05
Aug
La cosiddetta visione statunitense di un Indo-Pacifico libero e aperto è essenzialmente una strategia per dividere i Paesi della zona, e incitare al confronto in-out. Esso va contro la tendenza dei tempi nell’Oceano Pacifico asiatico, ossia allo sviluppo pacifico e alla cooperazione vantaggiosa per tutti.
La strategia indo-pacifica dell’amministrazione Biden è contraddittoria: gli Stati Uniti d’America affermano di promuovere la libertà e l’apertura della regione come obiettivo, mentre in realtà cooptano con gli alleati per forgiare il sistema countdown 5-4-3-2-1: I Cinque Occhi (Five Eyes): l’alleanza di sorveglianza che comprende Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e Stati Uniti d’America. Il Meccanismo Quad (Quadrilateral Security Dialogue): il dialogo quadrilaterale di sicurezza, ovvero un’alleanza strategica informale tra Australia, Giappone, India e Stati Uniti d’America con lo scopo di contenere la Repubblica Popolare della Cina nella regione dell’Indo-Pacifico.
L’Aukus, patto di sicurezza trilaterale tra Australia, Regno Unito e Stati Uniti d’America, annunciato il 15 settembre 2021. Le alleanze bilaterali. L’Ipef (Indo-Pacific Economic Framework): piano d’investimenti e rafforzamento dei rapporti commerciali che punta ad aumentare la presenza Usa nell’area e contrastare l’influenza cinese; ma in realtà per alcuni osservatori, l’Ipef serve a smorzare le critiche degli alleati sulla natura della strategia di Washington nella regione, incentrata solo sulla presenza militare e priva di risvolti economici concreti, come invece è la politica cinese nella macroregione. L’Aukus sostiene l’Australia nella costruzione di sommergibili a propulsione nucleare e sviluppa armi ipersoniche, aumentando il rischio di una corsa agli armamenti regionale e di guerra mondiale. Con il pretesto di combattere la pesca illegale e mantenere resilienti le catene di approvvigionamento, il Quad ha perseguito vigorosamente la cooperazione militare e la condivisione dell’intelligence. Gli Stati Uniti d’America hanno anche incoraggiato il coinvolgimento della Nato nell’area Asia-Pacifico.
Questi sono tutti tentativi di concretizzare una versione Asia-Pacifico della Nato e promuovere la deterrenza integrata contro la Repubblica Popolare della Cina. La strategia indo-pacifica desta crescente allarme e preoccupazione in molti Paesi dell’area Asia-Pacifico. Come riportato dalla Bbc, nell’aprile 2021, il ministro degli Esteri neozelandese, Signora Nanaia Mahuta, ha espresso il disagio della Nuova Zelanda per l’espansione del mandato dei Cinque Occhi facendo pressioni in tal maniera sulla RP della Cina, invece la Nuova Zelanda preferisce perseguire relazioni bilaterali pacifiche con la RP della Cina. Nello scorso maggio al vertice speciale Stati Uniti d’America-Asean (Association of South-East Asian Nations), i Paesi di quest’ultima organizzazione – Brunei, Cambogia, Indonesia, Laos, Malaysia, Myanmar (Birmania), Filippine, Singapore, Tailandia, Vietnam (Papua Nuova Guinea e Timor Orientale quali osservatori) – hanno sottolineato la loro aspirazione alla pace e alla cooperazione, e non alla presa di posizione, alla divisione o allo scontro. Gli Stati Uniti d’America hanno chiarito che l’Ipef le consentirà di vincere la corsa del XXI secolo.
Ciò significa che l’ Ipef è progettato per servire solamente l’economia statunitense. La Casa Bianca ha accantonato da tempo lo sviluppo dell’area di libero scambio dell’Asia-Pacifico (Free Trade Area of the Asia-Pacific), hanno lasciato il Partenariato Transpacifico (Trans-Pacific Partnership) e si sono rifiutati di aderire all’Accordo globale e progressivo per il partenariato transpacifico (Comprehensive and Progressive Trans-Pacific Partnership). Ciò mette a nudo la natura unilaterale di Washington e il suo approccio selettivo alle istituzioni internazionali. Riguarda l’interesse personale degli Stati Uniti d’America, e niente di reciprocamente vantaggioso. L’ Ipef è uno strumento politico degli Stati Uniti d’America per sostenere la propria egemonia nell’economia regionale. L’essenza è dominare le catene di approvvigionamento e del valore e i nuovi settori economici ed emarginare Paesi specifici. Gli Stati Uniti d’America hanno scelto di rivestire le questioni economiche come politiche e ideologiche, usando l’economia per costringere i Paesi regionali a schierarsi in-out tra o per Pechino o per Washington. La rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti d’America, Katherine Tai ha dichiarato pubblicamente che l’Ipef è un accordo autonomo e indipendente dalla RP della Cina.
Il segretario al Commercio della Casa Bianca, Gina Raimondo, ha affermato che l’Ipef segna il ripristino della leadership economica degli Stati Uniti nella regione e presenta ai Paesi indo-pacifici un’alternativa all’approccio cinese. In precedenza, ha anche affermato che l’Ipef potrebbe armonizzare i controlli sulle esportazioni e altre “pillole velenose”, come limitare l’esportazione di prodotti sensibili alla RP della Cina. L’Ipef cerca di stabilire regole commerciali guidate dagli Stati Uniti d’America, ristrutturare il sistema della catena industriale e “disaccoppiare” economicamente e scientificamente i Paesi vicini dalla Cina. Molti Paesi della regione si preoccupano e ritengono che il costo di tale “disaccoppiamento” sarà enorme. L’ex primo ministro malese, Mahathir Mohamad, ha osservato che qualsiasi alleanza commerciale che escluda la seconda economia più grande del mondo non favorisce una cooperazione commerciale più stretta e multilaterale nell’Indo-Pacifico. L’esclusione della RP della Cina da parte degli Stati Uniti d’America non è una questione economica ma politica. Acclamata come cooperazione con “approccio a menu”, l’Ipef in realtà tiene poco conto del livello di sviluppo e delle reali esigenze dei Paesi della regione. Fa a malapena concessioni ai Paesi in via di sviluppo sulla riduzione delle tariffe e sull’accesso al mercato, ma costringe i partecipanti ad accettare i cosiddetti standard elevati degli Stati Uniti d’America e la loro agenda unilaterale.
L’Ipef si concentra sugli interessi diretti degli Stati Uniti d’America e si preoccupa poco delle esigenze delle altre parti. Non esiste un vantaggio reciproco nell’Ipef. Il Centro per gli studi strategici e internazionali di Washington (Center for Strategic and International Studies) ha sottolineato nel suo rapporto Regional Perspectives on the IndoPacific Economic Framework che l’Ipef ha poco più da offrire che ampliare la presenza economica degli Stati Uniti d’America nella regione. Non affronta le questioni dei maggiori interessi dei Paesi dell’area. È diffusa la preoccupazione che l’Ipef avvantaggerà solo gli Stati Uniti d’America, gravando al tempo stesso i Paesi regionali partecipanti con pesanti oneri.
La RP della Cina è impegnata nel percorso dello sviluppo pacifico, dei cinque principi della convivenza pacifica e si oppone alla pratica del più grande e forte verso i piccoli e i deboli. Gli Stati Uniti d’America, dipingendo la RP della Cina come una minaccia e usando la “libertà di navigazione” come pretesto per minare la sovranità, la sicurezza ei diritti e interessi marittimi della Cina, pongono serie preoccupazioni alla pace e alla sicurezza regionali. A un dipresso, le interferenze in Ucraina che hanno condotto alla guerra fra le parti, sono già un severo monito. La RP della Cina in Asia e nel mondo sostiene l’uguaglianza tra tutti i Paesi indipendentemente dalle loro dimensioni, rispetta la scelta di ogni Stato del percorso di sviluppo adatto alla sua condizione nazionale e non cerca alcuna sfera di influenza. La RP della Cina persegue una politica di difesa di natura difensiva e una strategia militare di difesa attiva. Nello sviluppo delle sue capacità di difesa, la Cina mira a salvaguardare la sua sovranità, sicurezza e interessi di sviluppo e non prende di mira nessun altro Paese.
La crescita delle capacità di difesa della Cina amplifica la forza per la pace nel mondo, in modo che non ci sia un Paese a dettare le proprie condizioni alla comunità internazionale. Per cui è assolutamente ridicolo e provocatorio – come purtroppo avviene di leggere su certa stampa embedded – affermare che la RP della Cina ha l’ambizione di creare una sfera di influenza nella regione del Pacifico, specialmente in una zona d’acqua definita Mar Cinese Meridionale e Mar Cinese Orientale. E che alcuni Paesi soliti e occidentali continueranno a opporsi alle attività “illegali” di Pechino in questi due mani; e questi Paesi sosterranno gli altri Stati della regione nel difendere i loro (ossia delle flotte da guerra straniere occidentali) diritti marittimi, e cercheranno alleati e amici per difendere la libertà di navigazione e sorvolo di flotte e aviazioni straniere che si vorrebbe continuassero a volare e navigare a loro piacere, anche contro il diritto internazionale. Vediamo meglio. La RP della Cina è la prima ad aver scoperto, nominato, esplorato e sfruttato le isole Nanhai le relative acque, e la prima ad aver esercitato sovranità e giurisdizione su di esse in modo continuo, pacifico ed efficace. La sovranità della Cina sulle isole Nanhai e i suoi diritti e interessi nel Mar Cinese Meridionale sono stati stabiliti nel lungo corso della storia. Sono saldamente radicati nella storia e nel diritto e sono stati sostenuti dai successivi governi cinesi e riconosciuti dalla comunità internazionale. Conformemente alla Dichiarazione del Cairo del 1943 e alla Proclamazione di Potsdam del 1945, la Cina ha recuperato territori occupati illegalmente dal Giappone, tra cui le isola Paracelso (Xisha Qundao) e le isole Spratly (Nansha Qundao) dopo la II Guerra mondiale, e da allora ha affermato la sovranità e rafforzato la giurisdizione stabilendo nomi ufficiali, pubblicando mappe, creando unità amministrative e stazionando truppe.
La ripresa dell’esercizio della sovranità da parte della Cina sulle isole Nanhai è un atto legittimo e legittimo per ereditare i diritti della Cina stabiliti nel corso della storia. Fa anche parte dell’ordine internazionale del secondo dopoguerra ed è stato riconosciuto da Paesi di tutto il mondo, compresi gli Stati Uniti d’America. E grazie agli sforzi congiunti della RP della Cina e dei Paesi dell’Asean, la situazione generale nel Mar Cinese Meridionale rimane stabile. Con la piena ed effettiva attuazione della Dichiarazione sulla condotta delle parti nel Mar Cinese Meridionale (Declaration on the Conduct of Parties in the South China Sea, DOC), firmata dalla Cina e dai membri dell’Asean all’VIII Summit di Phnom Penh il 4 novembre 2002, si riafferma la libertà di navigazione e di sorvolo, la risoluzione pacifica delle controversie e l’autocontrollo nello svolgimento delle attività. In merito le parti hanno intensificato il dialogo, gestito adeguatamente le divergenze, approfondito la cooperazione e rafforzato la fiducia reciproca e hanno compiuto progressi attivi nel portare avanti le consultazioni sulla Codice di condotta (Coc) nel Mar Cinese Meridionale, nel tentativo di salvaguardare congiuntamente la pace e la stabilità in quel mare e porre dinamiche positive nella sicurezza, stabilità e prosperità regionali e globali. Nonostante il Covid-19, le parti hanno tenuto riunioni in video-conferenza di alti funzionari sull’attuazione del Doc e dieci riunioni di gruppi di lavoro congiunti tramite collegamento video per anticipare le consultazioni sul testo del Coc.
Il 22 giugno scorso scorso si sono svolte in Cambogia le prime consultazioni faccia a faccia sul Coc dai tempi del Covid-19. Tali progressi positivi la dicono lunga sulla determinazione e l’impegno dei Paesi della regione a portare avanti con fermezza le consultazioni del Coc. La Cina rispetta e sostiene la libertà di navigazione e sorvolo di tutti i Paesi nel Mar Cinese Meridionale in conformità con il diritto internazionale e tutela attivamente la sicurezza e il libero passaggio attraverso le rotte marittime internazionali. In effetti, il Mar Cinese Meridionale è una delle rotte marittime più sicure e libere del mondo. Il 50% delle navi mercantili nel mondo e un terzo del commercio marittimo internazionale lo attraversano e ogni anno vi transitano oltre 100 mila navi mercantili. La libertà di navigazione e di sorvolo nel Mar Cinese Meridionale non è mai stata un problema. Le isola Diaoyu (Senkaku) e le circonvicine sono territorio intrinseco della della RP della Cina. Le missioni di pattuglia e forze dell’ordine cinesi nelle acque al largo delle Diaoyu sono misure legittime adottate dalla Cina per esercitare la propria sovranità in conformità con la legge e sono risposte necessarie alle provocazioni giapponesi in violazione della sovranità cinese. Nessun Paese dovrebbe giudicare male la forte determinazione del governo cinese di salvaguardare la sovranità e l’integrità territoriale. Allo stesso tempo, la RP della Cina rimane impegnata a gestire e risolvere adeguatamente i problemi attraverso il dialogo e la consultazione e ha compiuto grandi sforzi per mantenere la stabilità marittima.
Nel 2014 è stato raggiunto un consenso di principio in quattro punti tra RP della Cina e lo Stato del Giappone per gestire e migliorare le relazioni bilaterali; esso include una chiara comprensione della gestione della situazione che circonda le isole Diaoyu e il Mar Cinese Orientale. Agendo secondo la logica della Dottrina Monroe, gli Stati Uniti d’America usano spesso politiche di potere e atti egemonici e impositivi per minare in modo flagrante l’ordine marittimo internazionale, al fine di sostenere il loro predominio marittimo. Nei 246 anni di storia degli Stati Uniti d’America, ci solo 16 anni in cui il Paese non era in guerra con altri. Gli Stati Uniti d’America gestiscono oltre 800 basi militari in 80 Paesi e regioni. La sua spesa militare, accresciuta consecutivamente per anni e anni, rappresenta un quarto del totale mondiale ed è equivalente alla spesa militare combinata dei primi nove Paesi al mondo. Di recente, gli Stati Uniti d’America hanno proposto una richiesta di budget per la difesa nazionale di circa 813 miliardi di dollari statunitensi per l’anno fiscale 2023. Una spesa militare così massiccia rende gli Stati Uniti d’America il primo e unico sfidante. Di chi? Gli Stati Uniti d’America ignorano la storia e i fatti che circondano la questione del Mar Cinese Meridionale, alimentano deliberatamente controversie sulla sovranità territoriale e su diritti e interessi marittimi e seminano discordia tra i Paesi regionali. Minano la stabilità e alimentano la militarizzazione nel Mar Cinese Meridionale.
I dati delle organizzazioni pertinenti mostrano che il numero di attività di ricognizione ravvicinata degli Stati Uniti d’America mirate alla RP della Cina è più che raddoppiato negli ultimi dieci anni e oltre. In questo momento, una media di cinque navi militari statunitensi naviga ogni giorno vicino alla costa cinese. Nel 2022, le navi militari statunitensi hanno navigato attraverso lo Stretto di Taiwan circa una volta al mese e grandi aerei da ricognizione statunitensi hanno volato oltre 800 volte vicino alla Cina e ripetutamente violato lo spazio aereo cinese. Col presupposto di creare problemi nel Mar Cinese Meridionale, gli Stati Uniti d’America hanno anche incoraggiato i loro alleati e collaboratori a far salpare le loro navi militari nel Mar Cinese Meridionale. Il pomeriggio del 2 ottobre 2021, il sommergibile ad attacco rapido di classe Seawolf, USS Connecticut (SSN-22), ha colpito un oggetto mentre era immerso e operava in acque internazionali nella regione indo-pacifica. Solo una settimana dopo gli Stati Uniti d’America hanno rilasciato una vaga dichiarazione, sostenendo che il sottomarino ha colpito un oggetto sconosciuto. Un mese dopo, è stato comunicato che il sottomarino “si è arenato su una montagna sottomarina inesplorata”. Un rapporto finale sull’incidente è stato infine rilasciato dalla Marina degli Stati Uniti il 23 maggio 2022, ma non è stata offerta alcuna spiegazione chiara in risposta alle gravi preoccupazioni e alle domande sollevate da molti, tra cui: 1. l’intento del sottomarino; 2, il luogo specifico dell’incidente; 3. se il sottomarino fosse entrato nelle zone economiche esclusive (Zee); o 4. persino nel mare territoriale di altri Paesi; e 5. se l’incidente avesse causato una fuga nucleare o danneggiato l’ambiente marino. Gli Stati Uniti d’America hanno iniziato il loro programma per la libertà di navigazione (Freedom of navigation, Fon) nel 1979 prima della firma della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare di Montego Bay del 10 dicembre 1982 (United Nations Convention on the Law of the Sea). Sfidando il nuovo ordine marittimo essi hanno firmato ma non ratificato la Convenzione.
La firma non comporta nessun obbligo da parte dello Stato, ma serve semplicemente ad autenticare il testo: è solo con la ratifica che il trattato assume efficacia giuridica per quel Paese. La mossa “astuta” ha cercato di massimizzare la libertà delle forze armate statunitensi di espandersi senza regole negli oceani. Il Programma Fon non è coerente con il diritto internazionale universalmente riconosciuto, non tiene conto della sovranità, della sicurezza e dei diritti e interessi marittimi dei numerosi Paesi litoranei e mette seriamente a repentaglio la pace e la stabilità regionale. Il suo obiettivo è promuovere la supremazia marittima statunitense con il pretesto della “libertà di navigazione”. Il programma Fon è stato fermamente osteggiato da molti membri della comunità internazionale, in particolare dai Paesi in via di sviluppo, e di per sé è una minaccia alla pace del mondo.
Cavaliere del Lavoro Prof. Giancarlo Elia VALORI – Presidente “International World Group”
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