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Dec
“Quando odo le persone moderne lamentarsi di sentirsi sole, io so che cosa è successo. Esse hanno perso il cosmo. Non è che manchi qualcosa di umano e di personale. Quel che manca è la vita cosmica: mancano il sole e la luna in noi.”
Le parole dello scrittore David Lawrence colpiscono per l’acume dell’intuizione. Se ci guardiamo intorno con attenzione, possiamo avvertire che in ognuno di noi alberga un profondo senso di solitudine.
Una società iper competitiva come la nostra, non lascia all’uomo altra scelta che l’individualismo. E questa nuova attitudine ci priva del senso di comunità, di un obiettivo più alto. Ci priva, in fin dei conti, di avere speranza nel futuro, perché ci chiede costantemente di concentrare ogni sforzo nell’immediato, in un risultato presente.
Ho sempre avvertito, però, anche un’altra istanza: per poter quantomeno avvicinarsi a comprendere la complessità del nostro presente dobbiamo necessariamente ripartire dal dubbio, dalla voglia di interrogarsi e di rischiare. E questo vale sia per le persone, sia per le aziende, sia per gli Stati.
Assistiamo, quasi impotenti, a continui slittamenti di senso e alla deriva di valori che settant’anni fa sono stati fondamentali per la ripresa del nostro sistema paese dopo la guerra. Eppure credo fermamente che il cambiamento non possa che iniziare dal “riorientare” la strada da percorrere.
Per poter spiegare questo concetto, farò riferimento alle mie esperienze di imprenditore, ma anche di essere umano, perché le due dimensioni sono inscindibili nello svolgimento di questa professione: da un lato di certo la competenza, ma dall’altro anche la capacità di ascolto e l’empatia, la voglia di creare un gruppo coeso e solido, nel quale ogni singolo individuo, con le sue peculiarità e le sue capacità, sia in grado di collaborare alla realizzazione di un grande progetto comune. Per poter coniugare ricerca, ascolto e azione è necessario quindi un “riorientamento” dei valori e delle strategie.
Qual è, infatti, il pericolo maggiore nel mio lavoro oggi? La nostra azienda, ad esempio, costruisce macchine per la produzione di farmaci sterili. Se ci limitassimo a fare il nostro lavoro, cioè produrre, vendere e installare apparecchiature, e a fine commessa poi passare a un progetto successivo, noi resteremmo un semplice costruttore di macchine. Il nostro compito si ridurrebbe quindi a prendere una massa di acciaio inossidabile e trasformarla in uno strumento in cambio di denaro, nulla più. Ma oggi il pericolo è proprio concentrarsi sulla vendita senza capire come verrà impiegata la macchina in produzione.
In effetti le applicazioni, nel nostro settore, non sono tutte uguali. Quindi se ci limitassimo a costruire semplicemente macchine, tenderemmo a banalizzare l’importanza dell’applicazione. E in un periodo come il nostro, nel quale una pandemia ha richiesto grandi sforzi al mondo farmaceutico per introdurre nuove tecnologie, per velocizzare la produzione di vaccini e farmaci e per essere tempestivi durante le eventuali emergenze sanitarie future, un approccio strumentale cambia del tutto il valore di un’azienda.
L’unico modo, quindi, per tirarsi fuori da questa impasse è avviare una transizione da costruttore di macchine a fornitore di soluzioni dedicate.
Se analizziamo la parola “riorientare”, possiamo scoprire che riguarda una classificazione costruita dagli utenti del web per marcare i contenuti e rendere così più agevole la ricerca attraverso la rete. E in più, secondo la definizione della Treccani, “capovolgere l’origine dei dati implica anche una rivoluzione nell’organizzazione”. Ed è proprio dall’organizzazione che si deve partire per riorientare la strada. Tale capacità di sviluppare soluzioni in maniera più veloce ed efficiente, di adattarsi ai repentini cambiamenti di contesto, ha un valore strategico. E tale valore riguarda anche la nazione. Oggi più che mai sono necessari dinamismo e visione. Dinamismo nel senso di adattabilità a un contesto sempre mutevole, di capacità di essere flessibili di fronte a nuove sfide o all’impulso di nuove applicazioni. Tale fluidità va, però, sempre accompagnata da una visione chiara e condivisa. E tale visione, oggi, deve innanzitutto essere proiettata sul lungo periodo.
Per portare avanti una simile visione è necessario in primis avere una classe dirigente che abbia cognizione dello sviluppo futuro che le viene richiesto.
Se pensiamo a una azienda come una nazione in scala ridotta, la sfida oggi è trovare dirigenti capaci, onesti, mossi da una forte motivazione e che abbiano caratteristiche umane che permettano loro di condividere un percorso di crescita; ma da un punto di vista professionale è altrettanto importante che abbiano competenze cui attingere, esperienze che possano aiutarli a fornire soluzioni adeguate, altrimenti il rischio è di dissipare energie e tempo senza raggiungere gli obiettivi. Tra queste caratteristiche c’è di certo anche l’umiltà, che permette di riconoscere nuove competenze utili allo sviluppo e nuovi processi di miglioramento. Un leader, per essere tale, deve rimanere aperto, deve essere disposto a imparare da tutti i collaboratori; solo così sarà in grado di aprire nuove opportunità.
La crescita di un’azienda è, quindi, la conseguenza della collaborazione tra persone diverse, con esperienze e competenze diverse; ma scaturisce al tempo stesso da una visione chiara, che è espressione dell’imprenditore. Costui, trovandosi in una posizione più alta, ha la possibilità di guardare più lontano. E, grazie a questa posizione privilegiata, può sviluppare una prospettiva diversa rispetto a coloro che invece sono maggiormente coinvolti in attività operative quotidiane. Se si mette in campo una sinergia simile, in cui ognuno porta nell’azienda il massimo rispetto e la massima dedizione al compito specifico ricevuto, allora la struttura avrà un valore sia in termini di sviluppo che di espansione. Questo rapporto sinergico dovrebbe esistere anche nel governo di una nazione, se l’intento è raggiungere obiettivi di crescita e migliorare il benessere della popolazione.
Allargando il campo d’indagine del discorso, un leader oggi deve avere doti umane e professionali di alto profilo, da mettere a disposizione di un obiettivo condiviso, ma al tempo stesso deve rifarsi a principi, che sono il frutto e l’espressione di una catena di valori che la società porta avanti. Per tale motivo è necessario intraprendere un percorso di cambiamento culturale. Non è scontato, infatti, condividere la visione e i valori con tutti, sia che si tratti di un’azienda o di uno Stato. Per raggiungere questa unione di intenti e di sviluppo serve dedicare risorse alla formazione per costruire un campo valoriale comune a cui fare riferimento.
Se queste considerazioni sono valide, allora è compito del leader puntare allo sviluppo virtuoso dei collaboratori. Questo processo inizia di certo da una corretta selezione, ma ciò che è indispensabile è il coinvolgimento personale di tutti coloro che partecipano allo sforzo produttivo. È necessario per un’azienda trasmettere a tutti i collaboratori e a qualsiasi livello un senso di appartenenza, far sentire loro che partecipano a qualcosa che è anche di loro proprietà, oltre che la soddisfazione di essere artefici dei risultati ottenuti.
Da un punto di vista di intelligence economica, la fedeltà allo Stato o all’azienda è condizione indispensabile. Quando in una nazione si sviluppano conoscenze o tecnologie di valore, dall’esterno qualcuno cercherà di certo di portarle via. Ma se l’anello debole sono proprio le persone, facilmente raggiungibili o corruttibili, ne va dello sviluppo della nazione o dell’azienda stessa.
Se domani si vogliono avere giovani di iniziativa, motivati e in grado di accogliere con fedeltà le visioni di un’azienda o di uno Stato, essi devono essere adeguatamente formati. Il riorientamento non può non passare, quindi, dalla consapevolezza che lavorando sui giovani si crea valore.
Negli ultimi anni si fa, infatti, molta fatica a trovare figure professionali adeguate. Eppure, viviamo in un’epoca nella quale come mai prima abbiamo bisogno di risorse nuove per realizzare progetti veramente innovativi.
Oggi in Italia la scuola dell’obbligo, però, non sembra essere all’altezza di questo compito. Gli insegnanti non hanno esperienze in campo aziendale, ad esempio, e non sono pertanto in grado di raccontare e trasmettere l’importanza valoriale di un’azienda. E sono ancora poche le università che hanno relazioni e legami continuativi con le imprese.
Uno dei vantaggi dell’Italia viene dal fatto che l’economia è fortemente dipendente dalle piccole e medie imprese, che per loro natura sono più efficienti nel coinvolgimento dei giovani. Inoltre, in aziende più grandi, dove manca il rapporto diretto e personale tra imprenditore e collaboratori, le strutture si regolano su procedure e convenzioni, molto spesso non adatte a lavorare su soluzioni specifiche, tailor-made.
Proprio grazie a questo rapporto diretto, tipico delle PMI, siamo riusciti a produrre soluzioni più brillanti o più efficaci rispetto alle grandi aziende. Ecco perché il capitale umano è il vero valore e per farlo crescere in maniera costante è necessario iniziare una collaborazione più stretta tra imprese di successo e scuole.
Per quanto riguarda, invece, gli istituti di alta formazione, trovo siano fondamentali perché possono insegnare ai giovani in modo approfondito e in tempi rapidi una visione che in azienda ci si metterebbe molto più tempo a sviluppare. Ma gli istituti più utili, secondo me, rimangono quelli in grado di coniugare formazione culturale ed esperienza pratica.
Siccome le macchine che produciamo, ad esempio, non sono macchine di serie, ma impianti altamente personalizzati, per noi è sempre stato difficile trovare i venditori. Al di là della preparazione e della capacità, ciò che mancava sempre era la conoscenza del nostro prodotto e della nostra tecnologia specifica. Abbiamo quindi deciso di assumere in azienda giovani di grande potenziale, con ottime capacità di comunicare e di affrontare nuove sfide, e li abbiamo avviati alla professione facendoli partire da un lavoro manuale: installare gli impianti. Grazie a tale approccio, i nuovi inseriti hanno la possibilità di interagire con il cliente e di capire come il prodotto costruito dall’azienda viene impiegato nello specifico, ciò che permette di sviluppare conoscenze approfondite sulla macchina e sui suoi possibili impieghi. Questo processo formativo ha costi più elevati nel breve periodo, ma si ripaga certamente nel lungo periodo perché, quando il giovane tornerà in azienda a lavorare, avrà sviluppato non solo esperienza sul campo ma anche capacità di dialogo col cliente e altre caratteristiche da mettere a disposizione dell’azienda e di tutti i collaboratori.
La nostra classe politica pecca di miopia e mancanza di visione, oltre che di concretezza, proprio per la sua incapacità di proiettarsi nel futuro con progetti realistici e concretamente realizzabili. Il peccato originale riguarda soprattutto l’abbandono di un sistema di valori condiviso a favore di semplici interessi personali o mode. Ecco perché si dovrebbe ripartire proprio dal ridare valore alla concretezza e riorientare il percorso di formazione. Se pensiamo, infatti, a quanto siano fuori fuoco, sia per sapere che per capacità rispetto al compito assegnato, alcuni ministri, che ricoprono cariche strategiche, non possiamo che constatare la vacuità di risultati concreti.
La classe imprenditoriale, come minoranza creativa, dovrebbe avere la possibilità di condividere tempo e saperi con la politica in maniera proattiva. Per innescare una spirale positiva è necessario allargare il campo. Pensiamo alla produzione farmaceutica: se si capisse il vero valore che può avere per la nazione lo sviluppo di una capacità di produrre farmaci innovativi, in modo più efficiente e sicuro rispetto ad altri Paesi, questo creerebbe un valore strategico sensibile.
Oggi ci vuole qualcuno che sia in grado di fare delle scelte, di decidere che direzione prendere, con il rischio di sbagliare. Ci vuole qualcuno che voglia investire sui giovani, su collaborazioni con realtà diverse, come università e istituti di ricerca ad esempio; ci vuole qualcuno che sappia come ridare vita a valori comuni e che abbia un senso di rispetto e di responsabilità nei confronti dell’azienda e dello Stato; ci vuole qualcuno che sia realmente motivato ad abbandonare posizioni personali e che creda nel raggiungimento di un obiettivo più alto. Se le scelte si riveleranno poi corrette, ne gioveremo tutti, a qualsiasi latitudine.
Oggi più che mai è necessario ritrovare un senso più profondo, come diceva Lawrence; è necessario per ognuno mettersi in ascolto di questo tempo per iniziare a programmare un futuro migliore.
È giunta l’ora di puntare su progetti di lungo respiro, che siano trasversali e in costante dialogo con la quotidianità e che riescano a creare sinergie nuove tra discipline diverse. Sono queste le sfide che la complessità pone.
Giuseppe Fedegari, Presidente Fedegari Group
(A cura di Andrea Meneghel)
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