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Jul

Viviamo in un’epoca in cui un’enorme quantità di dati viene generata ogni giorno ed è in continua accelerazione. Questi dati rappresentano una nuova risorsa per le imprese e la pubblica amministrazione, che desiderano (naturalmente) comprendere meglio il proprio ecosistema e i propri clienti o cittadini. Non basta però raccogliere dati per migliorare i propri processi interni, occorre anche saperli analizzare, interpretare e utilizzare secondo logica, assumendo infine decisioni informate. Qui entrano in gioco i big data e l’analisi dei dati; grazie a queste tecnologie, potremmo raccogliere enormi quantità di dati da molteplici fonti e utilizzarle per creare modelli predittivi, identificare tendenze particolari, individuare opportunità di crescita e miglioramento. Non è solo una questione di tecnologia, ma anche culturale e soprattutto organizzativa. Si tratta di un concetto che gli inglesi definiscono “Grounding” ovvero “messa a terra delle informazioni”. Investire in questi strumenti e creare una cultura basata sui dati è fondamentale per poter diventare uno Stato sistemico, capace di strategia per affrontare l’evoluzione e le sfide del futuro.
Nonostante le differenze, entrambi gli ambiti hanno presupposti organizzativi imprescindibili che, a mio avviso, presentano similitudini. Vediamo in che modo viene effettivamente integrata l’analisi dei dati nei rispettivi processi. Le aziende percorrono tre fasi: durante la prima il lavoro di analisi è volto esclusivamente ai propri dati interni e non c’è una conoscenza aperta di tutti i contenuti informativi all’interno dell’organizzazione; il secondo momento prevede una grande disponibilità di informazioni e si tende a centralizzare la gestione informativa in modo da renderle disponibili a tutti per qualunque analisi. In questa seconda fase si impiegano i primi strumenti, ma manca ancora una strategia nell’esercizio dell’analisi, per allinearsi agli obiettivi dell’azienda: ciò avviene finalmente nella terza fase, in cui l’azienda diventa “data driven” e quindi propone i risultati delle proprie analisi in modo industrializzato, elaborando, confezionando e distribuendo le informazioni come gli altri prodotti.
Tutto questo come si traduce nella PA? Lo sviluppo è simile, ma cambiano i fini. Si possono usare questi contenuti informativi sostanzialmente per quattro dimensioni: il miglioramento dell’efficienza dei servizi pubblici, tramite l’individuazione dei bisogni dei cittadini e l’eventuale personalizzazione del servizio; per monitorare e valutare le politiche pubbliche; per la prevenzione e il contrasto alla corruzione; per promuovere, infine, la trasparenza della PA e la partecipazione dei cittadini alle decisioni che riguardano la propria comunità.
A che punto siamo nell’integrazione tra pubblico e privato? Le esigenze possono essere diverse così come gli obiettivi, perché lo Stato si occupa del benessere e dell’eticità dei cittadini mentre le aziende hanno come obiettivo il profitto, benché molte stiano ragionando sempre più in termini di una considerazione olistica del profitto, inteso anche come benessere comune del territorio e della cittadinanza in cui l’azienda è presente. Considerando le informazioni che possono venire congiuntamente dall’ambito della pubblica amministrazione e da quello della struttura privata, il valore che potrebbe essere generato è enorme. Entrambi sono silos potenzialmente importantissimi, il cui vero potenziale è dato tuttavia dalla capacità con cui sappiamo valercene in modo diffuso, capillare.
Dott. Marcello Savarese, Chief Data Analitics presso Wind 3.
Estratto della lectio del Master In Intelligence economica. IASSP 2023.
(A cura di Andrea Meneghel)
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