notizia della procedura giudiziaria intentata contro META negli USA, perché ha deliberatamente indotto dipendenza negli adolescenti per scopi commerciali e per aumentare i propri profitti, così come la firma da parte del Presidente Biden di un decreto esecutivo per regolare l’IA negli Stati Uniti d’America. Infine, il 1-2 Novembre 2023 si è svolta a Londra una Conferenza internazionale che mira a tenere sotto controllo le fughe in avanti dell’intelligenza artificiale.
Ruolo dello studio fisiopatologico dell’uomo nell’analisi dei comportamenti della macchina
Piuttosto che appassionarsi a diatribe linguistiche o filosofiche, spaccando in quattro il capello sul significato di parole come coscienza, creatività, libero arbitrio, possibilità di scelte decisionali autonome potenzialmente pericolose, o preoccuparsi di problemi legali o etici[17], esorto a studiare, a conoscere meglio i meccanismi alla base del comportamento straordinario della macchina.
Prendendo come modello quello dell’uomo eccezionale, dei grandi geni di cui la storia fornisce abbondanti esempi, provando a scendere nei dettagli, per capire attraverso quali percorsi, quali processi, fisiologici o patologici, quali perfezioni o, all’opposto, alterazioni, anomalie, e/o capacità di riparare iniziali danni funzionali, si sono implementati i talenti e le capacità straordinarie. E soprattutto il fatto che alla base di ogni plus straordinario all’interno di un organismo, si viene sempre a creare un minus a carico di qualche altro circuito[18].
La scommessa del futuro utilizzo positivo dell’intelligenza artificiale dipende molto dalla conoscenza in anticipo di questi dettagli. E gli esempi forniti dal funzionamento degli organismi umani rappresentano ancora una volta il miglior modello su cui studiare per saperne di più. Senza seguire dogmi o mode fuorvianti del tipo “come le macchine sono diventate intelligenti senza pensare in modo umano”.
La lettura fisiopatologica è una lettura addizionale, rispetto a quella ingegneristica, informatica, piuttosto che filosofica, etica o giuridica: non è alternativa, ma non può essere considerata superflua, o irrilevante, nel senso che è possibile by-passare il ruolo di organi, apparati e tessuti, saltando direttamente dall’atomo o dall’algoritmo all’intelligenza o alla creatività. Anzi, è fondamentale e più importante degli altri tipi di approccio, in quanto espressione delle funzioni interne del corpo, e della struttura stessa dell’organismo umano.
Francesco Cetta, Docente e relatore IASSP, già Direttore della Clinica Chirurgica dell’Università di Siena, e Prof a c. Università San Raffaele, Milano
[1] Nel caso della parabola, il talento donato dal Padre a ciascuno dei figli.
[2] Sui grandi geni diversi e malati, vedi F. Cetta “Perché comandano i folli e noi li facciamo comandare. Un approccio fisiopatologico”, Vol I e II, Pagine, Roma, 2021 e 2022.
[3] Abilità con i numeri, memoria straordinaria, capacità di attenzione, creatività aumentata.
[4] Nicolelis M “Beyond boundaries: the new neurosciences of connecting brain with machines – And how it will change our lives”. Griffin, New York, 2012.
[5] Con l’avvento ad esempio di stringenti norme antidoping.
[6] Androgeni, testosterone, eritropoietina, carnitina etc.
[7] Pensiamo all’uso delle droghe psichedeliche come l’LSD, la DMT -dimetiltriptammina-, la psilocibina.
[8] Proprietà dei sistemi ecologici di funzionare in condizioni casuali.
[9] Per citare solo i due esempi più famosi di capacità creative straordinarie associati alla IA.
[10] Neely RM et al “Recent advances in neural dust: towards a neural interface platform”. Curr Opin Neurobiol 2018; 50: 64-71.
[11] Sulla base di calcoli probabilistici, dell’esperienza accumulata, di modelli e dati con cui la macchina ha interagito in precedenza.
[12] “Capacità generativa” della macchina.
[13] F. Cetta “L’intelligenza artificiale umanizzata” e “Coscienza soggettiva nell’uomo e nella macchina: un approccio fisiopatologico”, 2024, in preparazione.
[14] Questa proprietà vale solo per le macchine dotate di superpoteri.
[15] Che è diverso dalla logica e dalla razionalità sistematica, come creduto finora.
[16] O motoria, come nell’utilizzo di protesi dopo un trauma spinale.
[17] Di quale personalità giuridica e grado di responsabilità e/o colpevolezza conferire alla macchina, o al suo inventore, o all’azienda che l’ha costruita.
[18] vedi F.Cetta “ Perché parlare di “fisiopatologia” del genio e dei talenti invece che più semplicemente di fisiologia della creatività” in Cetta F “Perchè comandano i folli e noi li facciamo comandare. Vol II: Postfazione, considerazioni critiche e commenti”, Pagine, Roma, 2022, pagg 132-136.
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