08
May
Ivan Rizzi, nel recente articolo “L’automatismo dell’escalation”, afferma: “Sembra che non ci siano vie d’uscita da questo conflitto aperto molto prima dell’invasione russa in Ucraina. L’impasse è irriducibile. La stessa mente umana che in un sistema decisionale chiuso tende ad esulare dalla dialettica del concreto e recede con difficoltà dalle proprie scelte una volta risolte in processo. È l’assioma funzionalistico che si incarna in un apparato sistemico sempre più autoreferenziale. Il principio tecno-algoritmico è dogma, toglie legittimità alla dialettica del negativo e a ogni ragione dubitativa.
Una volta esiliati dal nostro discorso il mistero, lo spirito, il sacro e infine il senso ci resta solo un principio di realtà. Questo l’incipit dello scritto, che così conclude: “Tutto sembra evocare la sindrome di Cassandra. La guerra dell’informazione alleva l’odio per il nemico come una nozione di marketing. Intanto la nostra governance sta tradendo l’articolo 11 della Costituzione “L’Italia ripudia la guerra”, in netto contrasto col volere degli italiani (…) Ad ogni passo della marcia il loop universale, (che inaugura una nuova “età del ferro”, un’epoca post-umana, in bilico con il non-tempo della morte planetaria) pretende una contromossa preferibilmente potenziata”.
“Qualcosa si deve fare per spezzare l’algoritmo dell’epilogo apocalittico, per far sentire una voce mediana, la voce della tolleranza, poiché il bene è sempre un compromesso”.
Rizzi parla di “principio tecnico-scientifico” e distingue un “algoritmo strategico” , che definisce la “corrente mortale” che percorre il linguaggio e che grazie all’algoritmo, sarà attualizzata nei fatti, e un “algoritmo ontologico” , una specie di processo ipnotico tra ragioni e pulsioni rese collettive dalla macchina informativa.
Ricorda la “trappola di Tucidide” dell’ineluttabilità degli eventi e dell’impossibilità di fermare una sequenza in progressione, anche se è innescata da cause irrilevanti rispetto gli effetti, e la “dialettica del concreto” di Hegel, per cui lo Spirito è l’unica forza in grado di guidare il negativo e soffermarsi presso di lui. Sono entrambe verità storiche meritevoli di considerazione, se si usa l’approccio storico-filosofico, basato sulla ricerca della verità e sull’applicazione di leggi universali, fondate sulla razionalità. D’altra parte, c’è da registrare la variabilità della risposta dei singoli individui, quello che fa l’uomo nel “mondo reale”, e che rappresenta l’opzione più seguita dalla natura umana.
Uno studio accurato della diversità dei comportamenti umani si può ottenere con l’ “approccio fisiopatologico”, che non si limita a prendere in considerazione solo gli individui normali, o che hanno un comportamento fisiologico, ma focalizza l’attenzione anche sull’ampia moltitudine dei soggetti “patologici”, fuori scala, che si discostano dalla media, ma che sono inclusi nel mondo reale, perché fanno parte della natura.
C’è un “abisso” tra approccio storico-filosofico e approccio fisiopatologico alle vicende umane.
L’uomo non è razionale. La struttura organismica è rimasta conservata nei millenni ed è sostanzialmente invariata non solo rispetto al VI secolo a.C. (epoca della fioritura dei primi grandi filosofi dell’antichità) , ma anche rispetto all’uomo che dipingeva le caverne di Lascaux, 14.000 anni fa. Ora come allora, -quando aveva necessità di fare 15-20 km di corsa per cacciare la preda -, se non elimina l’equivalente di questo sforzo sotto forma di “consumo energetico” (facendo sport, palestra, attività fisica), va incontro ad obesità, diabete di tipo 2, ipertensione, disturbi cardiocircolatori e sindrome dismetabolica. Ora trova il cibo nel frigorifero di casa senza muovere un passo.
Col progresso è cambiato il modo di procurarsi il cibo. Ma la struttura organismica è rimasta identica. Analogamente, ora come allora, per controllare e modulare i comportamenti, le scelte decisionali, c’è sempre un rapporto di 6:1 tra circuiti “bottom-up”, che regolano dal basso, con stimoli a partenza dai visceri e dalla periferia del corpo, ciascuno con il proprio mediatore (serotonina, dopamina, ossitocina, vasopressina, noradrenalina, oppioidi) le aree corticali, e con 1 solo circuito top-down (colinergico), che va dall’alto verso il basso e che dovrebbe spingere al ripensamento, alla riconsiderazione di quanto scelto con l’istinto. Questo unico circuito, in competizione con 6 di segno opposto, avrebbe come scopo quello di “espandere la riflessività e la razionalità”. L’uomo contemporaneo è fatto così. Ha ancora la stessa struttura dell’uomo di 5- 10.000 anni fa, per cui è illusorio pensare ad una istantanea diffusione a tutti della razionalità, visto che il rapporto tra i circuiti è sempre lo stesso, così come identici sono i meccanismi che governano la nutrizione e il metabolismo.
Ma, all’interno della struttura organismica, basata sull’ “abitudine”, sulla prevalenza del lobo limbico, del nucleo accumbens, dove è centrato il “circuito della ricompensa”, si possono comunque trovare “antidoti” imprevisti ed imprevedibili a questi algoritmi catastrofici apparentemente intollerabili.
Con una moderna “fenomenologia” delle cose umane, con l’approccio clinico all’organismo, con il “ritorno alle cose stesse”, alla conoscenza della struttura della natura umana, si può provare a fare un richiamo al “concetto di limite”, perché negli eventi del corpo umano non esistono regole universali e, soprattutto, né gli algoritmi, né le leggi della fisica, né quelle della chimica sono applicabili indistintamente a tutti allo stesso modo.
Con la nuova fenomenologia, basata sull’approccio fisiopatologico, si invita ad una maggiore modestia epistemologica, si esorta anche a dubitare degli algoritmi, e dell’applicabilità all’uomo della legge del piano inclinato, se si ha la capacità di determinar come siamo fatti dentro”.
Prevale l’istinto alla sopravvivenza del proprio corpo. L’uomo è portato a scegliere ciò che produce piacere e benessere e ad evitare ciò che produce dolore. E la guerra genera dolore e malessere. Pertanto non è in linea con la natura umana, e la “automatica” inclinazione dell’uomo, quello di proseguire ad ogni costo una guerra che genera dolore.
Come ho spiegato nel mio recente saggio in 2 volumi “Perché comandano i folli e noi li facciamo comandare”, non c’è solo “il folle”, ma ci sono anche “le folle”. Il folle che comanda è “malato”, affetto da sintomi clinicamente evidenti, ma non per questo è più fragile o inevitabilmente condannato alla sconfitta, costitutivamente “perdente”. All’opposto, è spesso pianificatore, superdotato di talenti, e ha acquisito il potere assoluto non solo per meriti intrinseci, ma anche perché riesce a “sedurre” le folle, che lo supportano ed entrano in empatia con lui, permettendogli di restare al potere per lunghi periodi (un ventennio o più).
Nell’emergenza dei dittatori c’è sempre una co-responsabilità del popolo, così come c’è una corresponsabilità del regime politico. Lo Stato “leggero” delle nazioni occidentali, improntato al liberalismo, al “laissez faire”, al “you are on your own” e “te la devi sbrigare da solo”, fa sì che si consolidino dei leader.
Nel saggio si indaga la struttura organismica dal punto di vista clinico, e si sottolinea il ruolo della “malattia”, sia come caratteristica costante dei leader più potenti, degli “uomini soli al comando”, ma anche per l’emergenza dei talenti che hanno consentito a questi “malati”, – dotati però di creatività non comune”, – di raggiungere e mantenere il potere. Si sottolinea l’aspetto “duale” del “grande creativo”, che possiede contemporaneamente caratteri del bambino sognatore, contestatore, che non accetta le leggi imposte dagli altri, ma rispetta solo regole autoimposte, e dell’adulto maturo, dotato di tenacia e perseveranza non comune, capace di resistere alle avversità e di riuscire vincitore a dispetto degli avversari, mostrando a tutti i propri talenti, e dimostrandosi in grado di mantenere il potere e di realizzare la “propria visione”, che è quella di “cambiare il mondo”.
Quando si ha a che fare con personalità malate, o narcisisti, megalomani, con enorme “ego ipertrofico”, specie se super pianificatori, e poco empatici, (con scarsa compartecipazione alla sofferenza altrui, incluso la conseguenza in un evento bellico di morti o feriti, che vengono considerati freddamente come effetti collaterali necessari per raggiungere lo scopo prefisso), più che invocare la “razionalità”, – che Sloterdjik ritiene che si possa diffondere come un virus, per contagio delle idee-, conviene sottolineare che avere un “altro malato”, megalomane e narcisista come contro-parte forse non guasta.
Anzi, è sicuramente meglio rispetto ad un leader debole, che non ha carisma e consenso. Per fronteggiare Hitler, piuttosto che politici esperti in diplomazia, come Chamberlain, o “eroi di guerra” come il maresciallo Petain, si sono rivelati leader più adeguati De Gaulle o Winston Churchill, gravemente malato per una depressione cronica, per cui era costretto a scomparire dall’attività governativa per settimane durante le crisi depressive, lasciando il paese senza guida.
Per Rizzi si deve risalire a Neustadt, che ascrive le maggiori responsabilità dell’ineluttabilità dell’algoritmo “alle politiche interne, alla lotta di poche singole menti, – una minoranza politica spesso psicorigida, cui si è sempre affidato troppo” – e alla “debolezza” delle classi dirigenti occidentali.
Purtroppo è invalso l’uso di restare aderenti al “politically correct”, latore di ipocrisia. Spesso sulla base di interessi particolari, o di “altro”, non si seleziona il migliore, il più “fit for the post”. Al contrario, invece di scegliere quello più capace di guidare una nazione anche in situazioni critiche, si privilegia quello che può fare da “mediatore”, può aggregare un “cartello contro” il più forte o il più capace. Quest’ultima sarebbe l’opzione più idonea, ma disturba alcune élite che detengono il potere, che si sentono meno turbate e più rassicurate dalla prevalenza di un burocrate, che non gode di consenso diffuso e non seduce le folle, perché non è grado di “parlare alla pancia” degli elettori.
Piuttosto che parlare di elogio della razionalità e di anelito alla perfezione, conviene andare a cercare rimedi adeguati tra le pieghe del “cervello viscerale” e tra i meccanismi che portano alla selezione delle classi dirigenti. Questi rimedi non debbono essere necessariamente perfetti, razionali, o essere incarnati da individui normali, nel “range della fisiologia”, ma è possibile e a volte preferibile pescare anche tra i “malati”, che fanno parte della natura e che possono essere “strumentali” non solo per iniziare la guerra, ma anche per farla cessare.
Quello che intendo suggerire come considerazione conclusiva è che nel corpo umano “esistono gli automatismi”. Non sono da considerare come un fenomeno “negativo” a prescindere. Anzi. L’approccio fisiopatologico ha permesso di svelare che proprio perché ci sono molti eventi automatici, basati sull’abitudine, o sulla ripetizione inconscia degli stessi circuiti, non sono applicabili alla lettera gli algoritmi basati sul calcolo probabilistico, che serve a dettare le regole negli eventi governati per intero dal caso. Ma il corpo umano non risponde solo al caso. È un mix di caso e necessità. Con i circuiti prestabiliti che forse hanno un peso maggiore di quelli interamente casuali.
L’uomo è caratterizzato dalla presenza di automatismi. Molte delle nostre scelte sono guidate dal cervello viscerale.
È pura illusione ritenere che tutti gli uomini diventino ugualmente razionali, o buoni i altruisti. Tutti insieme nello stesso momento per “contagio delle idee” (Sloterdijk), come effetto del contagio di un virus che determina effetti benefici istantanei. Noi non siamo uguali. Siamo tutti diversi uno dall’altro. Strutturalmente. In ciascuno dei meccanismi dei 360 circuiti funzionali e in ognuno degli organi e dei tessuti che costituiscono il corpo umano.
Tra le pieghe della struttura organismica, a ben guardare, si possono trovare degli antidoti all’ineluttabilità degli algoritmi.
Qualcosa di simile alla “voce della tolleranza” (con il bene che è sempre un compromesso), si può ottenere anche seguendo gli automatismi del corpo umano, senza invocare razionalità e logica per tutti come unico rimedio contro gli algoritmi apocalittici.
Francesco Cetta Docente IASSP
Trackbacks and pingbacks
No trackback or pingback available for this article.
Per qualsiasi domanda, compila il form
[contact_form name="contact-form"]
Leave a reply