17
Nov
Per formare spiritualmente la classe dirigente di un Paese servono tre cose: sapere cos’è l’intelligenza, cosa qualifica un dirigente e come si diventa una classe.
L’intelligenza di cui dovrebbe occuparsi l’élite è frutto della capacità di comprendere e di andare oltre l’immediatezza. La conoscenza, per suo grado fredda, passiva e tecnica, è molto diversa dalla comprensione, che realizza l’unione di quelle che Charles Percy Snow chiamava le due culture, la cultura tecnico-scientifica e la cultura umanistica. La fusione di queste due è alla base, secondo Merleau-Ponty, del pensiero strategico a lungo termine, che sa cogliere le tendenze trascendendo il singolo dato. Questa capacità sta declinando perché viene sostituita da sistemi predittivi di tipo meccanico-tecnico. Il pericolo non è l’intelligenza artificiale, ma l’ignoranza umana. Nelle mani giuste anche l’intelligenza artificiale è uno strumento formidabile: deve essere guidata tuttavia da persone che hanno sviluppato una capacità predittiva di tipo spirituale, che è frutto non della conoscenza ma della Bildung, la formazione. Questo è il punto fondamentale.
In Italia si è compiuto un salto decisivo negli ultimi dieci anni, da quando finalmente è cominciato il reclutamento dell’intelligence non solo nei quadri militari, ma in quelli universitari, come si fa in altri Paesi, in particolare quelli a common law o con codice napoleonico. Coloro che hanno diretto il Commonwealth si sono formati non nelle università dei proletari, che secondo l’aristocrazia inglese erano Cambridge e Oxford, ma a Ito, dove si studiava soprattutto la letteratura classica. Uno degli ultimi esempi di questa formazione è Johnson, un grande grecista che ha curato una spettacolare – mi dicono – traduzione dell’Anabasi di Xenofonte.
Oltre alla formazione, sono necessarie le virtù. Il coraggio, che è inseparabile dalla strategia, è una virtù spirituale. Simone Weil sosteneva che la costituzione dell’arte del comando si basa sulle tre virtù penultime: umiltà, attenzione e rispetto. L’umiltà è la capacità di apprendere in ogni circostanza; l’attenzione riguarda il commercio della nostra disponibilità verso gli altri e viceversa; il rispetto permette di lasciarsi sorprendere dal prossimo per quanto possa apparire semplice. Con queste tre virtù si previene, non si reprime, si prevede. Deridere il coraggio e le virtù penultime è uno degli aspetti dell’attuale crisi dello spirito umanistico, che pone il pericolo di non riuscire a raggiungere la Bildung.
Per diventare classe dirigente occorre avere letto tantissimo. Chi non legge i classici e non si nutre di quella lingua rimarrà sempre un proletario dello spirito. Lo scopo precipuo di certa letteratura – Émile Durkheim o l’Impero dei Segni di Roland Barthes, per esempio – è sviluppare una conoscenza antropologica: una particolare forma di intelligenza, che Merleau-Ponty definiva post-conoscitiva. La ritroviamo nei grandi dirigenti della nostra storia. Adriano Olivetti in questo era abilissimo; parlava sempre con i candidati prima di assumere qualcuno e ne osservava la grafia. Pasquale De Vita, presidente dell’Agip, spesso si fermava con i neoassunti rivolgendo domande particolari, da cui poi ricavava un giudizio basato su questa conoscenza antropologica. In poche parole, avevano sviluppato la capacità di leggere i segni, che sono importantissimi.
È stato riaperto a Ferrara un salone, detto Salone dei Mesi, che già nel Rinascimento racchiudeva alcune pitture a carattere astronomico-alchemico. Ogni dipinto offriva una rappresentazione simbolico-allegorica capace di veicolare un messaggio di fondamentale rilevanza, affidandolo a una codificazione che, pur potendo essere decifrata solo da pochi conoscitori della storia del pensiero, svolgeva egregiamente il proprio ruolo. A quel tempo i principali intellettuali erano uomini di intelligence; sapevano leggere qualcosa che c’era, pur non presentandosi come tale, attraverso una straordinaria conoscenza umanistica e concettuale. Un altro requisito indispensabile per capire l’arte dal Quattrocento al Settecento è aver letto la Bibbia. Siccome il peso di questo e altri studi è calato, si è persa la capacità di leggere dietro le cose.
Veniamo al concetto di stato di eccezione. Carl Schmitt riteneva che fosse una sospensione della legittimità legale, ovvero uno stato di assenza del diritto; Schmitt è anche considerato il teorico del nazionalsocialismo e colui che ha avanzato una base giuridica per lo stato di eccezione. Benjamin proponeva una definizione completamente diversa: riteneva che lo stato di eccezione fosse il nostro uso linguistico-mentale nell’avvicinarsi ai significati e nell’intraprendere comportamenti verso il mondo, tipico soprattutto dell’allegoria contrapposta all’informazione immediatamente significante.
Una classe dirigente deve saper riconoscere i confini della costituzionalità, rispettandoli ma anche intuendo il momento e la misura giusta per sconfinare da quei perimetri a scopo etico. L’intelligence agisce in uno stato di eccezione permanente, anche entro un regime costituzionale; il modo in cui opera è deciso dalla politica, a cui spetta la responsabilità e l’orientamento. I francesi, per esempio, sono frequentemente fuori dalla costituzionalità. Sono forse l’intelligence più violenta che esista al mondo. Gli americani, invece, producono visivamente lo stato di eccezione attraverso gli apparati militari. C’è un famoso romanzo di Graham Greene – che come noto è stato un uomo dell’intelligence per tutta la vita, peraltro in due plessi geostrategici importantissimi, il Medio Oriente e l’America latina – titolato Il console onorario, in cui traspaiono le sottigliezze di un ambito di cui si occupava: il reclutamento dell’intelligence. Un libro significativo per questo tema.
Esiste una terza possibilità per lo stato di eccezione, che è quella individuale in cui si trova chi vive nel mondo con un atteggiamento spirituale di completo rispetto della costituzionalità, senza però appartenere al mondo. Un esempio eccellente di questo è Anthony Blunt – l’ultimo dei cinque di Cambridge a essere scoperto. Per trent’anni è stato consulente della monarchia inglese nella costruzione della straordinaria collezione d’arte confluita poi nel Warburg Institute. Di fronte al giudice che gli domandò come mai fosse divenuto una spia, rispose che si era sempre occupato del segreto non evidente dei quadri. Era cresciuto studiando storia dell’arte, maturando la coscienza che dietro ogni quadro c’è un significato recondito, una simbologia che deve essere decifrata. Lo si capisce leggendo Panofsky e Warburg. Tutti i messaggi che trasmetteva all’Unione Sovietica erano recensioni di quadri famosi, indistinguibili da una ordinaria critica d’arte, per questo fu così difficile scoprirlo. Dall’altra parte della cortina aveva interlocutori all’altezza di intendere il senso figurativo.
Se le parole hanno un senso, non si può diventare classe dirigente se non si approfondisce il tema, spesso trascurato, di che cosa è una classe. Secondo la definizione marxista, la classe è tale non quando è in sé – la classe in sé è un banale ordinamento statistico – ma quando è per sé. Vuol dire (vedi Lukács, Storia e coscienza di classe) che la classe dirigente è tale quando si pensa come classe. Perché non esiste la borghesia in Italia? Perché non si pensa in questo modo, bensì come individuo o come impresa. Pensarsi come classe per sé significa essere meno permeabile alle pressioni.
Formare una classe è difficilissimo. Leggendo i Discorsi alla nazione tedesca di Fichte, anche se l’argomento sembra vertere su tutt’altro, si comprende in che modo sia possibile la nascita di una classe. La classe è un gruppo di individui della specie umana che lotta per l’affermazione di un’idea di Nazione. Quando studiai a Praga, per terminare alcune ricerche che conducevo nel 1983 ospite del Consiglio delle Scienze, scoprì che fra i libri proibiti dalla dittatura stalinista, che si potevano leggere ma sui quali era vietato prendere appunti, figuravano anche i Discorsi alla nazione tedesca di Fichte. Compresi perché lo stalinismo non voleva che le persone leggessero quel libro: diceva cosa serviva per diventare una vera classe. Coloro che antepongono l’interesse della Nazione all’interesse personale, o l’interesse di un’idea all’interesse personale, sono una classe. Questa è la definizione, altra non ve n’è.
Perché i cinesi hanno una grande capacità di penetrare i mercati oggi? Perché la maggioranza dei Paesi europei non ha più una classe dirigente. È un fatto storico: abbiamo sostituito all’idea di Nazione un’unità tecnocratica razionale. Quindi il nulla. La Costituzione nazionale è stata massacrata e ha perso valore. Come Unione Europea non abbiamo nemmeno una comune costituzione federale – l’unica che potremmo avere. Significa che non c’è un humus veramente europeo. Avendo sottratto legittimità alle singole Nazioni, non abbiamo creato una nuova legittimazione, che poteva essere un nuovo patto costituzionale. Essere europei a queste condizioni vuol solamente dire appartenere a un insieme di Stati diretti da una tecnocrazia, che sta diventando una specie di Stato nello Stato, con un apparato burocratico che arriva a contare 300.000 funzionari che si autoriproducono e cominciano già a essere una classe ereditaria. La signora Von der Leyen, per esempio, è figlia di un grande intellettuale protestante che era il direttore generale dell’Unione Europea.
L’unica cosa che può dare dignità intellettuale è la legge, perché la legge è libera, perché dà la possibilità di credere in un ordinamento. Senza non si può essere redenti e non si può essere classe dirigente. Per questo è importante riflettere sullo stato d’eccezione: quest’ultimo deve rimanere temporaneo. Il compito di chi vuole formarsi come classe dirigente oggi è enorme, perché deve ritornare nella costituzionalità, nella legittimazione.
Essere classe dirigente, élite politica o manageriale, mostrandosi all’altezza di un compito del genere, significa possedere una immensa cultura; avere dirigenti con una bassa cultura è la strada più distruttiva che si possa intraprendere. Non c’è nessuna tecnologia che sostituisca la cultura e nessun artificio tecnico che compensi le deficienze della formazione spirituale. Sono soprattutto la formazione spirituale e l’impermeabilità alle tentazioni dello sterco dell’umanità, che è il denaro, a fare la differenza. Il detto evangelico è sempre vero. I mercanti nel tempio non possono far parte della classe dirigente.
Prof. Giulio Sapelli, Economista e docente di storia economica presso l’Università di Milano, Relatore IASSP.
Trackbacks and pingbacks
No trackback or pingback available for this article.
Per qualsiasi domanda, compila il form
[contact_form name="contact-form"]Ultime notizie
03Oct
Leave a reply