23
Feb
Oggi voglio affrontare un argomento che a prima vista può sembrare complicato, intitolato “accerchiamento cognitivo”. Perché vi parlerò di accerchiamento cognitivo? Semplicemente perché oggi riteniamo che si tratti di un approccio molto innovativo nel campo della guerra dell’informazione e di cui siamo testimoni. In diversi Paesi del mondo possiamo vedere le cosiddette operazioni di accerchiamento cognitivo. Naturalmente, proporrò degli esempi, ma prima vorrei fare una distinzione tra due espressioni, per capirci bene. Alla Scuola di guerra economica, e in particolare al Centro di ricerca 451, lavoriamo sulla nozione di guerra economica da 26 anni ma anche – questo è meno noto – sulla definizione di guerra cognitiva e dell’informazione. Oggi la Scuola di guerra economica, attraverso il suo centro di ricerca, si sta posizionando in modo molto importante su questo tema.
Se volete averne una panoramica, potete andare su YouTube, dove abbiamo un canale chiamato “Cr 451”, su cui avere accesso ai documentari e ai podcast. Purtroppo non sono in italiano, ma potrete aiutarvi con la traduzione automatica. Vi segnalo questo canale semplicemente perché mostra come lavoriamo su questo argomento; le immagini, i suoni, i testi e come cerchiamo di innovare. Tra un mese metteremo online anche il sito del centro di ricerca 451 e lì avrete una presentazione molto più completa di tutto quello che abbiamo iniziato a fare quest’anno e della memoria su cui ci basiamo per sviluppare il lavoro. Un’ultima precisazione: si tratta di un centro di ricerca applicata, quindi la sua vocazione non è accademica: mira a stabilire un forte legame tra teoria e pratica, specificamente nei due ambiti che ho citato, cioè la guerra economica e tutto ciò che riguarda la guerra cognitiva e la guerra d’informazione.
Chiariamo la distinzione tra queste due espressioni. Se dovessi dare una definizione molto semplice di che cosa sia la guerra cognitiva, sarebbe la seguente: è l’occupazione offensiva del campo della conoscenza. Detto così può sembrare molto astratta, ma se facessi riferimento a un personaggio della storia italiana contemporanea, capireste subito che si tratta di una cosa concreta. Penso agli scritti di Gramsci, che sono interessanti per noi. Si tratta di un autore comunista che fu imprigionato durante il periodo di Mussolini e che, valutando il fallimento del Partito Comunista Italiano di fronte al fascismo, cercò di definire una nuova forma di strategia per la conquista del potere. In questa strategia, definita attraverso i suoi Quaderni del carcere, vediamo apparire questa nozione molto, molto importante del ruolo che la conoscenza di un sistema può giocare per conquistarlo meglio e come conquistarlo usando la conoscenza; usando quindi tutte le possibilità di entrare nel sistema e infine influenzarlo pendendone il possesso. Se dovessi fare un esempio molto concreto di applicazione della guerra cognitiva oggi, citerei ovviamente il caso dell’Ucraina, che stiamo vivendo in tempo reale. Come agisce la guerra cognitiva in Ucraina? Schierandosi dalla parte dei difensori dell’Ucraina e della sua lotta contro la Russia. C’è una narrazione, tutta in inglese, che spiega come l’Ucraina sia un Paese indipendente, quindi teoricamente libero nelle sue prerogative, con una storia propria e alla ricerca di un futuro nell’Unione Europea, con tutti gli argomenti che sostengono questa legittimità.
La teorizzazione della guerra cognitiva ci spiega perché, quando Zelensky va negli Stati Uniti o a Bruxelles per incontrare il Parlamento europeo o i leader europei, è obbligato a spiegare perché l’aggressione all’Ucraina è un problema non solo per gli ucraini, ma anche per i Paesi europei e non argomenta oltre a dire che è alla guida di un Paese sotto attacco. Affinché questa spiegazione sia credibile e comprensibile, deve essere persuasiva, perché Zelensky è ovviamente alla ricerca di sostegno, non solo da parte del suo popolo, ma anche dei Paesi europei, degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e del Regno Unito. Quindi, quando parliamo di guerra cognitiva, intendiamo questi elementi del linguaggio, queste manifestazioni di consenso che si scontreranno, ovviamente, con un’altra narrazione, che è quella russa. Naturalmente, quest’ultima presenta una descrizione completamente diversa sull’origine dell’Ucraina, sul legame indistruttibile tra l’Ucraina (intesa come territorio in gran parte russo) e la Russia, ma anche altri aspetti storici che ci permettono di comprendere meglio la storia dell’Ucraina.
C’è una distinzione che vorrei tracciare tra la comunicazione classica, cioè una dichiarazione con un obiettivo diplomatico, e questa nozione di guerra cognitiva, nella quale avviene una lotta combattuta con gli elementi del linguaggio. La lotta per la legittimità di un discorso avviene al fine di occupare meglio il “terreno” nella mente dell’altro, il pensiero dei leader dei Paesi e dei popoli. In economia, la guerra cognitiva può svolgersi su un terreno totalmente pacifico: un esempio che ha impressionato molto noi della Scuola di Guerra Economica è il tema della resilienza, purtroppo sempre più attuale. La Fondazione Rockefeller del Nord America ha creato il concetto delle 100 città più resilienti del mondo e, nel creare questo concetto, ha dato vita a una sorta di competizione, presentando ovviamente questa iniziativa come utile per l’umanità. Tra queste 100 città resilienti ha scelto anche Parigi, vedremo dopo meglio cosa intendo dire. Sappiamo che l’obiettivo di questa iniziativa è rendere le città più solide, in grado di resistere a tutta una serie di problemi – siano essi climatici, come le grandi alluvioni, o di approvvigionamento, o crisi legate a questo o a quel fattore, sociale e magari geopolitico. Perché allora uso questo esempio per parlare di guerra cognitiva? Semplicemente perché la forza della Fondazione Rockefeller è quella di aver creato un concetto, con un sito web e una rete, e aver offerto il sostegno finanziario al fine di occupare il campo cognitivo, sapendo che prima della sua iniziativa non esisteva una categoria del genere o era ancora molto vaga. La parola resilienza non era associata alla parola città, soprattutto a una città delle dimensioni di Parigi o altre dello stesso tipo: si tratta dunque di un metodo che consente di occupare il campo prima di chiunque altro, creare conoscenza, diffonderla, riceverla, creare reti, creare campi di competenza e, naturalmente, inventarne la logica ed offrire le soluzioni. Tutto questo non viene presentato come sotto un determinato controllo, quello della Fondazione, ma come capacità di innovazione tout court. Tutti questi scambi tra città per migliorarne la resilienza, visti da lontano, possono apparire come parte di un meccanismo umanistico e auspicabile, in cui non ci sono lotte di potere – in effetti, un equilibrio di potere c’è, nel senso che la Fondazione Rockefeller non gestisce direttamente tutte le operazioni, ma lascia che emergano le soluzioni potenzialmente migliori – c’è però uno schema di lettura, dietro a tutto ciò, che mostra chiaramente la definizione di un vantaggio sugli altri concorrenti della partita economica, laddove si presentano soluzioni che sono molto spesso anglosassoni e che si basano su questo tipo di staffetta. Portando il ragionamento un po’ oltre, all’interno del Comune di Parigi c’era una persona incaricata di discutere con la Fondazione Rockefeller e il suo stipendio era pagato dalla Fondazione Rockefeller stessa. Questo piccolo dettaglio rappresenta un legame di dipendenza non solo aneddotico.
La guerra cognitiva, se la si analizza da vicino, sia in contesti complicati, conflittuali o militari sia pacifici, è il campo della creazione e gestione della conoscenza. Una forza, come uno Stato o un grande gruppo, può essere un attore della società civile, cercando di occuparne il terreno meglio dei suoi potenziali o reali avversari. L’arte di questa guerra cognitiva è l’occupazione del terreno attraverso la conoscenza. È il modo per essere riconosciuti come il miglior interlocutore e la più attendibile fonte di conoscenza. E così via. Ci sono molte varianti di questa espressione [guerra cognitiva]: oggi vedo che la comprensione di questa espressione è problematica, perché potrebbe essere considerata un concetto ovvio e assimilato come tale. In realtà, se prendo a esempio il mio Paese, la Francia, abbiamo ancora molte difficoltà a spiegarlo. Ci chiedono: perché dobbiamo sviluppare le cosiddette strategie di guerra cognitiva? In quale contesto dovrebbero essere applicate? Quali attori saranno coinvolti per portare a termine questa strategia? Quindi non è facile, contrariamente alle apparenze, diffondere questa categoria concettuale e soprattutto applicarla.
È essenziale avere una strategia e questa strategia deve cercare di ottenere una vittoria in relazione a un problema. Si gioca quindi su un terreno proattivo, che alcuni chiamerebbero offensivo. In Francia, tuttavia, la postura più classica non è offensiva, ma difensiva. Purtroppo, quando si è sul terreno della guerra cognitiva, evitare qualcosa che non si è visto arrivare e poi cercare di recuperare non porta da nessuna parte. Parlare dopo l’altro, cercare di scrivere dopo quello che l’altro ha scritto, formulare proposte e via dicendo saranno sempre, come si dice in francese, operazioni in ritardo, dietro a quello che già esiste. Il vantaggio è di chi formula per primo le sue proposte e crea per primo punti di riferimento cognitivi, propone le sue competenze, i suoi riferimenti, sia nei libri, sia attraverso i media digitali, siti web, blog ecc. Insomma, attraverso una vera e propria operazione di occupazione del campo attraverso la conoscenza.
L’altro elemento è la guerra dell’informazione, che ha per oggetto il contenuto, non l’aspetto cibernetico o [detto in altri termini] il contenitore. La definizione di guerra d’informazione che do, ancora semplificata, è questa: tutti i metodi informativi di natura legale o illegale utilizzati per destabilizzare un avversario. Potete già vedere che non siamo proprio sullo stesso terreno. Viene tirata in ballo la nozione di legalità e di illegalità, mentre nella guerra cognitiva siamo su un piano di parità. Quindi ci troviamo all’interno dell’arte della retorica e l’obiettivo è lo stesso. Io ho delle idee, dei ragionamenti che sono sempre, come si suol dire, fondati, documentati, referenziati. In ogni momento siamo coinvolti nell’inganno, nella disinformazione, nell’intossicazione, nelle voci o nelle fake news, ecc. L’uso della conoscenza e la conoscenza stessa emessa devono essere identificati e qualificati nella guerra dell’informazione. Quindi cosa significa? Significa identificare le vulnerabilità dell’avversario. Un esempio che credo tutti ricordino è l’azienda Nike, che aveva un ottimo fatturato e vendeva perfettamente i suoi prodotti in tutto il mondo. Un giorno si verificò una grave crisi di informazione perché alcune persone scoprirono che questa enorme multinazionale utilizzava il lavoro minorile. E questo, ovviamente, ha danneggiato molto la sua immagine, che è stata fortemente destabilizzata. L’azienda ha dovuto trovare gli argomenti, che non è facile, e ha dovuto prendere tutte le misure per evitare di perdere mercati e di essere vittima di questo tipo di controversie.
Qui eravamo su un terreno legale, ma possiamo anche trovarci in una guerra diversa, più simile a quella propriamente d’informazione. Se ancora una volta un avversario attacca un altro, cioè l’avversario di qualcuno, possiamo trovarci su un terreno completamente illegale. Lì, in effetti, possiamo vedere la comparsa della disinformazione, dell’intossicazione, delle voci e delle fake news. Uso questa espressione [fake news, n.d.t.] perché è di moda e, purtroppo, se ne parla troppo spesso senza analizzare in dettaglio i diversi elementi. Resta il fatto che, nella guerra d’informazione condotta in modo illegale, chi attacca non vuole rispettare la legge, mentirà, manipolerà e farà in modo che il pubblico a cui si rivolge creda al suo messaggio, anche se è falso. Si tratta, insomma, di un ambito completamente diverso. Il problema rimane ancora una volta, nel caso francese, che in Francia affrontiamo la questione da un punto di vista difensivo. In questo ambito, una postura difensiva – penso a un’azienda che viene attaccata perché ha un difetto e cerca di spiegare perché non è del tutto colpevole o perché si dovrebbe trattare di un errore a cui porrà rimedio – porta a giustificarsi e la giustificazione, purtroppo, è spesso una risposta molto debole. Non funziona perché di solito chi si giustifica ha delle difficoltà.
Allora, perché ho posto questa distinzione [fra guerra cognitiva e guerra d’informazione]? Perché le logiche di accerchiamento cognitivo possono comparire nella guerra cognitiva, ma anche nella guerra dell’informazione. Ancora oggi fatichiamo a far capire l’esistenza di queste due forme di guerra e la loro importanza. Torno ancora una volta al mio Paese, la Francia. Nel mondo militare francese uno dei problemi più difficili da risolvere oggi è che il middle management interno non crede né nella guerra cognitiva, né nella guerra dell’informazione. Ciò che li interessa e che è importante per loro è la guerra così come esiste, la guerra letale con carri armati, aerei, fanteria, scontri tra diversi tipi di truppe militari, terrestri, aeree, marittime. Per loro è lì che tutto finisce e, non appena si affronta la questione di un’altra forma di guerra, sia dal punto di vista cognitivo, sia dal punto di vista informativo, per la stragrande maggioranza degli ufficiali in Francia non sembra convincente, utile, credibile. In breve, non dice loro nulla. Sottolineo questo aspetto perché si tratta di un problema tutt’altro che trascurabile, soprattutto se si tiene conto di quanto sta accadendo in Ucraina e nei dintorni.
Quando si lavora sul concetto di guerra ibrida o sul concetto di guerra globale – quando si verifica non solo la cosiddetta guerra militare letale, ma anche i confronti diplomatici, economici, culturali, sociali e potenzialmente anche religiosi – ci si rende conto che è ingenuo concludere che l’unica cosa che conta è il confronto militare. Alla fine della Seconda guerra mondiale, il Regno Unito è uscito vincitore di una guerra militare contro i Paesi dell’Asse ma, in realtà, il suo potere si è molto indebolito. Non è più stato una grande potenza. È un impero coloniale che sta perdendo le sue colonie, molto indebolito dal punto di vista economico. Ci vorranno molti anni per cercare di risalire qualche gradino, senza pensare di riconquistare il livello di potere che aveva prima del 1940. Perché cito questo esempio? Semplicemente per ricordare ai militari che non è vincendo una battaglia che il Paese a cui apparteniamo uscirà vittorioso. Il Paese a cui apparteniamo deve uscire vittorioso da una guerra globale [economica]. Ancora oggi, nel 2023, abbiamo la massima difficoltà a spiegare ai quadri intermedi dell’esercito francese che dobbiamo guardare ai problemi da una prospettiva globale e che dobbiamo tenere conto delle esigenze della popolazione. Non ruota più tutto intorno alla letalità.
Vengo quindi all’accerchiamento cognitivo. Si tratta di un processo informativo volto a indebolire, sottomettere o assoggettare un avversario a un dominio di tipo cognitivo. Siamo in presenza di tre cornici d’azione: indebolire, soggiogare e rendere dipendente o sottomettere, che va oltre la dipendenza. Quando siamo totalmente sottomessi non abbiamo nemmeno il diritto di parlare. Vorrei sottolineare che la guerra in Ucraina si colloca in una logica di guerra economica sistemica. Perché sistemica? Lo dico in riferimento, ancora una volta, alle conseguenze delle misure di ritorsione adottate contro la Russia dopo lo scoppio della guerra e alla risposta della Russia sul fronte economico. Possiamo vedere molto chiaramente che se colpiamo il gas russo, colpiremo altri parametri che non sono solo energetici e che influiranno molto rapidamente sui sistemi economici e persino sul funzionamento delle economie dei nostri Paesi. Da diversi punti di vista, siamo davvero in un caso sistemico.
Torniamo alla nozione di accerchiamento cognitivo. Perché l’accerchiamento cognitivo è così importante oggi? Si potrebbe dire che questa è un po’ una conquista del XX secolo. Nel corso del XX secolo, i Paesi che sono stati coinvolti nelle due guerre mondiali, ma anche quelli che sono stati coinvolti in conflitti di media o bassa intensità, sono giunti alla conclusione che la guerra militare convenzionale è molto costosa e generalmente indebolisce l’economia dei Paese coinvolti. Alla fine, anche se si può sperare di vincere un conflitto militare convenzionale, non è certa la vittoria negli altri settori. Questo ha portato al graduale emergere, dopo il crollo del Muro di Berlino, e quindi la scomparsa dell’Unione Sovietica, di un mondo che si pensava fosse avviato verso un altissimo grado di pacificazione.
Ricordate la regola numero uno: nascondere il più possibile la volontà. Questo è quello che definirei un atteggiamento aggressivo. In particolare, alla Scuola di Guerra Economica abbiamo studiato a lungo e stiamo tuttora studiando un atteggiamento aggressivo su un tema: l’aumento del potere attraverso l’economia. Ci siamo infatti resi conto che non è nell’interesse di un Paese che vuole conquistare attraverso l’economia, ovverosia sottomettere e rendere dipendente, apparire come un conquistatore. Questo per non essere individuato, redarguito e accusato di essere un aggressore, appunto. Un aggressore militare come lo è oggi la Russia nei confronti dell’Ucraina. Ma [nella realtà dei fatti] un Paese che cerca a tutti i costi di avvantaggiarsi sugli altri e di renderli in qualche modo dipendenti da lui è un aggressore.
Ci sono due principi che emergono da queste logiche di accerchiamento cognitivo: il primo è la dissimulazione dell’intenzione di attaccare e, naturalmente, il secondo è quello di non essere mai visti come aggressori. Cosa potrebbe dunque essere un movimento di accerchiamento cognitivo? Mi sono occupato personalmente, nel campo dell’informatica e della scienza, ad esempio, di questo argomento e di tutto ciò che è scaturito, a partire dagli anni Sessanta, dalla nascita di Internet, dall’economia digitale e dalla tecnologia dell’informazione. I dati [hanno provocato] l’intera mutazione del mondo di oggi. Il mondo materiale è diventato il vecchio mondo, e il mondo immateriale [è diventato] il nuovo.
Avrete notato che le grandi aziende della Silicon Valley sono nate da questo. Nessuna di loro ha un volto aggressivo – sia che si tratti di Microsoft, sia che si tratti di Apple o aziende come Facebook. L’immagine che vogliono dare di sé è prima di tutto un’immagine di beneficio per l’umanità, non di conquista dei mercati per trovarsi in una situazione di quasi monopolio. “Voi dovete dipendere da me” questo è tutto. Non è marketing, semplicemente, non è libertà di impresa, non è comunicazione aziendale, ma è un approccio di conquista non banale, che mira a rendere le persone dipendenti per un periodo molto lungo. All’inizio erano solo i clienti [privati], ma stanno diventando sempre più paesi e popolazioni. Questo lo vediamo molto chiaramente. Poco fa ho parlato con il rappresentante di una grande azienda del settore dei container; i piani aziendali di questa impresa prevedevano di avere clienti che sarebbero dipesi dalle sue forniture, dal know-how e dalla tecnologia a sua disposizione per diversi decenni. L’eccellenza competitiva consiste nel mantenere questa dipendenza.
L’occultamento dell’attacco è quindi un elemento fondamentale della nozione di accerchiamento cognitivo. Essa comporta diverse [altre] “regole”, se così posso chiamarle. Ne ho selezionate alcune. Evitare qualsiasi assimilazione a un apparato nazionale per non essere demonizzati. Quando parliamo di Silicon Valley, per esempio, non parliamo degli Stati Uniti d’America. La Cina sta cercando di costruire una nuova legittimità come attore positivo, sviluppando sul proprio territorio l’equivalente dei GAFAM, cioè questi grandi gruppi che producono tecnologie informatiche con le loro applicazioni. I gruppi cinesi hanno anche cercato di far dimenticare cos’è la Cina e come dipendono dal potere politico di Pechino. C’è quindi un tentativo di farsi dimenticare, di banalizzarsi agli occhi dell’opinione pubblica e di apparire solo come un attore del mercato, nulla di più.
C’è poi il desiderio di costruire una nuova legittimità, che io chiamo legittimità dell’azione. Riportate alla mente quello che ho detto. La Cina è come se dicesse: facciamo parte di una umanità che, tra qualche decennio, non saprà più come nutrirsi. Inventeremo quindi l’agricoltura cellulare e potremo, grazie all’alleanza tra informatica da un lato e settore agroalimentare dall’altro, salvare l’umanità per nutrirla. Questo è ciò che significa cercare di costruire un attore positivo utilizzando nuove legittimità dominanti. In Francia, quando chiediamo alle aziende cosa intendono fare per compensare questa distanza di innovazione con le imprese sulla costa occidentale americana, molte dicono che è troppo tardi, che non possiamo farlo, dimenticando che i cinesi, che erano indietro di non so quanti decenni, hanno recuperato in un periodo di tempo molto breve per raggiungere lo stesso livello e ora cercano di superarlo.
Il quarto punto di questa nozione di occultamento dell’attacco è l’individuazione di possibili punti di appoggio nelle società civili. Avrete notato che i giochi che usano oggi, fin troppo spesso, i bambini, sono su tablet e così via. Questo non è trascurabile e non è del tutto neutro negli scenari proposti, a giudicare dal modo in cui i giochi sono progettati. È chiaro che l’accerchiamento cognitivo oggi è rivolto [in primo luogo] ai consumatori, ma non si limita semplicemente a vendere il prodotto più economico, il più veloce, il più utile. Ci sono cose un po’ più complicate dietro. È qui che purtroppo si cade nella logica dell’accerchiamento cognitivo, con le relative conseguenze. Facciamo un esempio. È chiaro che nell’industria della salute le tecnologie informatiche hanno giocato un ruolo molto, molto importante, ma dietro l’uso, ad esempio, dell’intelligenza artificiale per formulare diagnosi con una velocità che il cervello umano non potrebbe eguagliare, c’è anche un intero sistema che rivoluziona completamente le strutture sanitarie pubbliche di questo o di quel Paese. Dietro a tutto questo ci sono logiche di mercato; fra queste va ricordato, come voi sapete bene, che i dati personali di un individuo hanno un valore e che c’è un’intera economia che li rende disponibili. Hanno valore di mercato e c’è concorrenza per acquisire questi dati, ma parallelamente avviene, oltre a questo, lo sfruttamento dei dati. Non si tratta solo di vendere farmaci.
Infine, il quinto punto, consiste nell’identificare i profili che possono essere attivati nel contesto del XXI secolo. Ci sono state espressioni come la paura dei “comunisti” che cercavano di manipolare gli utili idioti a proprio vantaggio, poiché è un’espressione associata al mondo politico di una certa epoca, ma ci sono stati tentativi anche dalla parte opposta, con lo stesso risultato. Oggi siamo ancora alla ricerca di profili che possano essere attivati; lo abbiamo visto chiaramente in Francia quando sono arrivate persone a parlarci di transumanesimo, di vita eterna grazie alla mutazione dell’uomo, e così via. Abbiamo percepito che non si trattava semplicemente di vendere computer per migliorare il funzionamento dell’uomo.
Volendo focalizzare la questione dell’accerchiamento cognitivo su questi principi fondamentali – considerando che si tratta di un metodo d’azione applicabile sia alla guerra cognitiva che a quella dell’informazione – non bisogna innanzitutto mai combattere sul terreno dove l’avversario ci aspetta. Chiaramente, in campo cognitivo. Che cosa significa? Significa che, per fare un esempio, se dobbiamo sfamare l’umanità e c’è in mezzo un prodotto da vendere per ottenere questo o quel risultato, ciò non corrisponde più a una realtà agricola, ma a un prodotto artificiale, ovvero una realtà agricola che è anche un prodotto artificiale. Dovrò pertanto costruire un’argomentazione affinché le persone non siano confuse dal cambiamento dei modelli di consumo. È molto diverso mangiare un piatto succulento italiano – in Italia avete una cucina molto ricca – rispetto ai sostituti artificiali di questo tipo di cucina. Capite che occorre cambiare i meccanismi nella testa delle persone, in modo che accettino di rinunciare a un piacere culinario per mangiare in modo diverso. Mostrare i principi umanistici, come gli aiuti allo sviluppo, sta diventando, purtroppo, un asse molto importante. È una panacea, soprattutto nelle economie emergenti e in quelli che, a discapito di alcuni, sono ancora Paesi sottosviluppati. Le persone più intelligenti che arrivano in quei Paesi, è ovvio, non vogliono apparire come degli aggressori, ma con l’intenzione di proporre il loro know-how, come se dicessero: “noi aiutiamo; non vendiamo, aiutiamo”. Si capisce immediatamente che è del tutto diverso nella percezione. Occupare una posizione di supremazia nel campo della conoscenza è il loro vero obiettivo. Per farlo bisogna farsi sentire, essere la voce o la scrittura più presente o averle entrambe dalla propria parte. Se non c’è una strategia per occupare il campo, non funziona.
Si noti che quando la Russia ha iniziato a dotarsi di strutture come Russia Today o come Sputnik, o altri vettori di informazione mediatica, la sfida per loro non era diventare all’altezza della vecchia Pravda Pravda, ma apparire come un nuovo media, piuttosto scollegato dal vecchio politburo che dettava la linea editoriale della Pravda o dell’agenzia TASS. Si trattava di porsi in una postura completamente moderna. È sconcertante come immaginavamo l’Unione Sovietica rispetto a quando è diventata Russia. Possiamo dire che questo sistema ha avuto successo da quando è esistito, perché si sa che ora non possiamo più avere accesso alle idee. In Francia in particolare [chi vuole ottenere un accerchiamento cognitivo] ha iniziato a occupare posizioni di supremazia non indifferenti in una serie di dibattiti televisivi, in modo da non riportare informazioni che il sistema nazionale non voleva necessariamente mostrare. Per vedere in diretta le manifestazioni dei Gilets Jaunes, bisognava andare su Russia Today. Anche i canali di informazione 24 ore su 24 in Francia mostravano solo piccoli estratti e molto filtrati.
Infine, ultimo punto, la deviazione del significato del dissenso che può indebolire l’accerchiamento. Riprendendo l’esempio precedente, è chiaro che oggi c’è un attacco su larga scala alla Russia come Paese aggressore. Ma, alla fine, chi vincerà questa guerra dal punto di vista economico? La risposta, ricavata dai russi, è questa: gli Stati Uniti. Mentre l’Europa si indebolisce, loro si rafforzano. L’Europa, in un certo senso, sarà la grande perdente, oltre all’Ucraina, di questa guerra, a causa dei costi che sta sostenendo militarmente e la distruzione che ne deriva. Questo è un punto molto importante, perché è da notare che, nella prima parte del conflitto, la Russia ha fatto molta fatica a far dimenticare che era un Paese aggressivo. Tutti potevano vedere che era stato l’esercito russo a entrare in territorio ucraino – lo stesso è avvenuto in modo molto più ambiguo all’epoca della guerra in Georgia, dove non era sicuro che fossero stati i russi ad attaccare per primi all’inizio, come invece nel caso odierno. Noto che da parte degli Stati Uniti e del Regno Unito non c’è stata alcuna contro-propaganda [ai tentativi della Russia di riappacificarsi con l’Europa]. C’è stato invece una sorta di silenzio radio, che a mio avviso è un punto debole molto grande del sistema che risponde ai politici-militari ucraini e ai Paesi alleati che sostengono l’Ucraina. Perché? Perché quando si tace su un attacco del genere [cioè un attacco cognitivo, la risposta della propaganda russa alla propaganda occidentale. N.d.T.] non è mai segno di forza. Vedo l’opinione pubblica in Francia in questo momento e il danno che potrebbe fare se fosse conosciuta. Una parte della classe media sta iniziando a pensare: “perché siamo coinvolti in questa guerra in Ucraina?” “Ne usciremo perdenti quando non abbiamo nemmeno combattuto” “non è una guerra” e via dicendo. E comunque, si noti bene, questo è un altro problema, che viene dopo la fase conoscitiva nella quale siamo ancora fermi. In Francia non è uscito nessun sondaggio sull’argomento e non conosco in merito la situazione degli altri Stati. Credo che in tutti i Paesi d’Europa nessuno abbia fatto un sondaggio per scoprire se il proprio popolo è pronto a combattere per l’Ucraina. Temo che il risultato dei sondaggi non sia molto favorevole né molto positivo a questa domanda. La risposta al perché non facciamo sondaggi di questo tipo sarebbe problematica, anche perché passiamo il nostro tempo a fare sondaggi su ogni questione immaginabile. È, lo ripeto, una debolezza molto grande.
Tutto questo per dire che le logiche dell’accerchiamento cognitivo sono interessanti da sottoporre ad analisi; bisogna sempre individuare dove sono i rovesci di ogni situazione e chi si avvantaggia sull’altro. Nella prima parte della guerra in Ucraina, il vantaggio [cognitivo] era dalla parte occidentale e ucraina. La Russia era il Paese aggressore. Nella seconda parte della guerra, la Russia è rimasta il Paese aggressore, ma stanno emergendo due importanti elementi che iniziano a minare l’opinione pubblica, in particolare in Francia. Come ho già detto, in primo luogo non si uscirà da vincitori sul piano economico e, in secondo luogo, soprattutto, sappiamo che l’Ucraina non sarà in grado di sconfiggere la Russia. È difficile che l’esercito ucraino possa entrare in territorio russo e raggiungere Mosca. Quindi il problema è che, se in guerra un Paese non può sconfiggere l’altro, cosa succede? Come gestiamo questa guerra? È una questione che gradualmente sta iniziando a minare profondamente la legittimità del discorso dell’Ucraina sulla guerra. Non dobbiamo perdere di vista questo dato, perché la storia ci ha insegnato che lungo tutto l’arco di una guerra l’opinione pubblica si evolve in base agli effetti, che non sono solo le conseguenze militari o legate alla sconfitta. Ci possono essere dei rovesciamenti. Non dimentichiamo che durante la prima guerra mondiale e fino al Piano Barbarossa del 1941, L’URSS era un alleato della Germania. Dal momento in cui la Germania ha attaccato l’Unione Sovietica, quest’ultima è diventata un alleato delle democrazie che lottavano contro la Germania nazista. Quindi si è verificata una totale inversione della percezione pubblica. Sapete bene come si è concluso questo capovolgimento.
Quindi, tipicamente nella guerra cognitiva dobbiamo tenere conto della nozione di cambio degli schieramenti, su cui [alla Scuola di guerra economica] si lavora molto. Insisto su questo punto relativo al terreno economico dei tempi in cui viviamo. Se volessi, ad esempio, far sì che l’Europa si concentri sul veicolo elettrico farei tutto perché la gente creda che il veicolo elettrico sia la soluzione per il futuro. All’inizio ha funzionato molto bene. Oggi siamo in una seconda fase; stiamo cominciando a ricevere informazioni che minano completamente la risoluzione del Parlamento Europeo sull’abbandono dei vecchi motori a benzina e diesel. Perché? Perché la durata della batteria non è sufficiente, di anno in anno perde potenza. Oggi la ricarica, con il prezzo attuale dell’elettricità, è molto più costosa di quando il motore elettrico è stato proposto come soluzione miracolosa per risolvere i problemi. Stiamo scoprendo l’inquinamento non trascurabile del processo di produzione, in particolare delle batterie e i rischi legati all’ambiente, ecc. Vediamo che l’accerchiamento cognitivo, se così si può chiamare, dell’adattamento completamente elettrico del trasporto stradale è molto meno ovvio di quanto si potesse pensare ai tempi della decisione del Parlamento Europeo. Sarei molto curioso di sapere come saranno le cose tra qualche anno, perché penso che i veicoli completamente elettrici siano un’utopia totale e non abbiano senso, in relazione a tutti i problemi posti da questa questione e che emergono uno dopo l’altro.
Qui assisteremo agli scontri di legittimità. Vale a dire: la soluzione elettrica è quella che sembra aver ottenuto la massima legittimazione, tanto da non poter essere più contestata o messa in discussione. Stiamo iniziando a capire che sta diventando contestata e contestabile. Alla fine, nel campo dei dibattiti sociali, è la stessa cosa. Se in Francia facessimo degli studi sul comportamento delle persone, visto quello che sta succedendo, visti i rischi che a volte comporta l’accesso all’elettricità, non parlo nemmeno delle stazioni di ricarica, capiremmo che su tutto il territorio nazionale siamo completamente sotto-equipaggiati. Se il parco auto francese diventasse totalmente elettrico, non potrebbe funzionare. Vi lascio immaginare l’atteggiamento delle persone che non sarebbero più in grado di spostarsi. L’idea del cambio degli schieramenti [lett. cambiare la scacchiera] è molto importante, anche quando crediamo che la guerra sia vinta. Il Parlamento europeo pensa di aver vinto la guerra sul veicolo elettrico, ma credo stia alimentando dolorose illusioni. Penso che si sbagli completamente, così come la Commissione di Bruxelles. Vedremo le inversioni di tendenza attraverso le dimostrazioni e attraverso l’assurdità delle questioni.
Torno su un aspetto non trascurabile, che è quello dei principi umanitari, e concludo su questo tema. È chiaro che oggi abbiamo delle sfide. La prima è come adattarsi alle nuove tecnologie e ai nuovi vincoli. I nuovi vincoli, dopo la crisi e la guerra in Ucraina, sono scoprire improvvisamente che chi ha esigenze vitali, come cibo, acqua, luce, trasporti, riscaldamento e così via, non trova regole sufficientemente solide e coerenti nel mercato, tali da soddisfare tali bisogni vitali. Negli ultimi due o tre anni abbiamo scoperto che l’economia di mercato da sola non risolve tutti i problemi. In Francia questo crea in primo luogo scontri cognitivi e, forse, in secondo luogo, guerre di informazione. Vi lascio immaginare cosa passa per la testa di chi va in farmacia su base regolare, cerca un farmaco e, ora che ci sono carenze nella fornitura di farmaci, deve recarsi in cinque, sei, sette luoghi diversi per trovarlo. Il ragionamento che passa, anche nella testa degli elettori, è che non possiamo continuare così. Se il politico di fronte dice: “è così, ma non posso fare nulla; è il mercato, c’è la delocalizzazione, è più conveniente comprare altrove e produrre altrove” dopo un po’ la popolazione non seguirà più il politico. Sappiamo bene che ci troviamo in situazioni di fragilità e i famosi principi umanitari, che consistono nel dire che siamo in una globalizzazione felice, che contribuiamo al benessere dell’umanità, che il mercato, nel suo modo di internazionalizzarsi, sta gradualmente eliminando tutti i vecchi problemi, vengono messi in discussione dalle conseguenze della pandemia e da tutte le manifestazioni che sono state fatte, nonché dalla guerra in Ucraina. Sarà molto più complicato di quanto immaginiamo formattare le menti delle persone.
Ci stiamo dirigendo verso una formattazione delle menti sempre più invasiva. Guardate cosa sta succedendo in Cina, in Iran, entrambi paesi in qualche modo totalitari: per la Cina è evidente, per l’Iran è altrettanto evidente nonostante la sua ostentazione di funzionamento democratico. Guardate le crepe che appaiono in quei Paesi non appena la situazione diventa insostenibile. Se a questo aggiungo la messa in discussione dei vecchi valori, l’educazione e tutto ciò che è un riferimento culturale, se aggiungo poi la ridefinizione del quadro di vita legato a ciò che viene definito postmoderno, è chiaro che di fronte a queste domande, che sono state presentate come la grande verità del XXI secolo, oggi possiamo sentire che questa grande verità sta diventando molto meno evidente, molto meno dimostrativa di quanto pensavamo fosse solo cinque o sei anni fa. Questo è un aspetto che mette ancora più in evidenza gli scontri cognitivi presenti e futuri e anche le guerre dell’informazione. Sta iniziando a svilupparsi [la guerra d’informazione] in modo quasi sistematico in molti settori e, prima o poi, diventerà un problema di grande portata. Questo ci riporta al punto che stavo discutendo qualche minuto fa: è necessario capire come si conduce una guerra cognitiva e come si conduce una guerra dell’informazione. Non possiamo continuare a pensare che queste due espressioni siano invenzioni intellettuali, senza una realtà rilevante, e che alla fine i vecchi parametri tradizionali continuino a funzionare senza problemi. Si aggiunge a questo un grande strato di tecnologia informatica.
Per concludere, volevo semplicemente specificare che mi sembra molto importante oggi lavorare su queste questioni, che sono ancora embrionali, troppo embrionali. Ci stiamo scontrando con sistemi di pensiero, progressisti, conservatori, che non tengono conto di ciò che accade altrove. È un paradosso che in alcuni regimi totalitari si diventi più creativi in termini di guerra cognitiva e di guerra dell’informazione rispetto ai Paesi democratici, dove teoricamente la conoscenza e l’informazione sono più sviluppate e accessibili. Anche questo paradosso dovrà essere studiato attentamente. Quando vedo i russi basare la guerra dell’informazione sull’umorismo attraverso fumetti, cartoni animati e video, mentre noi in Francia non sappiamo come fare, non sappiamo come farlo, mi appare ancora una sfida importante. È assolutamente necessario studiarla con pazienza, calma, lucidità, per trovare delle risposte. Spero che questo discorso sia un utile punto di riferimento per voi.
Estratto dell’intervento di Christian Harbulot Economista e politologo francese, direttore e fondatore de l’Ecole de Guerre Èconomique, al seminario Iassp del Master in Intelligence Economica del 10 febbraio 2023
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