21
Nov
Interesse e Conflitto
Ogni società è un’organizzazione sociale e ogni organizzazione sociale è un’organizzazione di interessi. È, in altri termini, una organizzazione delle aspirazioni dei singoli individui che compongono la società a conseguire un determinato bene, reale o immateriale, singolarmente o in gruppo. La categoria dell’interesse porta inevitabilmente con sé la nozione di conflitto. Per questo, interesse e conflitto sono nozioni contigue: il conflitto è la dimensione naturale ed inevitabile dell’interesse.
Il diritto è uno dei modi con cui si assesta il conflitto tra interessi, che esso sia in corso (attuale) o in gestazione (potenziale). Il diritto è il momento attraverso il quale un determinato equilibrio tra interessi si formalizza e pretende di valere per il futuro, cristallizzando fra questi interessi un assetto inevitabilmente legato al tempo della scrittura. Per ciò stesso, per il fatto di essere legato a un intervallo temporale, il diritto è destinato a essere messo in discussione dal mutare dei rapporti di forza che sorreggono ciascun interesse.
Gli interessi possono variare per ampiezza, intensità, durata, ma hanno quasi sempre natura territoriale, in senso materiale (confini) o culturale (lingua, identità, ecc.). In questa prospettiva, diritto e conflitto sono due aspetti dello stesso modo di funzionare di ogni società. Con il ricorso al diritto si cerca di chiudere temporaneamente un conflitto presente e prevenirne altri simili, mediante la proiezione nel tempo della decisione e l’affermazione di una forza giuridica. La differenza tra la natura “privata” e “pubblica” di un conflitto non è qualitativa, ma è quantitativa.
In realtà questa distinzione tra “pubblico” e “privato”, che si tende a classificare come fissa e discriminante, è solo uno strumento d’analisi delle situazioni e delle occasioni di conflitto; ma, per la sua semplicità, offre il fianco a un fraintendimento: porta a un dualismo di visione tra conflitti pubblici (inevitabilmente tra Stati) e conflitti tra privati (soggetti agli Stati). Oggi possiamo assistere, per esempio, a conflitti privati che eccedono la dimensione degli Stati e non rispondono alla regolazione interna. Presupposto di questa distinzione è la figura dello Stato nazionale, così come si è sviluppato nell’Europa del XVII Secolo, quale soluzione specifica al problema sorto con le Guerre di Religione.
Conflitto privato e conflitto pubblico
Il progressivo venir meno dello Stato, e della sua capacità ordinante, avviatosi con la fine della I Guerra Mondiale, ha segnato la fine della distinzione tra pubblico e privato. L’affermazione di poteri privati, nella forma di macrostrutture finanziarie, tecniche o tecnico-finanziarie eccedenti la dimensione nazionale, ha portato all’attribuzione di funzioni potentemente politiche in capo a queste macrostrutture, che oggi svolgono funzioni un tempo espresse dallo Stato.
Non è qualcosa di radicalmente nuovo: la Compagnie delle Indie Orientali (o altre strutture analoghe dei secoli XVII, XVIII e XIX) ha svolto un ruolo analogo sul processo di formazione dell’Empire Britannico, esorbitando dal privato nel pubblico. I grandi affreschi di Storia dell’economia (Weber, Simmel, Sombart) ne danno ampiamente conto. Porsi la domanda sul ruolo di simili imprese private significa esaminare a fondo il rapporto tra espansione politica e attività economico/commerciali.
In questo continuo trapasso tra dimensione pubblica e dimensione privata del conflitto sta il problema della “Guerra Normativa”. Qual è la differenza tra Guerra Normativa e fisiologico fenomeno di “rappresentanza di interessi”, che si usa chiamare lobbying (o, anticamente, Vertretung)? La differenza sta nei modi e negli attori. Le strategie di potenza un tempo proprie del conflitto politico-militare sono oggi appannaggio di nuove macrostrutture tecnico-finanziarie, che operano talvolta in conflitto con gli Stati nazionali (e le loro controparti regionali: per l’Europa l’Unione Europea, per gli USA il Governo Federale); autorità indipendenti che oscillano pericolosamente tra governo e autoregolazione dell’economia. Si assiste a una privatizzazione del potere dei vecchi Stati e alla loro dissoluzione in una struttura che ricorda l’Impero Britannico, con un moltiplicatore di potenza dovuto allo sviluppo tecnico, trainato da un’oligarchia privata non localizzabile. La multiforme modalità di rapporto al potere da parte privata, unito al comune sentire per cui si dà per scontato che dovrebbe essere il “pubblico” a svolgere il ruolo di regolatore, rende difficile cogliere con chiarezza il conflitto in atto tra interessi privati tanto ampi da essere globali e assumere caratteri in passato tipici della Guerra tra Stati.
Per tale ragione, l’attività prima di scrittura e poi di interpretazione di atti normativi è uno strumento attraverso il quale è possibile condurre strategie di attacco e difesa di dimensioni nazionali, non più condotte sotto il nome di “politica” ma di “marketing”, penetrazione commerciale/industriale.
Conflitto e strategia
La strategia di soddisfazione degli interessi di un Paese è influenzata da diverse variabili: geografia, storia, religione, fattori economici, sistema politico. In questo schema elementare è facile osservare come l’unico elemento immodificabile sia la geografia. Gli altri sono in qualche modo influenzabili e modificabili con il tempo o con proporzionati interventi. Tutto avviene nella testa delle persone (Also rein innerlich, in der Kopfen der Mennschen vollzieht sich dieser Prozess, G. Jellinek).
Intervenendo sulla testa delle persone è possibile modificare ciascuno degli elementi che determinano lo scenario di un conflitto. Questo intervento di volta in volta viene chiamato “Guerra economica”, “Guerra psicologica”, “Guerra culturale”, “Guerra cognitiva”. Un esempio: le cosiddette “Rivoluzioni colorate” elaborate dal pensiero strategico USA negli anni ’90, sulla scorta della riflessione di Gene Sharp, con risultati alterni. Queste coinvolgono l’azione di lobbying e comunicazione da parte di diverse ONG e Think Tanks, esponenti di gruppi di interesse in diversi Paesi d’Europa, come la Open Society o il WEF, l’intervento conformante dell’istruzione pubblica (gruppi come la TreElle).
Esistono dimensioni del conflitto che interessano i giuristi in modo eccedente la tradizionale “rappresentanza di interessi” presso il “decisore politico” (lobbying). I giuristi faticano a mettere a fuoco questi scenari, condizionati come sono dalla loro formazione orientata, innanzi tutto, alla dimensione del processo, e quindi delle tecniche di svolgimento e risoluzione del conflitto “interne” alla loro disciplina.
Il mutare della credenza di legittimità di un dato comportamento all’interno di un gruppo sociale è qualcosa che i giuristi conoscono, o dovrebbero conoscere, molto bene. Si chiama opinio iuris : la diffusa convinzione della necessità o doverosità di un comportamento materiale a prescindere dal contenuto del diritto formalizzato in un documento normativo, che sia il contratto o un atto di diritto pubblico (legge, provvedimento, sentenza). È ciò che si definisce “normatività del fattuale” o, presso la giurisprudenza costituzionale ed ordinaria, “mutamento della coscienza sociale”. Ciò viene invocato come argomento per giustificare interpretazioni del diritto scritto in opposizione, anche radicale, al significato originario.
Quello che però si omette di osservare è che, se al tempo dei giuristi romani l’ opinio iuris poteva essere intesa come un dato di fatto naturale e non controllabile, al pari del volgere delle stagioni o del tempo, le tecniche di comunicazione sviluppate a far data dal Primo Conflitto Mondiale sono in grado oggi di influenzare potentemente la credenza di legittimità/illegittimità di un comportamento all’interno di un gruppo sociale. Al pari, sono in grado di creare letteralmente dal nulla le condizioni per cui certi fenomeni di normazione si realizzino, cristallizzando o addirittura determinando mutamenti legislativi o costituzionali un tempo impensabili.
Un epilogo: guerra normativa come parte della Strategia
Solange Manfredi, nel suo Attacco e Conquista. La guerra normativa (2021) ha definito la Guerra Normativa come: «Una guerra che non si combatte più tra Stati, abilmente marginalizzati nel gioco del potere, ma tra Principi moderni, ossia tra oligarchie private che, più ricche degli Stati, hanno propri strumenti, politici, comunicativi, legali e militari. […] Come abbiamo imparato a conoscere, il primo passo da compiere è un’importante opera di influenza culturale che, attraverso le armi della guerra psicologica, deve “preparare” il territorio, modificando cultura e valori, al nuovo ordine che si vuole imporre […] I mezzi utilizzati sono la paura, la seduzione, la deculturazione, la propaganda e mirate operazioni di PsyOps che, portate avanti attraverso personale straniero di rinforzo, sono tese a delegittimare ed attaccare i gruppi ‘chiave’ dello Stato obiettivo. […] Terzo passaggio è l’elaborazione di stratagemmi per sfruttare quelli che, a prima vista, sembrerebbero vincoli politici e giuridici forti, utilizzandoli in modo contrario al loro proposito originario, ma senza smantellarli o attaccarli apertamente, così da privare le istituzioni di molte funzioni e ridurle a svolgere attività di legittimazione delle scelte del potere» (p. 66, sottolineature nostre).
Continua: «… la Francia da tempo ha affrontato, anche con apposite commissioni di inchiesta, il problema della Guerra Normativa, cercando di sviluppare adeguate contromisure e strutture di intelligence giuridica; l’Italia, nonostante le sollecitazioni in tal senso, pare in ritardo nell’affrontare il problema, mentre due Multinazionali straniere (n.d.a. Wolters Kluver e Lefevre Sarrut), hanno acquistato le principali case editrici giuridiche e sono leader nella formazione professionale e nei servizi banche dati in ambito legale, commerciale, fisco, lavoro, etc., acquisendo una posizione dominante nel settore. Ecco perché è importante creare apposite strutture di intelligence giuridica per la prevenzione dei rischi e la gestione delle crisi. […] Una struttura giuridica che sappia anche stringere alleanze con i vari ordini professionali ed Università, elaborare influenze e strategie, proporre rimedi e strumenti giuridici adeguati per proteggere, promuovere e regolare attività di interesse strategico e rilevanti per la sicurezza nazionale e, non ultimo, capace di coordinarsi con altri Paesi nell’attuazione di strategie e azioni per far fronte comune all’attacco» (p. 79, sottolineature nostre).
Per tacer d’altro, cosa è stata la vicenda del MES (meccanismo Europeo di Stabilità) se non un attacco – per il momento sventato – al sistema bancario-finanziario del Paese. condotto attraverso le forme della Guerra Normativa?
Alessandro Mangia, Docente di Diritto costituzionale Università Cattolica, Relatore IASSP
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