04
Aug
La parola “intelligence” deriva dal latino intelligere, cioè capire, comprendere. A sua volta, intelligere si riconduce etimologicamente a intus legere (leggere dentro le cose), quindi richiama le doti umane per eccellenza della logica, della razionalità e del pensiero. Da questo punto di vista, l’intelligence potrebbe configurarsi come una delle forme più raffinate di intelligenza umana, poiché aiuta a oltrepassare le apparenze e guardare le cose nel dettaglio e nelle reciproche connessioni. L’intelligence, infatti, serve per contestualizzare e connettere diversi eventi, analizzare sistemi avanzati cogliendo i punti integri e quelli da proteggere, infine ci permette di distinguere le intenzioni, evitando di cadere nella trappola del “segnale forte” che serve a coprire, nella realtà, una moltitudine di “segnali deboli” che sono, al di là di ciò che potrebbe a prima vista sembrare, il dato rilevante.
Con la parola “intelligence” individuiamo tre cose diverse: primo, un apparato dello Stato, i cosiddetti servizi segreti; secondo, un metodo di elaborazione delle informazioni e, in questo senso, tutti facciamo intelligence, anche quando confrontiamo (per esempio) i vari risultati di una ricerca su internet; infine, il complesso delle funzioni che permettono, come disse Bill Gates negli anni ’90, di eccellere attraverso la superiorità sul terreno delle informazioni. In questo ultimo senso noi intendiamo il processo di intelligence quando lo dividiamo in fasi di raccolta, analisi, utilizzo e disseminazione dell’informazione.
L’intelligence consente anche di difendere la democrazia. Da cosa? Da se stessa, innanzitutto, ovvero dalle sue degenerazioni. Aristotele, già nel IV secolo a. C., sosteneva che ogni sistema politico inevitabilmente degenera – la monarchia in tirannide, l’aristocrazia in oligarchia, la democrazia in demagogia, che oggi chiamiamo “populismo” – e il mio maestro, Giorgio Galli, spiegava che il fascismo e il nazismo erano state la degenerazione del sistema democratico alla fine della prima guerra mondiale. I rimedi erano chiaramente peggiori del male, ma in origine rispondevano a una crisi. Oggi, quando sento parlare di pericolo fascista, la ritengo una affermazione completamente priva di senso, perché non ci sono i presupposti per un ritorno del fenomeno fascista dentro il nostro Paese; ci sono però le condizioni che hanno determinato il fascismo: la crisi sociale, la debolezza delle élite, l’inadeguatezza delle scelte politiche.
Interpretare – a livello collettivo – i fenomeni del presente serve soprattutto per prevenire queste degenerazioni. Purtroppo, noi viviamo nella società della disinformazione sistemica e non sappiamo riconoscerla intorno a noi: quello di cui i pesci non sanno assolutamente nulla è l’acqua (Marshall McLuhan). La difficoltà biologica dell’uomo alla comprensione del reale si è accentuata enormemente con l’eccesso informativo, da un lato, e con il basso livello sostanziale di istruzione dall’altro. Si è creato un corto circuito cognitivo che ha allontanato ancora di più la percezione pubblica dalla realtà. Negli ultimi due anni la pandemia e la guerra in Ucraina sono state materie di studio straordinarie che ci hanno permesso di vedere la società della disinformazione nel suo massimo fulgore.
Occorrerebbe riflettere alla luce di questi dati sulla reale natura della democrazia nel nostro Paese, che si abbina al meccanismo delle liste bloccate, dove l’elettore ha un’unica libertà: quella che avevano gli analfabeti, apporre una croce su un simbolo. Possiamo dunque considerare gli eletti nel Parlamento i nostri rappresentanti? Provate a chiedere a una persona che si sia recata alle urne se conosce più di due o tre parlamentari che ha votato. Questo modo di pensare la democrazia è ridotto ai minimi termini, cioè alla sole procedure elettorali. La democrazia vera, in realtà, si basa su due elementi fondamentali: la consapevolezza dei cittadini e la responsabilità dei rappresentanti. Karl Popper scriveva che il motivo centrale dell’idea del controllo del potere è riuscire a verificare l’azione di chi comanda o svolge funzioni pubbliche.
La difesa di un sistema democratico è difficile, non solo all’interno di esso, ma anche sul fronte estero: le democrazie vivono in una asimmetria fra la propria struttura, burocratica e territoriale, soggetta alle elezioni, e l’azione transnazionale delle organizzazioni criminali, che scelgono i propri capi – permettetemi una provocazione – in base al merito; il merito del più forte. Al contempo, la democrazia è vulnerabile anche verso le ingerenze delle multinazionali straniere, che dispongono talvolta di fondi ingenti molto superiori a quelli dei Paesi democratici che sprofondano nel debito. Come si risponde a queste incombenze? Con la formazione di una classe dirigente che sappia sfruttare gli strumenti (validi) a disposizione. Per valorizzare il patrimonio nazionale c’è bisogno della formazione delle élites, che deve avvenire su base sistematica; poiché ogni organizzazione, inclusa la democrazia, funziona in proporzione alla competenza di chi ricopre la carica di dirigente.
Prof. Mario Caligiuri, Professore ordinario presso Università della Calabria.
Estratto della lectio del Master In Intelligence economica. IASSP 2023.
(A cura di Andrea Meneghel)
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