23
Jun
L’etica è la forma eletta del rapporto tra l’io e l’Altro, tra il sé e gli altri enti. Un rapporto che deve avere una giusta proporzione. Si può dire che l’etica è una disposizione interiore posta sulle tracce di una inarrivabile “proporzione aurea” di tutto l’esistente. La ricerca di quel rapporto che salvaguarda l’io dal perdersi nell’insignificanza riconosce la presenza essenziale dell’altro, perché non ci può essere riconoscimento né rispetto di sé senza rispetto dell’altro.
Questa simmetria evoca la più assurda e impraticabile parabola del Cristo: “Ama il tuo nemico”. Essa allude alla casualità della vita che assegna una nascita, un’appartenenza e una identità ben prima e ben oltre la nostra volontà, per cui è solo per un caso-destino che l’io è quello che è piuttosto che qualsiasi altro.
L’etica è parola vaghissima. Il significato va dalla convenienza personale, rispetto alla qualità della convivenza, al lusso dell’anima.
Se dopo la morte-di-Dio, proclamata con tanta arroganza, ci restasse solo la salute non saremmo altro che enti, dove non c’è posto per l’etica, un ni-ente che vive in quanto mera durata. Senonché nel fondo del pensiero è posto quel desiderio di avere significato, appunto di non essere niente, di cui però non sappiamo nulla, c’è solo un impulso che muove e commuove ogni singolo io.
Qui inizia a dispiegarsi la sintassi etica, essa ha a che fare con la natura stessa della specie, per questo parliamo di impulso o istinto, accendendo un cortocircuito tra questa parola e la coscienza – quella parte della natura che pensa se stessa.
La convenienza è fare in modo che la nostra vita abbia più dignità di una “nuda vita” risolta nel bios o totalmente eterodiretta.
La liberazione dall’indeterminato deve attualizzarsi nei nostri atti, stabilendo una corrispondenza tra il dire e il fare, tra la ricerca di senso e la sua verifica. Siamo ciò che siamo solo alla prova dei fatti dinnanzi all’accadere degli eventi. L’etica è una risposta pratica.
L’incontro tra gli eventi e il sé pretende una scelta di responsabilità. Qui la nostra stessa integrità è posta a repentaglio. A un estremo troviamo la nostra vacuità, dall’altro la consistenza morale. Se perdiamo quest’ultima non basterebbe mentirci per ritrovare il rispetto di sé. Nulla è peggio di mentire a se stessi, è il livello più basso di umiliazione della propria soggettività.
Il rispetto di sé, l’amor proprio, pretende invece la ricerca di verità, e la verità è una via per istituire l’ordine dei valori tra giusto e ingiusto, tra bene e male.
L’etica pare sia un valore interiore dove il soggetto si dedica a se stesso per essere degno della vita. Ma la cura di sé per quanto profondamente intima non può vivere nella sua unicità separata dagli altri. L’etica è “salvarsi gli uni con gli altri”, la destinazione dell’etica è quindi la comunità.
Intanto potremo accontentarci di trovare delle “affinità elettive”, una qualche forma di omogeneità, in fondo è questo che assicura la possibilità di una democrazia.
La sorte sarà benevola per una comunità se verrà governata da affinità di ordine morale come lo fu nel nostro Dopoguerra in quella dialettica delle estreme divergenze che ridiede rispetto e valore all’Italia
Da Michel Houellebecq “Annientare” – La nave di Teseo. Milano. 2022. Pag. 696 -697
… “altri uomini erano apparsi, in numero crescente; […] erano guidati dalla missione infernale di rosicchiare e corrodere ogni legame, di annientare ogni cosa necessaria e umana. Sfortunatamente avevano finito per raggiungere il grande pubblico, il pubblico popolare. Il pubblico colto, influenzato da una serie di pensatori che sarebbe noioso enumerare, aveva da tempo aderito al principio della decadenza, ma questo non aveva molta importanza, quello che contava davvero ormai era il grande pubblico, […] era diventato il criterio di ogni convalida, un ruolo che la classe colta, avendo fallito sul piano etico come su quello estetico, ed essendosi per di più gravemente compromessa sul piano intellettuale, non era più in grado di conservare”.
Ivan Rizzi
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03Oct
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