26
Jan
A dispetto della disaffezione provocata dalle vicende più recenti, tralasciando le esplicite talvolta provocatorie esclusioni dalla sfera dello “spettacolo”, la cultura russa continua a fascinare l’Occidente. Vorrei esprimere un tentativo – un tentativo da psicologia un po’ commercializzata, se mi si passa il termine – per comprendere la nostra curiosità per questo Paese, che è europeo ed orientale al tempo stesso. La Russia rappresenta forse per noi che la guardiamo dall’esterno qualcosa di molto importante e al tempo stesso ostinatamente rimosso. Della cultura russa ci si innamora ancora, forse in virtù dei ritmi che spesso vengono accompagnati dall’aggettivo “grandiosi” e sono caratterizzati da un passo lento che ci impressiona, perché è una costante delle culture approfondite e grandi.
Questo effetto vale in particolare per la comunità occidentale, che è stata sottoposta per tutto il secolo precedente a processi di accelerazione e di compressione del tempo, evidenti per esempio nell’ossessione per il perfezionamento dei mezzi di comunicazione. Un progresso tecnico che ci ha portato indubbi vantaggi, ma anche scompensi nell’ambito della fretta e della superficialità, di cui siamo tutti vittime.
La cultura russa è come una medicina per tutto l’Occidente: un paradigma anti-isterico e anti-maniacale. Basta ascoltare una conversazione, aprire la televisione o consultare i social per rendersi conto del disagio che proviamo quando pensiamo al tempo. Il tempo che passa, che deve essere impiegato, che non può andare perduto. In breve, interiorizziamo un rifiuto del “soffermarsi” e del prendere agio.
Chiaramente la Russia è essa stessa un Paese europeo e occidentale, ma i russi sono acclimatati a un’arte e a una letteratura d’altri tempi. Pensiamo all’unico capolavoro internazionale del nostro Risorgimento, I Promessi Sposi di Manzoni: è qualcosa di simile ai grandi – nel senso qualitativo e distensivo – romanzi di Tolstoj e Dostoevskij. Libri lunghissimi, scritti nell’arco di decenni, che continuamente cambiano scenari. Quando finiamo di guardare una pièce teatrale di Cechov, poniamo caso Il giardino dei ciliegi, o veniamo svegliati da qualcuno, perché probabilmente addormentati, oppure ne usciamo estasiati nel rivederlo magari per la quinta volta. Restiamo avvolti dall’atmosfera, da una certa intensità che si sprigiona dietro a questo “non accadere niente”. Tra le persone che leggeranno questo articolo ci saranno forse degli appassionati di cinema, quello non da Blockbuster. Saranno magari conoscitori di Tarkovsky o di Sokurov: registi di film interminabili, dove talvolta non succede nulla. Ricordo un film di Sokurov sulla guerra in Cecenia, chiamato Alexandra; è la storia di una nonna che viaggia in Cecenia per incontrare suo nipote in guerra. Si percepisce la presenza della guerra sullo sfondo, ma in uno stato embrionale, solamente incipiente. Si ascoltano i dialoghi dei protagonisti, si osservano le espressioni, alleggia una tensione palpabile, ma poi niente accade.
Menzioniamo poi un altro tassello del mosaico. Il più grande pensatore tedesco della Prima guerra mondiale, Max Weber, ha parlato di Entzauberung der Welt (disincanto del mondo) attraverso il quale sono passate le Nazioni europee nel corso del Novecento. Noi viviamo nel disincanto del mondo; per noi la morte non ha più senso e protestiamo continuamente contro di essa. I film di Sokurov – lo dico tra le righe – trattano direttamente la morte in molte scene: l’ultimo colloquio del figlio con la madre, le parole di un figlio al padre morente, e via dicendo. La Russia è l’unico Paese moderno che ha dominato l’equilibrio mondiale a lungo e che non è passato attraverso il disincanto del mondo, così come non è passato attraverso certi atteggiamenti dell’illuminismo precedente. In realtà presso il fiore degli intellettuali qualcosa ha attecchito, ma non nella cultura di massa. Vivono ancora in una dimensione escatologica, chiliastica, che traspare nella maggioranza dei discorsi di Putin attraverso qualche affermazione sorprendente, che magari deforma completamente la storia, come quando si afferma che non esiste una Ucraina – mentre sappiamo che Kiev è stata fondata prima di Mosca. I suoi riferimenti toccano l’anima del popolo perché sfiorano questa dimensione ancora immersa con i piedi nelle missioni millenaristiche.
Insomma, la Russia parla ancora, con un fascino misto a orrore, alla nostra mente archetipica, sensibile a tutti i tempi e a ogni tipo di società.
Luigi Zoja, Saggista, Psicoanalista e Sociologo
Sintesi dell’intervento della lezione del 18 novembre 2022 al Master in Intelligence economica IASSP
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03Oct
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