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Sep
Il divario su tutto con le classi condizionate è siderale -qui il merito è dato per insignificante-, l’attuale forma dinastica patriziale presidia l’esclusività ovvero l’esclusione (alla faccia della letteratura dell’inclusione), l’inarrivabile e l’inamovibile del privilegio.
Il fatale però è sempre superato dalla contraddizione, la condizione data per definitiva contraddice l’impulso universale umanistico dell’emancipazione: ognuno esige la libertà di cercare di ottenere ciò che ritiene di meritare. Tuttavia tale istanza è stata tacitata da tempo togliendo di mezzo quell’ingombro ideologico della democrazia che era l’ascensore sociale. Ecco il sogno paradossale della congiunzione tra Harvard University e i Soviet nel bizzarro binomio: Harvard-Soviet.
Non era questo l’assunto dell’utopia comunista? Essere “una macchina per sopprimere le differenze tra gli uomini”. (Georges Bataille).
Proprio nella scuola dilaga lo spirito dell’indifferenziazione, il talento appena venuto alla luce è considerato inopportuno rispetto al diritto della mediocritas, così il merito è sempre meno una risorsa e sempre più un’opzione sospetta. Viene tradito anche quando si vincola al criterio delle pari opportunità, inibito proprio in quanto chance dell’accesso, ristabilendo così la valenza del censo. L’immaginario dell’eguaglianza diventa una potente alternativa ideologica al diritto libertario di crescere, di migliorare la propria condizione nel cuore del vincolo studio-lavoro.
Insistere quasi esclusivamente sui diritti civili è il diversivo par excellence per eludere il rapporto tra giustizia retributiva e merito, e promuovere l’egualitarismo forzoso delle maggioranze, mentre permane intatta la posizione di vantaggio delle upper class.
Il ceto abbiente nazionale spedisce la propria prole nelle facoltà elitiste della sfera anglofona, là dove peripateticano i premi Nobel. Mentre la scuola pubblica superiore è viceversa il più grande parcheggio sociale della nostra Informe discendenza che come in una commedia degli equivoci mette in scena la retorica dell’eguaglianza planetaria.
L’impersonale è il sogno dell’omologazione universale. Il principio elitista vuole assicurare “l’uniformità più completa possibile tra gli individui [afferma Renè Guenon], tanto che uno dei “principi” d’ogni amministrazione moderna, è di trattarli come semplici unità numeriche in tutto simili l’una all’altra, vale a dire d’agire come se, per ipotesi, l’uniformità “ideale” fosse già realizzata e di obbligare in questo modo tutti gli uomini a “dimensionarsi”, se si potesse dire, secondo una stessa misura “media”.[1]
La nuova forma della riproduzione della ricchezza -detta sbrigativamente post-democrazia -diffida della dialettica degli interessi- a suo tempo rappresentata da corpi intermedi oggi ridotti all’insignificanza. Ogni confronto veritativo è superato da una sorta di liturgia gnostica diffusa urbi et orbi dai media che discrimina è tacita ogni dissonanza.
Tuttavia sono le contraddizioni che si ostinano a essere ineludibili come la verità a presentarci il conto. La nuova teologia predica l’eguaglianza universale mentre di fatto accondiscende alla massima polarizzazione della diseguaglianza economico sociale; vuole il conforme e allo stesso tempo promuovere l’estetica delle diversità e dell’egotismo; accende il bisogno di affermazione personale, la brama di status, ma rende la sua realizzazione inaccessibile ai più; indica orizzonti perfettistici e appunto universali mentre distoglie lo sguardo dal terreno su cui camminiamo.
La bulimia della letteratura sull’universalità e inclusione si è rovesciata nella più estrema frammentazione del discorso cognitivo. Persino le fasce generazionali si sono moltiplicate dividendosi in territori incomunicanti. La vecchia separazione tra quarti di secolo è diventata cortissima dopo i baby boomers. I millenials non sanno né vogliono sapere nulla della generazione “X”, né di ogni altra e viceversa. Paradigmi culturali modelli di comportamento, frasari basic, gerghi sempre più cifrati e stili di vita si separano dal resto sfuggendo da assedi immaginari. E il mercato è lì, al servizio della differenza. Il marketing, customer satisfaction, MKT esperienziale, ecc. l’appagano sempre[2]. Mentre le frammentazioni sociali e cognitive si moltiplicano.
Il reverendo Malthus lusinga ancora l’ambizione del posizionamento sociale dinastico grazie, manco a dirlo, a presunte unicità inabissate nel patrimonio genetico, sebbene l’elargizione di doti soggettive resti beffardamente casuale.
Doti che sembrano invece concepite per una umanità che non abbia altro fine che se stessa. Detto in termini ispirati quanto esegetici, doti per “Una società che non prenda se stessa come il tutto, ma come il supporto di altro: contemplazione, conoscenza, piacere, arte. Attività che si appagano di se stesse e si fondano sulla reverenza verso l’ignoto”. [3]
Dobbiamo confidare nei processi emancipativi, dalla liberazione alla metamorfosi, i miti che trasformano e mutano lo stesso destino.
“Sopporta e resisti, un giorno questo dolore ti sarà utile”.[4]
L’invito è in aperta controtendenza con l’attualità, ma Ovidio può ancora ispirare: coltiva l’amarezza fino all’insopportabile. Lascia crescere in te sofferenza e apprensione, senza mitigarle invocando la speranza. Soprattutto non rassegnarti, non cercare conforto negli altri, non pacificare l’inevitabilità del male. Non colpevolizzarti, né assegnare colpe agli altri, sono esercizi inutili di rassegnazione, di resa senza condizioni che deprimono ogni vocazione al meglio.[5]
Diffida del dolce invito all’adattamento al conforme, al tedio dell’autoconsolazione.
Allora, solo allora potrà nascere la necessità di una vera trasfigurazione del sè. Intanto preparati. Arriveranno le notti di fuoco.
È ancora quell’acquiescenza, ispirata dal senso di insignificanza, che dobbiamo abbandonare e prepararci ad altro, prepararci perché il mondo non resta mai senza contraddizione, né senza possibilità come vorrebbe chi afferma la sua definitività (la fine della storia).
La condizione di insignificanza paralizza ogni volontà, ogni speranza di autoaffermazione consegna tanto l’individuo quanto una società a un destino di stasi sfiduciaria e di regressione. Viceversa ogni determinazione di autonomia creativa anima il processo emancipativo.
Ivan Rizzi. Presidente Istituto IASSP.
Estratto dal prossimo saggio IASSP “Per merito”. Editore Rubbettino.
[1] R. Guenon. Il regno della quantità e i Segni dei tempi. Pag. 141. Milano. Adelphi. 1998
[2] J. Savage. L’invenzione dei giovani. Milano. Feltrinelli. 2009
[3] R. Calasso. L’innominabile attuale. Pag. 169. Milano. Adelphi. 2017.
[4] Ovidio. Amores. Milano. Mondadori. 1994.
[5] Cosa che invece si è risolta nella scuola in un allineamento generalizzato al basso.
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03Oct
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