13
May
Parto dalle recenti notizie, che sono trapelate su un sito ben informato, “Politico”, a proposito di una prossima sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America, che dovrebbe andare nel senso di una sostanziale “marcia indietro” rispetto a quanto stabilito finora in tema di “diritto all’aborto”.
Negli Stati Uniti, con la sentenza “Roe versus Wade” del 1973, è stato sancito il diritto all’aborto in tutti gli Stati. Con la nuova sentenza ci sarebbe una sorta di “ripensamento” rispetto alla posizione precedente. Si tratta di una “bozza” e non della sentenza definitiva. Pur criticando aspramente la “fuga di notizie” (le “bozze” della Corte sono materiale riservato, che non dovrebbe trapelare all’esterno), il Presidente della Corte Suprema ha confermato la veridicità della bozza elaborata dal Giudice Alito, a proposito di un recente caso del Tennessee, anche se ha ribadito che non si tratta del pronunciamento definito, che potrebbe essere modificato rispetto al testo della bozza. I Repubblicani detengono nell’ambito dei 9 giudici della Corte Suprema una “maggioranza di 6 a 3”, e hanno la forza per far passare il nuovo provvedimento, più restrittivo.
Non viene abolita la sentenza precedente, ma l’invito è quello di rinviare ciascuna questione alle leggi vigenti in ogni Stato, che in tema di diritto all’aborto differiscono notevolmente l’uno dall’altro.
Il principio è che il diritto all’aborto non esiste nella Costituzione. L’aborto è una questione etica fondamentale, che attiene ai diritti della persona e quindi alla sfera della “privacy”. In realtà si tratta di una questione “al limite”, perché non attiene solo alla sfera della libertà della donna, che può decidere autonomamente se diventare madre o meno, ma anche alla decisione di eliminare la vita di un altro (il nascituro).
La sentenza, anche per il periodo in cui venne pronunciata, (era il 1973), è stata considerata una delle principali conquiste della lotta portata avanti dal movimento delle femministe, nell’ambito della libertà individuale. Lo slogan del tempo era “L’’utero è mio, e lo gestisco come mi pare”. Nell’ambito dell’ampliamento della platea dei “diritti” sostenuti negli USA soprattutto dal Partito Democratico, grazie ad una serie successiva di pronunciamenti, dopo il riconoscimento su tutto il territorio nazionale di questa prima libertà, sono seguite altre libertà che attengono alla privacy: “dopo chi voglio sposare, se voglio avere figli, più recentemente è stato garantito anche il diritto di contrarre matrimonio con un individuo dello stesso sesso”.
Si tratta di una serie di decisioni, sancite da altrettante sentenze nel corso degli ultimi 50 anni, che hanno caratterizzato il progressivo trionfo di un “genere” considerato più debole, o “meno tutelato” nei suoi diritti (il sesso femminile), poi di altre minoranze collegate con l’attribuzione di genere, come quella dei gay o dei transessuali, ingiustamente discriminate, e infine di tutta una serie di altre minoranze legate all’etnia, come gli Africani, oppure gli Indiani d’America.
Si è andato affermando progressivamente un indirizzo di pensiero per cui i “colonizzatori” hanno distrutto le civiltà precedenti (gli Indiani d’America), o soggiogato etnie considerate all’epoca “inferiori”. E quindi devono pagare. Questa “punizione” è arrivata di recente ad includere il “risarcimento ora per allora”, ed infine anche una “revisione della storia”, con una sostanziale inversione dei valori.
Si è assistito pertanto negli USA alla distruzione delle statue di navigatori, come Cristoforo Colombo, lo scopritore dell’America, Amerigo Vespucci, Magellano, Vasco de Gama e degli altri esploratori, perché accusati di aver “maltrattato” e non rispettato adeguatamente i diritti delle popolazioni indigene. È diventata sempre più di moda una sorta di autoflagellazione, per cui il razzismo è una colpa che solo i bianchi devono ammettere, secondo la “Critical Race Therapy”, insegnata nelle scuole pubbliche. I bianchi devono espiare per il genocidio contro i nativi del Nord America, il razzismo contro le popolazioni di colore, secondo quanto lamentano movimenti tipo “blake Lives Matter”, o le requisitorie della sinistra no border di Alexandria Ocasio-Cortez, che accusa gli USA di tutte le ingiustizie planetarie. L’America è considerata l’unico impero del male, mentre quello che succede in Russia, in Cina, o in altre parti del mondo viene derubricato come quisquilia, in una sorta di sindrome autodistruttiva della democrazia americana.
In altre parole i bianchi attuali degli USA devono “pagare” ai neri attuali e agli indiani attuali : devono “espiare” le colpe dei padri.
Analogamente i vari generi che nel frattempo ci sono andati differenziando e precisando nei loro contorni hanno preteso e ottenuto diritti sempre più puntuali e specifici fino a quello dell’obbligo di 10 bagni con etichette diverse negli edifici pubblici dello Stato di New York, perché fossero rispettare tutte le diversità di genere, e ciascuno si sentisse tutelato al massimo nella propria “privacy”: non solo bagni separati per maschi e femmine, ma anche per gay e lesbiche e per le altre varianti intermedie o transessuali riconosciute.
In punta di diritto si può discutere su ciascuna di queste questioni. Ma se si prendono tutte insieme, si comprende che forse è opportuna una “pausa di riflessione”. È consigliabile fare -come si fa con il computer e le macchine intelligenti- una sorta di “reset”. Spegnere l’interruttore e far riprendere la funzione della macchina da capo. Bisogna interrogarsi anche sull’eterogenesi dei fini e sull’emergenza di risultati non voluti o appositamente ricercati, ma che si verificano come effetti collaterali. I musulmani presenti in Africa e in Asia rappresentano già attualmente il gruppo etnico-religioso più numeroso, destinato a prendere il sopravvento sulle altre religioni e le altre civiltà.
Provando ad indagare le cause di questa egemonia, ci si può chiedere se ciò sia attribuibile (come in passato) al fatto che i musulmani sono monoteisti invece che adorare una moltitudine di dei. No. Non è questo il motivo. Ma può dipendere dal fatto che sono “tradizionalisti”, e hanno mantenuto una posizione dominante per il padre e il maschio, tenendo la donna e le altre componenti “deboli” della società, o le minoranze con “diritti non paritari”. La religione musulmana precisa che non si tratta di una “diminuito” dei diritti, ma semplicemente di individuare per la donna un ruolo ed una funzione “diversa” da quella dell’uomo.
L’altra considerazione che si può richiamare è il principio su cui si fondano questi diritti. “Siamo tutti uguali”. Ma questa non è una legge scientificamente documentata e documentabile dal punto di vista clinico e biologico. Anzi. La scienza del corpo umano afferma che siamo “diversi”.
Le donne nel mondo musulmano costituiscono un “premio” per l’uomo, (70 vergini che toccano in dono a chi si sacrifica per Allah). Quindi le donne sono per molti aspetti un “oggetto” e non un soggetto. Non hanno diritto, come in Afghanistan, ad accedere agli studi superiori, e non possono fare le stesse cose degli uomini. Anche esteriormente debbono essere immediatamente riconoscibili, indossando il “burka” e coprendosi il volto.
In Occidente, soprattutto tra i maschi, si sta instaurando la “paura” verso le donne diventate sessualmente più aggressive nei confronti degli uomini. Una sorta di “timore reverenziale”, che può giungere nelle forme gravi ad una sorta di “castrazione psichica”, con i ragazzi sempre più a disagio, e addirittura terrorizzati dalle “avances” e dalle pretese delle coetanee, dall’ “ansia della prestazione” e dalla paura di non essere all’altezza delle attese.
Ma, soprattutto, ai figli non viene più insegnato il “senso del dovere”. Né dai genitori, i quali sono sempre più propensi a fare costosi regali ai bambini, sia nel tentativo di placare il senso di colpa per il poco tempo che dedicano a loro, che per cercare di ingraziarseli singolarmente, anche in competizione con l’altro genitore; né da entrambi i genitori, a scuola, in cui padri e madri prendono sistematicamente le difese dei figli quando vengono invitati a colloquio dai docenti per manchevolezze o comportamenti indisciplinati degli studenti, sentendosi offesi nell’orgoglio personale. Al contrario di quanto succedeva alcuni decenni fa, quando alla ramanzina del professore seguiva sempre il “rincaro della dose” da parte dei genitori. In questa situazione anche la scuola, i docenti e l’intera struttura educativa pubblica si sente meno motivata a riprendere, o a punire i ragazzi indisciplinati, per cercare di inculcare nei giovani il senso del dovere.
Infine, c’è il terzo attore dell’educazione, la patria, che non chiede più nulla ai giovani. Prima c’era il servizio militare obbligatorio. A fronte di molti effetti negativi, rappresentava comunque un evento “uguale per tutti i maschi”, che contribuiva a far apprendere un certo tipo di “disciplina” e a rispettare alcuni doveri. Attualmente non è più obbligatorio il servizio militare, ma c’è il “reddito di cittadinanza” obbligatorio per tutti. Con la recente “estensione” alla categoria dei percettori di questo “premio”, anche del bonus addizionale per la crisi economica legata al Covid-19 e alla guerra in Ucraina. Lo scopo dichiarato di questa misura è quello di mantenere la “pace sociale” ed evitare rivolte contro l’elevato tasso di disoccupazione.
Ma se ad un giovane (non competitivo e senza un elevato livello di formazione) viene assicurato un reddito “gratis”, senza far nulla, questo costituirà un’ulteriore spinta a continuare a non far nulla, piuttosto che trovarsi un lavoro che, soprattutto i primi tempi, avrà un corrispettivo economico simile a quello che riceve per “diritto”. È stato suggerito di obbligare il percettore del reddito di cittadinanza a fare dei lavori socialmente utili, come pulire giardini o il manto stradale, o aiutare gli anziani per un tempo equivalente alle ore lavorative di un contratto standard.
Invece è prevalsa la logica della redistribuzione. Il comunismo che è “innaturale”, fisiopatologicamente contrario alla natura dell’uomo, – che ancora oggi è governato prevalentemente dal cervello viscerale-, esce dalla porta e rientra dalla finestra. L’ultimo aspetto su cui voglio soffermarmi è quello giuridico-economico nei confronti dei figli.
Per le legislazioni vigenti nei paesi occidentali il genitore, ma in particolare il padre, è “obbligato” a mantenere i figli, anche se i figli hanno più di quarant’anni, e il padre ne ha più di 85 ed è da oltre vent’anni in pensione. Al contrario, i figli non hanno alcun “dovere” di mantenimento e di cura nei confronti di genitori.
In conclusione, dopo un ripensamento della legge sull’aborto, propongo di ipotizzare nuove leggi che fissino un “numero minimo di doveri” alle nuove generazioni. Non solo a maggior tutela dei maschi e dei genitori poveri, ma anche perché, proseguendo l’attuale tendenza, la civiltà occidentale rischia di scomparire o di diventare subalterna.
La popolazione delle democrazie occidentali è rappresentata da 400 Milioni di europei e 350 milioni di nordamericani, a fronte di oltre 3 miliardi di musulmani e oltre 3 miliardi di cinesi e indiani. Nell’immediato futuro questo “gap” andrà accentuandosi sempre di più. In meno di 30 anni il rapporto di disparità sarà più ampio (con riduzione della popolazione europea e nordamericana ed aumento esponenziale di quella musulmana, in cui le coppie continuano a fare 8-10 figli a coppia).
Quello che le femministe (e anche i nostri giuristi, oltre ai “policy maker”) si ostinano a non prendere in considerazione è che se i musulmani, così come ha fatto Putin, invadendo l’Ucraina, hanno intenzione o interesse ad imporre agli altri con la forza la loro “visione del mondo” e il loro credo, non ci sarà un futuro favorevole non solo per le donne, i gay e le minoranze, ma per l’intera cultura attualmente espressa dall’Occidente. E questo in ultima analisi sarà dovuto anche ad uno sviluppo illimitato dei diritti (non controbilanciato da doveri di peso analogo) dei generi più deboli e delle minoranze, che però nei fatti ha contribuito a determinare una contrazione della natalità in queste nazioni.
A volte si può anche perire eccesso di diritti o “eccesso di democrazia”. Anche questa può essere considerata una questione urgente, di cui occuparsi a che a livello d’intelligence. L’intelligence non è solo al servizio dello Stato e dei singoli cittadini. In questo caso dovrebbe difendere dall’annichilamento un’intera civiltà, che è stata quella egemone per millenni. Possibile che nessuno degli esperti di intelligence economica, di solito molto attenti alle innovazioni energetiche, alle politiche verdi, all’uso dei carburanti fossili, abbia richiamato l’attenzione sul fatto che l’aumento della popolazione della Nigeria da 200 a 400 milioni di abitanti nei prossimi 15-20 anni, insieme con un analogo incremento demografico in altre nazioni dell’Africa e del Sud-est asiatico ad elevata natalità e a crescita demografica incontrollata, determini di per sé un aumento del buco dell’ozono e dell’inquinamento del pianeta maggiore di tutte le emissioni industriali di Cina, India, Usa ed Europa messe insieme?
Come mai gli “apparati” di intelligence non si sono accorti che alcuni stati arabi e musulmani, insieme con poteri più o meno occulti, spingono verso la crescita demografica a dismisura di queste popolazioni per invertire -con la “forza” del fattore demografico gli equilibri planetari? È del tutto evidente che, se da un lato la parte del leone nello squilibrio la fa la “crescita demografica incontrollata” dei paesi sottosviluppati, un ruolo importante nello squilibrio stesso lo gioca la “crescita demografica negativa” nei paesi industrializzati e socialmente e “democraticamente” più evoluti.
È così difficile pensare che un ostacolo reale all’aumento della natalità nelle nuove generazioni occidentali non sia solo dovuto a questioni economiche, e alla scarsa capacità di reddito dei giovani, ma che un ruolo altrettanto rilevante lo giochino proprio la “disintegrazione” del maschio come riproduttore della propria specie-etnia, e della figura paterna, con l’aumento a dismisura dei diritti dei figli? Questi ultimi, in quanto all’origine “minori di età”, e sottogruppo debole e fragile, però continuano a mantenere nei confronti dei genitori gli stessi diritti, non compensati da doveri equivalenti, anche quando hanno oltre 40 anni e i loro genitori sono malati ultra 80enni o 90enni.
Di certo la possibilità dell’aborto deve essere contemplata nell’ambito delle terapie mediche di pertinenza ostetrico-ginecologica, e anche nell’ambito dei diritti della donna, (e quando necessario, con la garanzia di poter praticare l’aborto in ambiente idoneo e con il minor rischio possibile). Ma deve essere considerato come una soluzione estrema, non una scelta da fare a cuor leggero. E con limitazioni precise, che debbono continuare ad esistere, proprio perché sia un “diritto controbilanciato da doveri”, invece di essere sbandierato come un attributo del corpo femminile, di cui rivendicare per intero il possesso. Come qualcosa di cui vantarsi nel corso di manifestazioni che inneggiano al “gay pride”, o, appunto, all’aborto, o alla proprietà in esclusiva dell’utero.
L’aborto non può essere considerato il “golden standard”, la regola o lo strumento con cui sostituire l’assunzione di pillole contraccettive o altri metodi anticoncezionali come pratica corrente per evitare nascite indesiderate. Siccome è un diritto, e tocca a me decidere, allora scelgo l’aborto, invece che l’astinenza o i contraccettivi se non mi sento pronta ad avere figli.
Sul piano del diritto, può sembrare invece che la donna possa scegliere liberamente se fare astinenza, usare contraccettivi o praticare l’aborto, allo stesso modo di quando va al supermercato o in profumeria per scegliere quale profumo desidera. Tanto, è tutto garantito.
No. L’aborto deve rimanere l’estrema ratio. E deve contemplare “restrizioni”, proprio perché non prevalga la logica dei “diritti senza doveri”. Teoricamente, e stando a quanto prescritto dalla legge, una donna potrebbe abortire anche 10-20 volte. Ma se ci fosse qualcuna che lo facesse realmente, andrebbe attentamente valutata e analizzata sotto il profilo medico-psichiatrico.
Aborto, divorzio, vantaggi per le donne nelle sentenze di divorzio, aggressività femminile, tendenze alla “castrazione” del maschio, o a “fargli passare la voglia” di fare figli, pensando alle conseguenze di un eventuale divorzio e a quanto gli assegni di mantenimento possano impoverire un padre per tutto il resto della sua vita, abolizione di tutele per i genitori e di doveri da parte dei figli nei confronti dei genitori anziani: tutto contribuisce alla diminuzione della natalità.
Il pensiero attuale è che agli indigenti e a coloro che non sanno come fare “ci pensa lo Stato”. Non si debbono preoccupare i figli di tutelare le sofferenze dei genitori anziani e malati. E’ un optional. Se vogliono, lo fanno. Altrimenti, no. Mentre c’è il dovere per il padre di “mantenere” il figlio (per tutta la vita, non solo nell’infanzia), non c’è per reciprocità il dovere inverso del figlio di “mantenere il padre”. Quello che passa ora come “common belief” è che tutti hanno diritto al “mantenimento”, ma con il dovere che va solo in una direzione, padre-figlio e non viceversa. Il paradosso è che tutto nasce dal riconoscimento di maggiori diritti ad originarie minoranze o soggetti fragili, che aspettavano da tempo di essere sanciti legalmente e fatti rispettare.
Ma non sarà anche il momento di interrogarsi e di chiedersi: “Abbiamo “esagerato?” È opportuno un ripensamento? C’è la necessità di fissare un miglior bilanciamento in termini di pesi e contrappesi?
Non solo nel rispetto dei diritti individuali di tutti (ex minoranze o soggetti fragili ora iperprotetti, e vecchie maggioranze forti, ora eccessivamente penalizzate), ma anche in un’ottica più vasta, che includa la difesa di una “tradizione” secolare, che ha garantito stabilità e prosperità, e la tutela di “valori” che, se disattesi, da una parte possono portare alla disgregazione dell’attuale società, ma nel futuro anche alla scomparsa di un’intera civiltà.
Non è un’ipotesi assurda paventare la scomparsa della civiltà “occidentale”, democratica, liberale, fondata sulle radici giudaico-cristiane, e ipotizzare, per contro, il sopravvento, di altre culture e altre visioni del mondo laiche o religiose. Il dato su cui meditare è che a questo nuovo ordine dovranno sottostare anche gli “avvantaggiati” di oggi, ma con tutele e vantaggi per loro inferiori rispetto a quelli garantiti 50 anni fa.
Queste considerazioni dovrebbero incontrare l’interesse non sono di maggioranze e minoranze prima discriminate e oggi forse “iperprotette”, ma anche degli “esperti di intelligence”, di coloro a cui sta a cuore la difesa e la tutela degli interessi dei cittadini e degli Stati-nazione. Se non si “ripensano” questi problemi, (anche dal punto di vista fisiopatologico, tenendo conto della struttura dell’organismo e del fatto che non tutto è governato dalla razionalità, ma c’è anche molto di “automatico”, inconscio e dominato dall’istinto e dal cervello viscerale), se non si hanno ben in mente tutte le possibili ripercussioni, la nostra civiltà può essere a serio rischio di scomparsa, o di grave ridimensionamento. Con il supporto colpevole di “traditori della civiltà”, i quali, pensando di tutelare i propri interessi di “minoranze”, perdono di vista il bene comune, incluso la potenziale scomparsa dell’intera civiltà a cui appartengono, e che ha garantito loro la possibilità di lottare per quei diritti.
Francesco Cetta – Docente IASSP
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