07
Nov
“L’importante ruolo che oggi riveste l’idroelettrico nel garantire un livello costante e programmabile di energia, così come l’utilizzo in termini di accumulo di una risorsa fondamentale anche per altri usi ed il fatto che allo stato attuale delle cose la realizzazione di nuovi grandi impianti alimentati da bacini ed invasi di grandezza significativa è sostanzialmente esclusa dai programmi di sviluppo nazionale, necessita di un riconoscimento importante nell’ambito della strategia di autonomia energetica nazionale ed europea.”. Questo passaggio è tra le conclusioni del libro intitolato “Le prospettive future per il settore idroelettrico – Il gigante dimenticato tra le rinnovabili e l’asset strategico per la sicurezza energetica italiana ed europea”, nato dalle analisi che il suo autore, Stefano Aggravi, ha elaborato nel Master in Intelligence economica IASSP, direttore del Dipartimento della Transizione ecologica: Alberto Stuflesser.
L’idroelettrico rappresenta oggi la fonte di produzione di energia più “matura” e sviluppata tra quelle rinnovabili (FER), sia in termini di tecnologia utilizzata che di età tecniche degli impianti. Si pensi a tal riguardo che oggi più del 70% di quelli installati sul territorio italiano conta più di 40 anni. Tra le FER è anche quella meno “blasonata” (e dimenticata) rispetto al solare e all’eolico. Tuttavia, il settore riveste una importante posizione nell’ambito del mix energetico di molti paesi, costruita negli anni, nonché garantisce una fonte di produzione elettrica costante nel tempo, imprescindibile per la stabilità di molti sistemi elettrici.
L’Italia è il quarto paese in Europa per potenza idroelettrica installata e questa rappresenta la prima fonte di energia rinnovabile per generazione elettrica. Il settore vanta numerosi impianti di produzione e un considerevole numero di bacini e dighe realizzati principalmente a cavallo dell’ultimo conflitto mondiale. Lo sviluppo di questi ultimi nel corso del Dopoguerra, in particolare per quel che riguarda i grandi impianti e bacini (sopra i 10 MW), si è arrestato per effetto dell’espansione dell’industria degli idrocarburi, nonché anche per lo shock mediatico generato dai fatti tristi del Vajont.
L’Italia oggi si trova dunque con un settore sviluppato nel tempo che necessita di notevoli investimenti di rinnovo e potenziamento non soltanto per stare al passo del mercato, bensì anche e soprattutto per fare ulteriore tesoro degli investimenti di anni addietro ormai più che ammortizzati. Il tutto nell’ambito di un quadro normativo locale e sovranazionale complesso, in cui l’Italia – a differenza di altri paesi membri dell’Unione – ha scelto di perseguire la via europea delle gare tout-court per la riassegnazione delle concessioni di grande derivazione idroelettrica.
L’analisi condotta ha voluto mettere in evidenza luci ed ombre di un settore che esiste per merito di scelte fatte in passato da operatori privati, dal monopolista pubblico e poi da chi vi è subentrato nel corso della stagione delle c.d. “liberalizzazioni”. Il tutto nel bel mezzo della transizione ecologica ed energetica in cui solare ed eolico la fanno da padrona senza tuttavia garantire i livelli di stabilità produttiva e i quantitativi di energia necessari al sistema che, al contrario, l’idroelettrico ancora può garantire. Un settore tra l’altro molto meno influenzato dalla dipendenza di materiali rari per la realizzazione degli impianti, vero tallone d’Achille delle altre FER.
L’analisi, proprio in tal senso, cerca di mettere in luce le potenzialità e le certezze che l’idroelettrico fornisce proponendo di valorizzare il carattere speciale, quindi strategico, delle concessioni di grande derivazione idroelettrica che meriterebbero una attenzione maggiore da parte del legislatore nazionale e comunitario per valorizzarne prima di tutto la portata di nuovi investimenti non soltanto a fini manutentivi, bensì anche e soprattutto per aumentarne efficienza e produttività (in linea, ad esempio, con le proposte contenute nel c.d. “Piano Colao”). Allo stesso tempo valutando l’opportunità di potenziali combine con tecnologie in via di sviluppo e consolidamento quali ad esempio l’idrogeno o il “nuovo” nucleare dei reattori c.d. SMR – Small modular reactor che possono, come agli albori dell’elettronucleare italiano, ad esempio, sfruttare la stabilità produttiva dei grandi invasi idroelettrici proprio per produrre (e stoccare) idrogeno ovvero alimentare gli impianti di pompaggio per “ricaricare” gli invasi sfruttando i momenti di fisiologico calo del prezzo di produzione dell’energia.
Il settore idroelettrico italiano può dare ancora molto al Paese. Si pensi, ad esempio, alla salvaguardia del nostro livello di sicurezza energetica, come ha tra l’altro messo in luce il Co.Pa.Sir. nel gennaio 2022. A tal riguardo è però necessario che decisori, operatori e portatori di interesse ne ridefiniscano insieme il ruolo, le politiche di salvaguardia e soprattutto di sviluppo di lungo periodo nell’ambito di un mondo sempre meno sicuro e che, più o meno consciamente, sta transitando verso un nuovo modello di sviluppo sempre meno dipendente dal carbonio con tutte le incognite del caso.
Stefano Aggravi, già Assessore della Regione Valle d’Aosta e discente del Master IASSP
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03Oct
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