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Lo scopo di questo intervento è piuttosto semplice: mettere in evidenza il nesso tra cybersecurity e geopolitica. La scansione attenta dei due fenomeni palesa, oltre che flagranti congiunture, alcune delle implicazioni antropologiche che stanno dietro l’utilizzo di strumenti complessi. Una parte della nostra riflessione raccoglie la conclusione che, su un piano molto più astratto, traeva Platone osservando la realtà di qualche migliaio di anni fa: le guerre si fanno per i soldi. La dimensione di strumento che hanno le tecnologie che utilizzano la connessione con il mondo virtuale non possono prescindere dall’oggetto primo del contendere, che è la logica dei rapporti di forza tra le nazioni.
La spesa militare nel mondo è rappresentata per circa il 50% dagli Stati Uniti. Questo dato è rimasto a ora immutato e si è anzi consolidato negli ultimi anni, con l’Europa che si attestava nei precedenti decenni a circa il 35%. Ciò consentiva alla Nato – lo strumento bellico occidentale – di avere la supremazia sul restante arco globale. Le cose sono radicalmente cambiate a seguito di alcuni fattori esogeni. Uno di questi è la decisione della Cina di presentarsi come protagonista sullo scenario globale. Che cosa vuol dire in concreto? Che oggi nel 50% restante, dopo la “fetta statunitense”, non brillano gli europei ma i cinesi. A cascata si è verificato un ridimensionamento del posizionamento russo fino al 1999, quando viene nominato Presidente del Consiglio tale Vladimir Putin.
Putin ha cercato di recuperare lo svantaggio prendendo delle scorciatoie. Una di queste è la scorciatoia della guerra ibrida, l’altra è lo sfruttamento di nuove tecnologie. Menzioniamo, per fare un esempio, i programmi di ricerca applicati ai missili ipersonici, che potranno essere dotati anche di testate nucleari e che costituiscono la parte caratterizzante sia degli stormi di Sukhoi, incaricati del trasporto dei kit ZAL, sia del lancio da base balistica di missili intercontinentali che arrivano anche a 32.000 km/h. Questo gli conferisce una caratteristica precipua, vale a dire la difficoltà a intercettarli perché non sono tracciabili con la scia termica. Inoltre, negli anni in cui gli Stati Uniti erano impegnati contro la guerra asimmetrica di carattere globale, i russi hanno potuto dotarsi di un certo tipo di microchip orientati all’advanced computing. Cosa che inevitabilmente si riflette anche sulla dotazione missilistica, consentendo alle più prestazionali tipologie di questi ordigni di cambiare continuamente traiettoria e renderne ancora più complicate l’identificazione e l’abbattimento.
Ancora oggi gli americani hanno il più grande bilancio per la difesa dell’umanità ma, se guardiamo all’incremento per la spesa nel solo settore cyber, notiamo che per gli Stati Uniti questo aumento corrisponde a circa il 66%, mentre per la Cina è stato del 300% e per la Russia addirittura del 600%. Quindi, nel momento in cui si facessero i conti con un confronto di carattere muscolare, sfruttando il canale cyber, russi e cinesi potrebbero riuscire a colmare il vantaggio competitivo. Gli americani certamente non sono stati a guardare. Quando era presidente, Donald Trump ha avuto un colloquio diretto con Putin, nel quale, informato dai propri servizi di sicurezza circa lo sviluppo dei missili ipersonici da parte russa, ha messo in guardia il proprio avversario sul fatto che, di lì a breve, quella tecnologia sarebbe stata anche a propria disposizione. Putin ha risposto lapidariamente: per adesso ce li ho io.
Un altro aspetto, forse più interessante, rimonta a luglio 2022: Biden ha varato il Chips and Science Act, un provvedimento da mercato interno che stanzia 53 miliardi di dollari affinché l’industria del semiconduttore, particolarmente quella vocata ai chip per l’advanced computing, un prodotto altamente performante, si radichi negli Stati Uniti. Questo rappresenta un guanto di sfida oggettivo sul tema della sovranità connessa al digitale e al cyber, ma gli americani hanno fatto di più. Nello stesso provvedimento è posta in gioco la fine del trasferimento tecnologico verso la Cina. Questo è l’elemento essenziale, strutturale, che evidentemente è stato visto come un vero e proprio atto d’aggressione, un atto di guerra economica verso la parte cinese. Provvedimento che peraltro si poteva presagire già dalle misure adottate sotto la presidenza Trump.
Mario Mauro, Presidente del Centro Studi Meseuro, già Ministro della Difesa e Docente IASSP.
Sintesi dell’intervento della lezione del 19 dicembre 2022 al Master in Intelligence economica IASSP
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