05
Jul

La leadership nei quadri nazionali
Ci sono molti riferimenti paralleli fra politica e realtà aziendale: la leadership è un tema trasversale tanto alle aziende, quanto ai governi e alla pubblica amministrazione. L’argomento si trova variamente esposto e interpretato a seconda dei contesti nazionali. In Italia abbiamo avuto dei grossi problemi a ricostruire un sistema di leadership dopo l’assassinio di Aldo Moro. In Francia è sorto il sospetto che la leadership possa essere un elemento eccessivo di aristocrazia. In Germania si sta discutendo ancora su come aggregare una leadership innovativa. Negli Stati Uniti, infine, l’esperienza di Trump ha posto una questione molto interessante, ossia dove porre il confine fra la leadership e il nudo e illimitato potere, che non intende sottoporsi a controlli. L’etica della leadership pone con particolare attenzione due argini: il fatto che le regole devono essere applicate anche al leader stesso e che quest’ultimo non deve modificare le leggi a proprio vantaggio personale. Il problema della leadership è il problema della formazione delle classi dirigenti. Per rendere chiari i caratteri della mia esposizione, ho redatto sette brevi tesi sulla leadership e una conclusione.
Prima tesi
La prima tesi riguarda la differenza fra “leader” e “capo”. Il leader ascolta, il capo parla. Il leader persuade, il capo impone. Esiste infatti una differenza tra l’etica della persuasione, che cerca di orientare il soggetto che sta di fronte attraverso il convincimento razionale, e l’etica dell’imposizione, che è quella di chi dice «si fa così» e non accetta repliche. L’etica della persuasione prevede che chi cerca di convincere sia a sua volta disponibile a essere persuaso. Il leader dialoga, cerca di capire le ragioni degli altri, talora discute volentieri – mai in modo sterile – anche perché sa che è statisticamente improbabile che egli abbia sempre ragione e gli altri sempre torto. Il leader forma con il comportamento e l’esempio, il capo si aspetta risultati dalle sue richieste. In una comunità il comportamento del leader è essenziale, perché si trasmette molto di più con l’esempio che con le parole. Il leader governa, cioè orienta i fattori verso il conseguimento del risultato, il capo amministra, quindi dispone i fattori in una formula semplicemente convenuta. Il leader esige lealtà, il capo obbedienza, laddove la lealtà permette che emerga anche uno spirito critico, se ben motivato, mentre al capo le critiche danno sempre fastidio. Il leader semplifica, il capo banalizza. Permettetemi di aprire una parentesi su questo argomento: quando Aldo Moro era docente di diritto penale all’Università di Bari, una volta mi disse «Bisogna distinguere tra sintesi e banalizzazione. Chi sintetizza toglie consapevolmente il superfluo; chi banalizza toglie inconsapevolmente l’essenziale».
Seconda tesi
Vengo alla seconda tesi, che riguarda il governo, inteso come capacità di dirigere qualsiasi comunità, piccola o grande che essa sia, politica così come aziendale. Governare è certamente difficile; molto più facile è criticare chi governa. Poiché si tratta di un lavoro per nulla facile e di semplice esecuzione, il leader non nasce tale, ma lo diventa. Chi vuole diventare leader deve costruirsi, guardarsi intorno ed educarsi al senso del limite. Questo è un altro punto fondamentale: sapere che si può fare fino a una determinata soglia e non oltre. Esiste una cosa, rara, chiamata “grazia di Stato”, che può essere applicata anche al contesto aziendale: alcune persone, di cui non si sospetta possano avere capacità di leader ed esercitare bene le proprie responsabilità, una volta collocate nel giusto ruolo manifestano queste qualità nel miglior modo possibile. Un leader sa valorizzare anche le funzioni esecutive che generalmente appaiono più marginali. Pensate alla figura di una telefonista o di una segretaria: è la prima persona con la quale un esterno si relaziona a un’azienda o a un’amministrazione pubblica. Il suo ruolo è molto importante, poiché determinerà la prima immagine che il cliente o il fruitore si formerà del servizio e della qualità che offre un ambiente. Rispondere dopo dieci squilli farà un certo effetto, rispondere in modo maleducato farà un certo effetto. Le caratteristiche che si desiderano trasmettere dovranno perciò essere presenti nella voce di chi alzerà la cornetta; i telefonisti sono parte di un progetto al pari dei ruoli sovraordinati. Occorre stare attenti a coinvolgere tutti all’interno del progetto da realizzare, innescando l’orgoglio buono di appartenere alla comunità che cerca di conseguire l’obiettivo. Quando un luogo acquisisce prestigio, anche il suo leader ne assume.
Terza tesi
Se il capo permette al seguace di farne il proprio idolo, allora la figura del capo diventa quella del corruttore. Il leader non deve essere un seduttore. Contrariamente a ciò che si dice spesso in politica, la forma forte e seducente della leadership è immorale e contraria allo scopo di convincere e orientare gli altri, facendo sì che essi mantengano la propria autonomia e indipendenza. Non c’è alcun bisogno di circondarsi di persone che approvano tutto ciò che il leader fa, disposte ad applaudirlo quando vuole. Il narcisismo è un recinto; il leader non perde neanche un minuto a raccontarsi quanto è bravo e capace, perché le sue forze servono a spostare orientamenti e convincere persone. Non si guarda allo specchio, ma lo tratta come un mobile e null’altro. Il gesto di guardarsi allo specchio è evidente anche quando viene rifiutato il confronto razionale con l’avversario e si rimane indifferenti nelle proprie posizioni reclamando l’inerziale diversità; anche questo è un modo per non costruire. Al contrario, l’altro deve essere ascoltato quando offre critiche interessanti e aiutare il leader a crescere.
Quarta tesi
Il leader deve avere coraggio. In ogni campo occorre avere coraggio e non è sempre facile. Kennedy, quando partecipò alla guerra in Vietnam, fu colpito alla schiena e passò molti mesi in ospedale per curare questa ferita. Scrisse un libro a proposito del coraggio, Ritratti del coraggio, in cui indicò una decina di senatori repubblicani che hanno reso onore a questa virtù. Avere coraggio significa saper prendere scelte impopolari; scelte che talvolta non portano risultati positivi al leader, però servono. Nel 1946, dopo la Liberazione, ci fu il problema della pacificazione del Paese, che aveva attraversato una guerra civile. Si decise di fare un’amnistia e coprire chi vi aveva combattuto da una parte e dall’altra. Una equiparazione che non piacque al partito del Ministro della Giustizia Togliatti: avendo i membri di questo partito partecipato in misura rilevante alla Liberazione, non volevano essere parificati agli altri; Togliatti concesse lo stesso l’amnistia, perché ritenne che al Paese serviva un atto di pacificazione. Vorrei citare un passo del discorso che Roosevelt tenne alla Sorbona nel 1910: «Non conta chi critica, né l’individuo che indica come l’uomo forte inciampi o come avrebbe potuto compiere meglio un’azione. L’onore spetta all’uomo che realmente sta nell’arena, il cui viso è segnato da polvere, sudore, sangue e che lotta con coraggio, che sbaglia ripetutamente, perché non c’è tentativo senza errori. L’uomo che lotta effettivamente per raggiungere l’obiettivo e che conosce il grande entusiasmo, la grande dedizione, che si spende per una giusta causa». Naturalmente, è meglio vincere che perdere, però misurarsi è comunque importante, perché è un esempio e una forma di rispetto.
Quinta tesi
Il rispetto consiste nell’attenzione per l’altro, che è una persona con una dignità, che deve essere sempre tenuta in considerazione. L’altro non è soltanto un diverso-da-me, un dipendente, ma ha una sua storia, una vita fuori dal complesso nel quale collaboriamo, un sistema di relazioni che lo influenza. Il coraggio si associa al rispetto e alla conoscenza. Avere rispetto è molto importante perché chi dà rispetto merita rispetto. Vale anche il contrario, chi non rispetta in genere non è rispettato. Il rispetto crea comunità e rafforza i legami interpersonali. La comunità non è solo un fatto formale, un gruppo di persone che noi ammettiamo a partecipare: fa circolare dei valori, che sono fondamentali per la realizzazione di un obiettivo. In una comunità le persone condividono il senso del dovere, che tiene uniti gli individui; i diritti sono importanti e sono manifestazioni del singolo, mentre i doveri derivano dall’essere parte di una comunità. Ho sempre pensato che la conoscenza sia un’altra caratteristica imprescindibile. La conoscenza comporta essere preparati. Se non si conosce una cosa ci si informa e non si partecipa mai a una riunione senza essere informati correttamente e in modo completo. Bisogna sapere tutto quello che è necessario sapere; talvolta è noioso e fastidioso, qualche volta inutile perché poi la materia viene superata, però fa parte della disciplina. Le persone preparate meritano rispetto, mentre quelle impreparate qualche volta ricevono una simulazione di stima.
Sesta tesi
Un leader deve saper usare il tempo. L’intelligenza artificiale potrà forse superarci nella velocità, ma i tempi del digitale non sono i tempi dell’umano, sono diversi. Occorre non farsi dominare da quel tipo di velocità che non è velocità, perché non ha meccanismi umani di ragionevolezza: è uno strumento e serve da strumento. Il digitale crea un ambiente. Anche se non ce ne accorgiamo, perché siamo immersi quando telefoniamo, ci informiamo o guardiamo una trasmissione, le conseguenze dell’uso di questi strumenti si fanno sentire. Ci sono delle proiezioni che prevedono entro il 2030 l’ingresso del metaverso nel mercato. Questo ambiente modificherà le relazioni e le aziende; occorre prepararsi per tempo, altrimenti saremo colti di sorpresa, come è accaduto per il digitale. Un computer è un meccanismo che apprenderà molte più cose degli umani, superando anche le capacità di calcolo e di previsione. Non bisogna lasciarsi disorientare, ma continuare a seguire con attenzione queste applicazioni. Il leader identifica le proprie priorità. Non si fa angosciare dalla quantità di lavoro sulla propria scrivania. Seleziona i problemi sulla base di quelli che sono più urgenti, più importanti oppure più redditizi e così via. Procedere in questo modo evita di farsi guidare dall’istinto. Un leader deve sapere e saper indicare correttamente, in modo persuasivo, quali impegni sono più importanti e quali meno.
Settima tesi
La settima e ultima tesi è che il leader non deve aprire conflitti inutili. Quali conflitti sono inutili? Quelli che non portano costrutto anche se risolti correttamente. Non bisogna mai aprire conflitti di questo tipo, specialmente in politica. Ricordo un discorso del Presidente dell’opposizione in Portogallo nel 2020: «La minaccia che dobbiamo combattere esige unità, solidarietà, assenza di conflitti e senso di responsabilità. Per me in questo momento il Governo non è l’espressione di un partito avversario, ma la guida dell’intera Nazione, che abbiamo il dovere di aiutare. Non intendo parlare più di opposizione, ma di collaborazione». Questo è il modo di non aprire un conflitto, che era facile aprire ma che avrebbe aggravato una fase già difficile. È un modello di comportamento, non frequentissimo, faticoso da trovare. Aprire conflitti alla cieca espone al rischio di rimanere vittime. Machiavelli, nel suo Discorso sulla prima Deca di Tito Livio, esalta la Repubblica Romana perché sapeva chiudere i conflitti. È fondamentale non aprire conflitti che non si è in grado di chiudere. Nel 1953 c’era una fortissima pressione sul Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi da parte del Vaticano (che allora contava molto nella vita politica), il quale chiedeva che fossero messi fuorilegge il Partito Comunista e il Partito Socialista. De Gasperi avrebbe potuto farlo, ma una percentuale che ruotava intorno al 35% degli elettori aveva votato il partito socialcomunista e quindi metterlo fuorilegge avrebbe implicato aprire un conflitto, che avrebbe potuto degenerare facilmente. Questo è un esempio di come forze politiche responsabili evitano conflitti inutili e cercano di offrire soluzioni affinché nessuno esca umiliato. Chi perde non deve essere umiliato: non devono restare rancori, perché sono pericolosissimi.
Conclusione
In conclusione, vorrei elencare quelli che sono a mio giudizio i tre nemici principali della leadership: il primo sono le persone servili, che vanno invitate a non essere più tali anche quando sono comode, dal momento che alla lunga portano più svantaggi che vantaggi; il secondo sono i pensieri corti che non riescono a essere strategici, lungimiranti, i pensieri che guardano dall’oggi al domani; il terzo nemico di un leader è se stesso, la propria presunzione e la contentezza di sé, che attira soltanto irrisione di cui non ci si accorge, perché avviene alle spalle.
On. Luciano Violante, Presidente Fondazione Leonardo, già Presidente della Camera), Estratto della lectio del Master In Intelligence economica. IASSP 2023.
(A cura di Andrea Meneghel)
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