26
Sep

Parlando della contesa tra Stati Uniti e Cina, sospetto che una nuova guerra fredda sia nell’aria. I due Paesi quasi non si parlano. L’epilogo potrebbe essere tragico: si tratta di un evento che definirà il nostro futuro, nel bene o nel male. Sarà un mondo bipolare? Probabilmente sì. Definirà dove dovranno studiare i nostri figli, dove sarà meglio vivere, dove e come investire i soldi, come risparmiare. Insomma, condizionerà una serie di decisioni anche molto semplici, ma rilevanti, della nostra vita ed è quindi doveroso essere informati.
Le premesse e i retroscena storici della situazione attuale partono dal 1949, quando Mao Zedong conquistò il potere in Cina marciando su Shanghai e Pechino. Sconfisse l’esercito del Kuomintang, il partito nazionalista cinese comandato dal generale Chiang Kai-shek, il quale si trasferì con le rimanenti forze a Taiwan: un’isoletta che è una volta mezza la Sicilia, a circa 160 chilometri dalla costa meridionale della Cina, in cui attualmente vivono 24 milioni di persone. Qui iniziò anche il grande problema di Taiwan, ma questo è un altro argomento.
Gli Stati Uniti furono molto duri nei confronti di Mao, perché in fondo era comunista e il comunismo era visto come un grande nemico. Mao manteneva uno sguardo pragmatico: non odiava l’America, anche perché quest’ultima aveva sconfitto i giapponesi, aiutando indirettamente la rivoluzione maoista. I russi, al contrario, avevano approfittato dell’instabilità della situazione per accaparrarsi alcuni territori della Cina orientale, con il risultato che Mao, giustamente, non nutriva buona considerazione per questi ultimi. L’unico problema con gli americani, in realtà, erano le sovvenzioni date a Kai-shek, il cui regime era però molto corrotto e ciò comportò una drastica riduzione a breve termine degli aiuti occidentali.
Per vent’anni l’America e la Cina non si parlarono. Mao fece una grande virata stalinista, scaturendone un abbraccio economico e militare con la Russia di Stalin. Questo accordo si interruppe con l’arrivo di Krusciov, che denunciò i crimini di Stalin, con disappunto di Mao. Il rapporto tra la Cina e la Russia degradò al punto che circa a metà degli anni ‘60 i due Paesi furono prossimi a una guerra sul fiume Suri.
Dopo i vent’anni di cui dicevo sopra, nel 1971, Nixon quasi a sorpresa si recò in Cina e il dialogo si riaprì con toni molto affettuosi. Quell’anno la Cina entrò di fatto nella Grande Alleanza in funzione anti-Unione Sovietica. La notizia non si diffuse particolarmente: in Italia, per esempio, sapevamo che la Cina era comunista, ma non eravamo al corrente di essere in così buoni rapporti militari all’interno dell’Alleanza. Questo accordo contribuì comunque senza dubbio alla caduta del comunismo in Unione Sovietica. L’unica condizione che Mao pose agli Stati Uniti fu il riconoscimento del fatto che la Cina è unica e che, quindi, Taiwan ne faceva parte; quest’ultima, già titolare di un seggio indipendente all’ONU e di un diritto di veto, ne fu privata.
Nel 1976, in piena rivoluzione culturale, Mao morì lasciando il Paese economicamente arretrato e provato da anni di duri cambiamenti. Nel ‘79 si impose un nuovo leader, Xiaoping, persona molto pragmatica. Disse, fra le altre frasi: “non importa se il gatto è bianco o nero, ma che acchiappi i topi”. Xiaoping capì l’arretratezza e la chiusura della Cina coeva e fece l’unica cosa che avrebbe potuto fare: aprì la Cina al mondo economico, mettendo sul mercato oltre 1 miliardo di lavoratori a basso costo. I termini furono molto allettanti per le imprese internazionali e, dai primi anni ’80, si avviò un’opera di grandi investimenti e acquisti in Cina. Gli imprenditori di Hong Kong e i cinesi della diaspora furono i primi a valersi di questa occasione. Aprirono anche delle aree economiche speciali, come avremmo dovuto fare anche noi oltre 40 anni fa. Iniziò da allora un flusso di grandi esportazioni cinesi a bassissimo costo verso l’Occidente.
Verso la fine di quegli anni si definì anche una timida apertura politica, che condusse alle rivolte degli studenti in numerose città. Le autorità cinesi furono allarmate e si ricordarono della crisi in Unione Sovietica seguita all’introduzione del modello di Gorbaciov. Invece di sperimentare l’apertura politica prima di quella economica, la Cina seguì l’opposto, realizzando prima l’apertura economica e poi, se fosse stato necessario, quella politica. Nel 1989 i carri armati in piazza Tienanmen spensero le speranze di coloro che volevano una democrazia in Cina. In Occidente probabilmente non capimmo la portata di tale momento storico e nemmeno la gravità dei diecimila morti; fummo invece molto accondiscendenti con Xiaoping, specialmente gli Stati Uniti.
Nel corso degli anni ‘90 si accentuarono le esportazioni e gli investimenti occidentali in Cina, con profitti straordinari. Quello che prima si produceva in Italia con costi altissimi poteva essere prodotto in Cina e poi esportato per un decimo del prezzo. Il saggio di profitto nel mondo crebbe in misura abnorme. Le borse cominciano a crescere… forse troppo. Furono anni mirabolanti. Il culmine si raggiunse nel 2001, con l’ingresso della Cina nel WTO. Dopo quella data gli sgravi doganali per le merci cinesi, che prima dovevano essere rinnovati di anno in anno previa ispezione, furono garantiti indefinitamente. La Cina entrò nel sistema produttivo mondiale e le conseguenze furono rilevanti, con l’avvio di una seconda ondata di investimenti occidentali. In Europa – come in America – gli stabilimenti cominciarono a chiudere per delocalizzare dove l’industria era meno costosa. L’economia si spostò dalla produzione all’esportazione.
Iniziò anche la grande spoliazione industriale degli Stati Uniti: intere aree produttive del Midwest e del Northeast furono spazzate via, insieme alle comunità che vivevano sulle aziende tradizionali. L’America perse approssimativamente una decina di milioni di lavoratori industriali, a cui si è poi rivolta, per esempio, la campagna di Trump. Su questo, la storia deve ancora scoprire le sue carte.
Dott. Alberto Forchielli, Chairman di Mindful Capital Partners
Estratto della lectio del Master In Intelligence economica. IASSP 2023.
(A cura di Andrea Meneghel)
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