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Dec
Volevo toccare qualche punto che merita di essere posto all’attenzione. In un’ottica limitativa della Seconda Guerra Mondiale, ci si dimentica che una parte consistente del conflitto è stata condotta nel Pacifico. Siamo europei e certamente quello che accade in Europa ci riguarda di più, ma la guerra è stata definita mondiale poiché si combatteva anche in Asia, oltre che in Africa. Gli Stati Uniti furono l’unica potenza moderna al mondo a vincere una guerra su due fronti, combattendo praticamente da soli nel Pacifico, aiutando tutti gli altri. Gli eroi che vi hanno preso parte sono ancora ricordati con fervore dalla popolazione, nei nomi delle strade e delle portaerei militari. Perché questo collegamento è di così grande interesse per la potenza americana? Perché, senza tenere un piede nelle Filippine, strappate insieme a Cuba, nell’Ottocento, al vecchio leone moribondo che era la Spagna, gli USA non avrebbero potuto sviluppare la propria potenza economica.
La mia posizione più importante è che l’Ucraina non affacci sul Mar Nero, ma affacci sul Pacifico. Quello che succede in Ucraina – terribile, doloroso, sconvolgente, minaccioso – non è così importante come quello che potrebbe succedere altrove. La Cina, dopo il famoso secolo dell’umiliazione, si è stufata di essere una potenza di secondo rango e vuole tornare al ruolo di primo rango che ha assunto per secoli. È chiaro che c’è un problema nei confronti di altri grossi Paesi: o questo problema lo si risolve, da persone intelligenti, negoziando, o si prospetta un conflitto come quello iniziato a Pearl Harbor. Non sto dicendo che la catastrofe sia imminente, ma provate a pensare cosa accadrebbe se i cinesi vendessero tutte le quote di debito americano che possiedono: si creerebbe un casus belli immediato e, semplicemente, non possono farlo.
Meno male è avvenuto un incontro fra Biden e Xi-Jinping, in cui il faccia a faccia è stato indispensabile e non c’è Wi-fi che tenga. Questo evento – dico subito che si tratta di un ragionamento non solo geopolitico ma anche economico e d’impresa – ci ha guadagnato due anni, se le cose non si mettono storte per altre vie. Si tratta solo di un guadagno di due anni, un respiro: non perché poi alle elezioni presidenziali arrivi “Trump il cattivo”, ma limpidamente perché dopo non si sa come prenderà le misure una nuova presidenza.
Vi invito a non concentrare gli sguardi su Kiev, dal momento che ci sono faccende ben più esplosive. Di frontiere contestate l’Europa è pienissima, ma se noi permettiamo che i confini si modifichino a colpi di cannone, prepariamoci a danni ancora più grandi. Non l’abbiamo permesso per la Bosnia, un contesto estremamente problematico, non vedo perché permetterlo in Ucraina. Fatti salvi i diritti di uno Stato che fa parte di accordi precisi all’interno dello spazio di sicurezza euroatlantico ed euroasiatico, abbiamo dei buoni motivi affinché questa guerra nel tempo finisca in modo adeguato e, prima di tutto, venga sospesa. Oltre ad aver aumentato le spese militari, ridotto i nostri arsenali che vanno ripianati, portato alla necessità di rinforzare la nostra deterrenza convenzionale, le dinamiche in corso hanno creato un enorme guaio per il nostro sistema produttivo, prima legato a una fonte energetica a basso costo. Penso che l’idea di derussificare totalmente le forniture energetiche sia piuttosto strana, ma l’interdipendenza non significa mancanza di diversificazione prudente, né eccessiva dipendenza. Non è una questione di gradi in albergo o in ufficio.
Il conflitto si inserisce nel contesto della transizione della globalizzazione e della creazione di monopoli rischiosi: tutti pensano al gas russo e alle terre rare cinesi, ma non è così. Esistono grossi monopoli privati nel mondo – nel settore agroalimentare, farmaceutico, chimico, delle acciaierie, informatico – e molto spesso non rispondono a nessuno. Gazprom risponde a Putin, ma le altre imprese? Qui non è un problema di compliance, ma di rapporti e pesi di potere. C’è un equilibrio non facile da trovare, ma esiste.
Estratto dalla relazione di Alessandro Politi Saggista, Direttore della Nato Defense College Foundation, già Direttore dell’Osservatorio scientifico “Nomisma”. Master in I.E. IASSP del novembre 2022
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