24
Jan
Come stiamo vivendo, noi europei, la situazione calda sul fronte russo-ucraino? Direi abbastanza male, ma per colpa nostra. Quando ci si lamenta che talune decisioni vengono prese sopra le nostre teste – e che in qualche modo siamo costretti a subirle – non dimentichiamo che la responsabilità della nostra irrilevanza deriva esattamente dalle scelte politiche prese dai nostri Paesi nel recente passato. La riluttanza a sviluppare un piano strategico comune, condiviso, che abbia una valenza quasi federale, è ciò che impedisce all’Europa di avere oggi una voce che valga la pena di essere ascoltata.
Possiamo influire, come secondo pilastro del Patto Atlantico, soltanto se ci decidiamo a fare qualche passo avanti: è nel nostro interesse, al di là delle mozioni ideali, per altro validissime. Sono un federalista convinto per motivi assolutamente kantiani, ma la realtà fattuale ci suggerisce che se non elaboriamo una coesione geopolitica, difficilmente avremo qualcosa da dire sullo sviluppo delle relazioni future. Senza questa disponibilità al confronto, non è pensabile l’affermazione di un ruolo europeo in questo grande gioco, che fino ad ora vede protagonisti soltanto Pechino e Washington – e marginalmente la Russia per la sua capacità nucleare che incute timore.
La competizione globale tra questi due giganti è solo apparentemente militare, poiché coinvolge altri aspetti quali l’economia, l’industria e la ricerca. I principi fondamentali della geostrategia sono rimasti quelli di una volta; nel mondo, purtroppo, contano i rapporti di forza. Non possiamo pensare di essere transitati in un cosmo ideale, per cui possiamo permetterci di non prendere decisioni. La Cina sta stringendo ormai da anni rapporti, quasi in termini di neocolonialismo, con una parte dell’Africa e del Sudamerica, in modo da assicurarsi le risorse indispensabili per lo sviluppo economico e garantirsi quindi una presenza competitiva sul mercato globale del presente, dell’immediato futuro e di quello a venire. Il prezzo della rassegnazione è il vedersi governati da Pechino o Washington, non godere di quella padronanza del nostro destino che altri, invece, vogliono mantenere.
Fatico, onestamente, a vedere un vero leader nello scenario europeo. Ho la sensazione che molti capi politici in Europa limitino la propria azione, la propria capacità progettuale, ad aprire i giornali al mattino per vedere che cosa dicono i sondaggi, in base ai quali decidere la linea da tenere nell’immediato. Tralasciando l’aleatorietà dei sondaggi stessi, ci si pone il dubbio se questi condottieri siano condotti, a propria volta, dai sondaggisti.
Occorre dunque sviluppare una classe politica che sappia assumere le proprie responsabilità e occorre formarla. Mi sento fiducioso, nel senso che la storia dimostra che nei momenti di necessità diventa inderogabile la comparsa di qualcuno in grado di rompere i tabù convenzionali. Vedremo se questo accadrà.
Uno dei problemi del nostro Paese è l’esiguità delle risorse che vengono dedicate alla ricerca. Per certi versi, l’Italia è fortunata, nel senso che, non avendo materia da estrarre dalle viscere della terra, deve impegnare l’inventiva stimolando atteggiamenti positivi. Noi disponiamo infatti di cervelli brillantissimi, che tuttavia, quando vogliono fare qualcosa di serio, devono emigrare fuori dai confini, poiché in casa difficilmente riescono a trovare gli spazi e i finanziamenti che sono necessari per concretizzare le loro intuizioni. Bisognerebbe avere un po’ di sana preoccupazione per questo aspetto, lungi però dalla disperazione e dell’atteggiamento sfiduciario.
Estratto dalla lezione del Generale Vincenzo Camporini, Tutor Iassp Consigliere scientifico Ist. Affari Internaz. Già Presidente e capo di Stato Maggiore Aereonautica e Difesa
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