07
Jul
Diritto e intelligence: cosa hanno in comune? Non tutti ne sono consapevoli, ma i giuristi si occupano di conflitto, esattamente come gli analisti di geopolitica e strategia. Non è il conflitto militare, chiaramente, ma riguarda sempre interessi che entrano in contrasto e fra i quali il professionista deve trovare prima di tutto una interpretazione e poi una mediazione. In genere si dice che la regola per il contemperamento degli interessi dovrebbe essere la norma giuridica. Il Codice civile tuttavia va a propria volta interpretato ponendo la domanda giusta, altrimenti resta un inutile e noioso manuale. Se iniziamo a considerare i codici e le leggi come la risposta già pronta ai problemi operativi, come se un qualche legislatore illuminato potesse aver previsto tutto, non stiamo risolvendo nulla, a parte fuggire dalle esigenze della realtà.
Prima di qualunque fattispecie, occorre una ricognizione degli interessi in campo e questo significa saper leggere le situazioni: in tribunale devi sapere se sei l’avvocato A che difende la causa, l’avvocato B che tenta di smontarla o il giudice, poiché tutti e tre si faranno domande diverse. Sia che voi abbiate una lite con il vicino di casa, una situazione di tensione in famiglia oppure vi troviate accusati dalla pubblica amministrazione, qualunque giurista, in qualunque situazione, si chiede quali siano le intenzioni in gioco, perché certe dinamiche giuridiche non cambiano mai. Per questo si studia ancora il diritto romano, perché gli interessi, ossia l’aspirazione a conseguire un bene o un risultato, sono quasi sempre prevedibili. Il diritto è nel concreto una meccanica di interessi e l’attività di intelligence, se ci pensate, non è troppo diversa se vista da questa angolazione. La raccolta di informazioni è importante, ma chi sta dietro lo schermo ancora di più. La testa pensante vince sui numeri del monitor.
Spesso nel campo dell’intelligence si parla di guerra più che di conflitto, ma c’è differenza tra parlare dell’una e dell’altro. La guerra propriamente intesa, fino all’alba della Prima Guerra Mondiale, era una specie di duello governato da regole giuridiche poste razionalmente. La guerra era qualcosa di irreggimentato dal diritto, diventava un conflitto mediato da regole giuridiche e quindi neutralizzato, controllabile. Un esempio su tutti: la regola del non massacrare i civili. Con l’avvento della Società delle Nazioni, degli internazionalisti e via dicendo, si sono inventate le guerre giuste, le guerre di difesa o le guerre d’attacco e, perciò, si è usciti dal campo della neutralità per introdurre una serie infinita di distinzioni. C’è la cyber-war, la guerra economica, la guerra d’informazione, la psycho-war; quasi arriviamo a non sapere più di cosa si sta parlando. La chiarezza concettuale e la consapevolezza dell’ambiguità dei termini che si utilizzano è un problema da porsi sempre, soprattutto quando si copre il ruolo di chi analizza i dati.
Ciò che si vede oggi è una guerra (gravissima) dispiegata su dimensioni che superano la classica dicotomia terra e mare . Siamo arrivati al sesto livello. Quali erano gli altri cinque? La terra e il mare, come ho già detto; poi si è aperta la possibilità di condurre le battaglie in cielo, si sono inventati gli aerei e i caccia; proseguendo con ordine, gli anni ’60 hanno visto gli albori della quarta tipologia, il duello per la conquista dello spazio, operato soprattutto attraverso azioni dimostrative. Sono abbastanza vecchio da ricordare il periodo in cui ha preso piede la quinta dimensione del conflitto, il cyberspazio, con le sue proprie minacce e occasioni di scontro. Ai nostri giorni, infine, la tecnica ha aperto gli orizzonti a una nuova area bellica: il social engineering è una parola che va meravigliosamente di moda per descriverla. Sembra qualcosa di nuovo, di aggiornato, ma altro non è che la propaganda di cento anni fa e oltre; la usava anche Giulio Cesare nel De bello gallico.
Il social engineering si basa sulla possibilità di modificare l’opinio iuris corrente di una certa cultura o nazione. La domanda sorge allora spontanea: quali sono gli strumenti che consentono di mutare la credenza di legittimità di un determinato comportamento nel tempo? Per rispondere a questa domanda basterebbe tornare nella vecchia Unione Sovietica, in cui tutti dovevano avere una stanza della radio. Perché oggi non c’è bisogno di imporre una cosa come la stanza della radio? Perché veramente un dispositivo simile lo teniamo in tasca tutti i giorni… e paghiamo pure per averlo. Piaccia o non piaccia, questa è la funzione di quella scatolina magica che tiene ipnotizzati gli occhi di tutti in metropolitana. Se vi capita di soggiornare a Milano, o in qualche grande città, fermatevi e applicate l’arte di saper leggere: invece di guardare la vostra scatolina, guardate la persona che vi sta accanto e decifrate quante informazioni sta fornendo ai rivenditori professionisti dei vostri dati.
I dati sono per molte aziende il nuovo petrolio. Appreso questo, si capiscono molte altre cose di come va il mondo. Il metaverso è la creazione di un ambiente artificiale per poter continuare quel ciclo di sviluppo economico di cui parlava Hegel nella parte finale dei Lineamenti di filosofia del diritto: prima dalla terra al mare, poi verso il cielo e ora con il metaverso le economie cercano di conquistare sempre, necessariamente, nuove terre.
Alessandro Mangia, Professore ordinario di Diritto costituzionale nella Facoltà di Giurisprudenza dell’U.C.S.C e Diritto pubblico dell’economia, Estratto della lectio del Master In Intelligence economica. IASSP 2023.
(A cura di Andrea Meneghel)
Trackbacks and pingbacks
No trackback or pingback available for this article.
Per qualsiasi domanda, compila il form
[contact_form name="contact-form"]Ultime notizie
03Oct
Leave a reply