22
Jul
Nel Vangelo c’è una parabola che nessuno ha il coraggio di ascoltare. È il messaggio più incomprensibile, il più impraticabile. L’impossibile del possibile “Ama il tuo nemico”.
In esso si nasconde il senso più spirituale e metastorico dell’umano. Significa ama al di là di ciò che è l’Altro, semplicemente perché è solo per un caso (Dio o destino) che io stesso non sia qualsiasi altro, addirittura quel nemico che mi fronteggia, in quella contingenza, con le sue credenze e la sua verità ostile.
Il Cristo del mondo è nel giusto proprio perché contempla questo segreto. Egli è l’etico.
Oggi è l’intolleranza che occupa il quotidiano, gridata nei media e social.
“Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo”. L’autore del Trattato sulla tolleranza sebbene non scrisse mai questa celebre citazione lo rappresenta perfettamente. Voltaire pensò che non ci fosse bisogno di un Dio per pacificare la ferinità umana, bastava la ragione.
Muore appena in tempo. Non vede il suo bel trattato gettato alle ortiche insieme al canto Per la pace perpetua, ultimo appello di Kant. La Rivoluzione francese accecata da presunzione e speranza inaugurò l’era dell’intolleranza. Guerre da coreografie barocche e minuetti marziali diventano guerre totali, guerre di popoli. I morti civili e militari non si contano più.
“Dio usa le guerre per insegnare la geografia alla gente”. Secondo Ambrose Bierce c’è un fine didattico in tutto questo. Abbiamo imparato dov’è l’Ucraina, il Donbass, il Mar d’Azov, ecc…
Lo “stato di eccezione”, l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin è anche una guerra dell’informazione, fino ad oggi vinta dall’Ucraina e implicitamente da tutti i paesi al di qua della nuova Cortina di ferro, senza però ascoltare le altre voci del mondo che non la pensano esattamente come noi, e sono la maggioranza. Un po’ di scetticismo dovrebbe ricordare che la verità è la prima vittima della guerra, lo sapeva già la tragedia classica. La verità è una ricerca tra opposti, esito di un dialogo dubitativo che va mantenuto aperto ad ogni costo per non morire dello spettacolo della post―verità.
L’intransigenza della litania dei “senza se e senza ma” e l’intolleranza umiliano la mente e nascondono l’estrema semplificazione del pensiero. Chi non vorrebbe prendere partito per il bene, stare dalla parte dei giusti? Non conosciamo a priori la verità e la giustizia, né possiamo impararle una volta per tutte, esse vanno comprese di volta in volta nella dialettica del concreto. Ma è più facile adeguarsi all’unica voce narrante. Nel conformismo si è trascinati dalla corrente, non c’è bisogno d’altro, né di investimento intellettuale né di responsabilità morale.
Una volta dentro il flusso ci pensa l’abitudine a renderci indifferenti alla verità.
Insisto sulla strepitosa unilateralità della nostra informazione, il suo totale appiattimento non tanto sulle indiscusse scelte della nostra governance (da noi anche il viceré è un suddito), quanto sulla adesione monolitica all’inappellabile demonizzazione della Russia. Col male assoluto non si tratta!
La scelta di parte è sempre antagonistica, implica che l’altro sia l’opposto, l’errore, il male, ciò che merita riprovazione e condanna. Esige indignazione, massima espressione di sprezzo e alterità insanabili. Anche l’indignazione cerca una larga adesione per essere contundente e diventare intimidazione (“terrorismo dell’indignazione” come scrive il filosofo Domenico Losurdo) che concede a chi lo pratica il diritto―dovere di bandire, di censurare e infine di educare, secondo i dettami del social engineering o della solita ideologia.
Non possiamo che essere solidali col popolo ucraino, come si ripete spesso per inerzia o per contarsi. La vittima è l’Ucraina. Lo sanno anche i sassi, ma l’Italia― condannata all’insignificanza per manifesta inadeguatezza―, ne fa una ostentazione di fedeltà al diktat del Fronte occidentale raccolto nel conformismo del politically correct e nel rigore puritano della cancel culture.
L’epica intransigenza dei nostri media ufficiali chiamati alle armi si adegua troppo spesso al pregiudizio di conferma. La disinformazione ha buon gioco tra fake news e asimmetria cognitiva.Le luci dello spettacolo non giustificano affatto unilateralità e allineamento a reti unificate. La tremenda contingenza non sfugge alle logiche di mercato ma senza apertura di dialogo al contradditorio c’è solo plagio sociale. Ogni dubbio diviene dissidenza, chi dubita è tacciato di intesa col nemico, la pena è l’ostracismo civile. È caccia al nemico interno.Si è aperta la gara dell’intolleranza, le declamazioni di fede perpetua e la stesura discreta di liste di proscrizione con immancabili delatori da post―verità incattivita.I nostri cuori sono avviliti da questa escalation della militanza che soffia sul fuoco. Così come i nostri interessi divergono da quelli che ci stanno infilando dritti come fusi in un tunnel recessivo. E l’Europa? Par di sentire la diplomatica statunitense Victoria Noland, “Fuck the EU (l’Unione Europea si fotta). In un’era antitragica, in un Paese vocato al dramma c’è da credere che la coreografia vinca sulla realtà.
Si cade nel ridicolo di una sceneggiatura post―moderna con l’immancabile “Armiamoci e partite”.È penoso assistere a questa corsa all’intransigenza. Non si tratta solo di conformismo, c’è in ballo anche l’opportunismo: è un’occasione d’oro per emergere nel consesso dell’apparenza collezionando endorsement, like e prebende. Ma se si criminalizzano le voci dubitative e il dissenso si mette in pericolo la stessa democrazia. Nella notte dell’intelligenza si aizzano gli animi senza pensare che così si finisce per armarsi davvero, chi evoca lo scontro avvicina la linea del fuoco. Basta conoscere un po’ di storia per sapere che in questo modo si nega compassione e pace. Una volta entrati nella “corrente mortale”, in quell’incontrollabile automatismo volto al suo potenziamento illimitato è impossibile fermarci prima della catastrofe. Il direttore d’orchestra Valery Gergiev è stato licenziato dalla Filarmonica di Monaco e sospeso immantinente anche dalla Scala di Milano così come la soprana Anna Netrebko per la loro vicinanza al Cremlino.Solo dopo non poche proteste la rettrice e il pro―rettore dell’Università La Bicocca di Milano hanno riammesso il corso di Paolo Neri su Dostoevskij che avevano appena annullato. Per lo scrittore “Non solo essere un russo vivente è una colpa oggi in Italia, lo è anche essere un russo morto”, un accanimento che è solo attivismo della stupidità.Sorte peggiore per il balletto del “Lago dei Cigni” di Cajkovskij, il 7 aprile il Ministero della cultura ucraino ha intimato lo stop della rappresentazione in Italia.
Per la slavista Rita Giuliani, la scienza e la cultura sono ponti che corrono molto più in alto della contingenza politica e che uniscono i popoli. Cosa dobbiamo aspettarci che l’attualità ferina ci imponga di bruciare in piazza come nella Berlino del 1938 i libri di Tolstoj, Dostoevskij, Majakovskij?Al concorso internazionale dell’Istituto di musica Lipizer di Gorizia sono state escluse le violiniste russe perché …cittadine del loro paese. Non si sa mai. Anche il docile Woody Allen quando ascoltava Wagner gli veniva voglia di invadere la Polonia.Questa rappresaglia “letteraria” non salverà una sola vita umana ma scaverà un fossato più profondo tra un noi e un loro. L’antica vocazione di un Paese sognato da sempre dalle genti della immensa pianura sarmatica per la sua intima estraneità all’intolleranza. Sognato per la bellezza e l’incanto di una luce rosea che avvolge tutte le cose ―secondo Percy Shelley―, per la missione spirituale che la storia o il mistero affidò al Pontefix, il costruttore di ponti tra immanenza e trascendenza, tra popoli e terre.Potrebbe essere il compito di un Paese―ponte, proteso nel Mediterraneo, metafora dimenticata della possibilità di pace. Un luogo dimentico di aver dato vita alla fondazione dell’Occidente.Esso dice chi siamo, ossia quello che dovremmo essere.
Lo dice il poeta Mandel’štam nel suo amore per Dante e per la nostra lingua, lo dicono Brodskij e Stravinskij, sepolti a Venezia come desideravano.
Il mio amico ed io
siamo d’accordo
andiamo in Italia
Venezia
è la più bella città del mondo
Qui siamo a casa
I nostri cuori vanno
a passeggio sui ponti
La gente sorride è d’accordo.
(“D’accordo” di Rose Ausländer. Nata nel 1901 a Černivci da qualche decennio città dell’Ucraina)
Ivan Rizzi
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03Oct
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