08
Apr
Vladimir Putin è nato a San Pietroburgo, all’epoca Leningrado, il 7 Ottobre 1952. Ha quindi 69 anni, e dal 31 Dicembre 1999 ha di fatto sostituito Eltsin alla guida della Federazione Russa. È quindi al potere ininterrottamente da 23 anni, a capo di uno degli Stati militarmente più potenti al mondo. Putin eredita una Russia disastrata, dopo il collasso dell’Unione Sovietica successivo alla caduta del Muro di Berlino.
Le notizie sulla sua infanzia, oltre che da pochi documenti ufficiali, sono ricavabili da una autobiografia, “In prima persona”, stampata per la campagna elettorale del 2000. Si apprende che ha vissuto un’infanzia povera in una Kommunalka a San Pietroburgo.
Il padre e la madre, entrambi nati nel 1911, e morti, la madre nel 1998 ed il padre nel 1999, rispettivamente ad 87 ed 88 anni, (cioè prima che diventasse Presidente della Federazione Russa) erano di condizione non agiata. Il padre, meccanico e sommergibilista durante la guerra e poi arruolato nei reparti speciali come “sabotatore”, era comunista militante e ateo, mentre la madre era operaia, cattolica ortodossa, ed era riuscita ad ottenere il “nulla osta” del marito a portare il piccolo Vladimir in Chiesa con lei. Putin si dichiara “credente”, si considera di fede cristiana e ha contribuito notevolmente al ravvicinamento tra Chiesa Ortodossa e governo attuale in Russia.
Ha avuto due fratelli, entrambi morti durante i primi anni di vita, per cui è cresciuto da solo, prevalentemente con la madre, (perché il padre era talvolta lontano), ma non è “automatico” che abbia avuto un’ “infanzia infelice” e senza affetti, come pure sostengono moderni commentatori, che intendono attribuire all’ambiente esterno gran parte della sua “struttura organismica” e della formazione della sua personalità.
Il nonno paterno aveva conosciuto personalmente sia Lenin che Stalin, perché aveva lavorato a lungo, come cuoco, in una “dacia” di loro proprietà. Indubbiamente non apparteneva ad una famiglia agiata. Ha dovuto impegnarsi e “lottare” per farsi strada. Secondo le sue stesse parole “La strada di Leningrado mi ha insegnato: se la rissa è inevitabile, colpisci tu per primo”.
Come emerge dalle pagine successive, io credo di aver individuato in alcuni suoi comportamenti (la tenacia, la dedizione maniacale per il lavoro o la “mission” che aveva scelto per sé, la spiccata tendenza alla “sistematizzazione” alcuni tratti che si riscontrano frequentemente in soggetti inquadrabili nello “spettro dell’autismo”, ma particolarmente dotati nella capacità di “analizzare e pianificare”, secondo l’interpretazione di Baron-Cohen.
Con questo non è che provo ad immaginare Vladimir come un tipico “bambino autistico”, con deficit di apprendimento o disturbi motori, che impara a camminare a 4 anni, o è incapace di infilare il bottone nell’asola della giacca come Kim Peek, il protagonista del film Rain Man, interpretato da Dustin Hoffman, e nemmeno un bambino incapace di “fissare negli occhi”, come Daniel Tammet, o Greta Thunberg (due autistici famosi dotati di memoria straordinaria), entrambi caratterizzati dall’ “evitamento dello sguardo”. Putin al contrario ti guarda fisso negli occhi ed appare dotato di sguardo magnetico.
Ma, sulla base delle considerazioni fisiopatologiche esposte nel presente saggio e la spiegazione dei talenti come espressione di “plus” e “minus” a livello di struttura organismica, analizzando quello che appare della personalità di Putin, è evidente come a fronte di qualità e talenti, che ne fanno un uomo fuori dalla norma, uno dei “diversi”, o dei “folli” di cui mi occupo nel saggio, dimostri anche una scarso apprezzamento per la sofferenza altrui, e la “costitutiva” tendenza a considerare le vittime di azioni di guerra o di repressioni ordinate da lui come “effetti collaterali”, eventi quasi “obbligati”, che non lo fanno distogliere più di tanto dal perseguire il suo obbiettivo.
Io ritengo che questi caratteri (carattere), sia i talenti di cui è indubbiamente dotato, che il suo cinismo, la sua freddezza, lucidità, così come la scarsa empatia nei confronti degli altri, incluso amici e parenti, abbiano cominciato ad emergere e si siano sviluppata fin dall’infanzia e abbiano raggiunto il loro completamento o punto di non ritorno nell’età matura. E non solo a causa dell’infanzia infelice e priva di affetti, ma per il combinato disposto tra genetica, epigenetica e ambiente circostante e le loro interazioni con l’organismo durante le varie finestre di suscettibilità nel corso dello sviluppo.
Vladimir è uno studente appartato, taciturno, che supera brillantemente gli esami, nonostante le condizioni economiche disagiate (o proprio per quello!), e nel 1975, a 23 anni, consegue la Laurea in Diritto Internazionale presso la Facoltà di Legge dell’Università Statale di Leningrado. Subito dopo viene arruolato nel KGB, la polizia di Stato segreta dell’Unione Sovietica. Dopo 10 anni in Russia, viene inviato a Dresda, nella Germania Est, controllata dall’URSS. La sua “copertura” è come interprete. Conosce bene il tedesco, è in grado di esprimersi in inglese e anche in svedese.
Rimane funzionario del KGB per 16 anni, raggiungendo il grado militare di tenente colonnello. In realtà non è questa la carica più alta avuta da Putin nei servizi, perché nel 1998 Eltsin lo nomina Capo dell’FSB, una delle agenzie dei Servizi, che sono succedute al KGB, dopo il suo smantellamento in seguito al tentato Colpo di Stato per destituire Gorbacev, avvenuto con l’avallo proprio dei vertici del KGB.
Nel frattempo conosce la futura moglie, Ljudmila, nata nel 1958 a Kaliningrad, (l’antica Königsberg, la patria di Immanuel Kant, che non si è mai staccato da questa città), che studia a Leningrado e che poi ottiene nel 1986 la Laurea in Lingua spagnola e Filologia all’Università di Leningrado-San Pietroburgo. I due si frequentano mentre lei lavora come hostess, assistente di volo all’Aeroflot, si sposano nel 1983 e vivono, prima a Leningrado e poi a Dresda. La prima figlia Maria nasce a Leningrado nel 1985; la seconda, Ekaterina, nasce a Dresda nel 1986 La moglie Ljudmila dal 1990 al 1994 ha poi insegnato tedesco presso il Dipartimento di Filologia a Leningrado, mentre le figlie hanno frequentato entrambe la Scuola Tedesca di Mosca.
La moglie di Putin può aver avuto un ruolo nel suo interesse per la “lingua russa” come radice e fattore unificante dell’identità di una nazione. Infatti si è spesa molto personalmente per mantenere e preservare la lingua russa dalla “riforma ortografica”, ed è stata al centro di una campagna contro la modifica dell’ortografia nella lingua russa tradizionale. Putin stesso ha scritto un saggio sull’ “Unità storica di Russia e Ucraina”, pubblicato a Mosca nel 2021.
Quindi Putin (così come Trump -che viene considerato dai suoi denigratori un incolto, o uno che non ha effettuato studi adeguati, mentre si è laureato in Finanza presso l’Università della Pennsylvania, una delle 9 appartenenti alla prestigiosa “Ivy League” e ha scritto decine di libri) conosce 4 lingue, ha conseguito una laurea in Diritto internazionale e, successivamente, il 27 Giugno 1997, anche un Master in Economia presso l’Istituto Minerario, con una tesi sulla “Progettazione strategica delle risorse regionali sotto la formazione dei rapporti del mercato”. (Putin più tardi è stato accusato dai suoi detrattori di aver “copiato” 16 pagine della sua relazione da un saggio di “progettazione strategica” pubblicato da due esperti statunitensi l’anno precedente). Comunque non è sicuramente un incolto, sia per gli studi di perfezionamento fatti mentre era in forza al KGB, che per l’esperienza e le relazioni intrattenute mentre era a Dresda con la copertura come “interprete”. Ufficialmente non è stato mai impegnato come “agente operativo”. Il suo compito specifico era quello di “redigere rapporti” che passava ai suoi superiori ed in cui metteva in mostra le sue abilità di analisi e di “sistematizzazione”. Putin rassegnò le dimissioni dal KGB il 20 Agosto 1991, dopo il golpe contro Gorbacev tentato proprio dai vertici del KGB.
Tuttavia, a proposito del servizio nel KGB, i suoi biografi riportano: “Dopo la caduta del Muro a Berlino, il 9 Novembre 1989, Putin era rimasto l’ufficiale più alto in grado nella sede di Dresda, perché il suo superiore si era dato alla fuga”. La folla inferocita aveva prima dato l’assalto alla sede della STASI, la sanguinaria polizia segreta della DDR, e successivamente voleva assalire anche la sede del KGB, che è vicinissima (in un mio recente viaggio in Germania ho visitato i luoghi della STASI e del KGB a Lipsia e Dresda).
Secondo il resoconto ufficiale: “Putin uscì nel cortile armato di pistola per fermare i manifestanti i quali, dopo aver invaso la sede della STASI, volevano assaltare anche la sede del KGB. Si qualificò come interprete e spiegò che quello era territorio sovietico, riuscendo a convincere la folla a non scavalcare il muro di cinta”. Si riferisce che disse: “Ho 12 pallottole. Una la lascio per me. Ma comprendete che è mio dovere. Dovrò sparare su di voi se provate a scavalcare”. In realtà, la folla inferocita fu dispersa dall’esercito russo intervenuto a difesa della extraterritorialità della sede, assimilata all’Ambasciata.
Si tratta di uno dei tanti episodi, non si sa quanto “romanzati”, che sono stati utilizzati per alimentare l’immagine di un Putin duro, coraggioso, inflessibile, con alto senso del dovere, che è stata diffusa per generare attorno al leader una sorta di “culto della personalità”. Del resto Putin è noto per la sua passione per le arti marziali. È stato campione di judo di San Pietroburgo (cintura rosso-bianca, 8° dan) ed anche di karatè. Alto 1 m e 70 cm, attualmente pesa 77 kg, ma ha sempre tenuto a dimostrare di mantenersi in ottima forma fisica, con attività e coordinazione muscolare al top (tutto l’opposto degli “autistici”, muscolarmente scoordinati). Ha sin da ragazzo seguito uno stile di vita salutare.
Non beve (è astemio), non fa uso di droghe, si mantiene quotidianamente in perfetta forma fisica: nuota, fa ginnastica, ha giocato ad hockey sul ghiaccio fino a 63 anni. E’ di questi giorni la notizia che sia affetto – sembra da 4 anni secondo una fonte russa indipendente – da cancro della tiroide. La forma più frequente di tumore maligno della tiroide , il carcinoma papillifero, che rappresenta oltre l’80% dei casi, ha un’ottima prognosi e, se diagnosticato in tempo, trattato chirurgicamente con tiroidectomia totale ed eventuale terapia complementare con radio-Iodio, consente una lunghissima sopravvivenza ( oltre 10-20 anni). Le fonti ufficiali del Cremlino hanno smentito la notizia, perché il leader affetto da tumore può suscitare illazioni circa l’appropriatezza delle sue decisioni
Comunque per tutto ciò che riguarda la vecchia URSS e l’attuale (Federazione Russa è sempre difficile distinguere la verità dalla propaganda. E soprattutto le notizie sulle condizioni di salute del capo politico sono sempre circondate dal massimo riserbo.
Finita l’esperienza col KGB, Putin e la moglie tornano a Leningrado, che ha cambiato nome in San Pietroburgo. Lui viene immediatamente coinvolto in politica, mentre la moglie insegna tedesco al Dipartimento di Filologia. I due si separeranno nel 2013. Lei si è successivamente sposata con un imprenditore russo di 20 anni più giovane , ma pare che il matrimonio sia durato solo dal 2015 al 2016, mentre lui ha avuto una serie di relazioni, tra cui anche una con una spia, Anna Chapman. Si vocifera che abbia avuto una terza figlia da Svetlana Krinogovich ed una quarta figlia ed una coppia di gemelli maschi, nel 2019, con Alina Kabaeva , ex olimpionica, medaglia d’oro di ginnastica ritmica, 36enne all’epoca della gravidanza plurima (Campbell M “Kremlin silent on reports Vladimir Putin and Alina Kabaeva,”, his secret first lady, have had twins”. The Times, 26 May, 2019.La carriera politica di Putin è stata travolgente. Ritornato a San Pietroburgo, è stato inserito nella Sezione Affari Internazionali dell’Università statale. Grazie ai pregressi rapporti instaurati all’epoca degli studi universitari, rafforza i legami con un suo docente, Anatolij Sobcak, che era diventato nel frattempo Sindaco di San Pietroburgo. Putin diventa Vicesindaco di San Pietroburgo e si candida come deputato. Mentre è a San Pietroburgo rinsalda i rapporti con personaggi importanti, come il CEO di Gasprom, ed altri oligarchi che costituiranno la sua cerchia ristretta.
Chiamato a Mosca da Eltsin, nel 1998 viene nominato capo della FSB (agenzia succeduta al KGB), ruolo che tiene per 1 anno, oltre che membro permanente del Consiglio di Sicurezza. Si distingue come Presidente della Commissione per la Limitazione del potere delle Regioni, voluta da Eltsin e si impegna a far firmare un decreto che di fatto grazia gli ex presidenti prosciogliendoli da accuse giudiziarie (Eltsin era sospettato della creazione di un enorme patrimonio personale segreto all’estero). Nel frattempo acquisisce crediti, perché aiuta Eltsin a difendersi dai suoi nemici ed oppositori, senza remore nell’uso di mezzi “atipici” per eliminarli. Il principale critico ed accusatore di Eltsin, il Procuratore Generale di Russia Jurji Skuratov, che indagava su fondi neri, conti segreti in Svizzera e carte di credito riconducibili a Eltsin e alle figlie Elena e Tatiana, è condannato anche grazie ad un video prodotto in giudizio da Putin, in cui si vede un uomo nudo (somigliante al Procuratore) con due donne, durante un’orgia offerta in premio per facilitazioni concesse agli oligarchi russi.
(Pare che anche Trump, durante un suo viaggio a Mosca, prima che entrasse in politica, quando era già comunque un tycoon famoso, sia stato filmato a sua insaputa in un albergo di Mosca in pose hard). Per indubbie capacità come leader e per “servizi resi” comunque Eltsin nomina Putin Primo Ministro nell’Agosto 1999 e suo successore, come Presidente vicario il 31 Dicembre 1999 (all’età di 47 anni).
Da Presidente vicario vince le elezioni a Presidente della Federazione Russa che si tengono anticipatamente nel Marzo 2000, sbaragliando i due possibili concorrenti più pericolosi. Da allora è stato eletto per 4 volte Presidente della Federazione russa, l’ultima volta per 6 anni nel 2018, col 76% dei consensi. Il suo mandato scade nel 2024. Nel frattempo supera i problemi di incompatibilità nella successione di più mandati, accontentandosi del ruolo di Primo Ministro dal 2004 al 2008, facendo eleggere Presidente della Federazione Russa il fedele Medvedev, ma avocando a sé i poteri più importanti e lascando la politica estera nelle mani del fedele ministro Lavrov.
Nel 1999 si trova a fronteggiare i ribelli in Cecenia, facendosi notare per la fermezza della sua repressione nel sangue. Nel 2001, dopo l’attentato alle Torri Gemelle di New York, è stato il primo a telefonare al Presidente americano Bush e ad esprimere la sua solidarietà e il suo appoggio incondizionato al contrasto del terrorismo islamico.
Nel 2008 ha represso nel sangue la rivolta nella Georgia con la creazione degli stati indipendenti dell’Ossezia e dell’Abkasia, mentre è poi intervenuto pesantemente nel 2015-2016 nella guerra in Siria salvando dalla deposizione Al Assad e distruggendo con raid aeri le forze nemiche dopo averle ridotte allo stremo.
Putin ha eliminato in patria numerose libertà civili e pianifica da oltre vent’anni la ricostruzione della “grande Russia”, cioè qualcosa che abbia i contorni geografici dell’impero degli zar. In particolare tollera malvolentieri che ci sia in Ucraina o Bielorussia un governo diverso da quello che egli stesso ha instaurato a Mosca.
Questo è in breve il Putin, impegnato in numerose guerre guerreggiate, che ci viene consegnato dalle notizie ufficiali. Il Putin meno noto è proprietario di una enorme villa vicino a San Pietroburgo e di una enorme dacia a Gelendzik, sul Mar Nero. Un finanziere americano ha dichiarato che Putin è l’uomo con il maggior patrimonio personale al mondo, patrimonio che supera i 200 miliardi di dollari. Ma questo patrimonio è per il momento molto ben occultato.
Secondo il vecchio presidente ucraino Poroshenko, Putin è un “pazzo”, che ha ormai perso l’auto-controllo. Odia il mondo occidentale e i valori europei; pensa che l’Europa sia debole, che gli europei siano deboli, e che i valori europei siano valori “deboli”.
Un giudizio opposto proviene dal capo della CIA, l’Agenzia di intelligence americana. Putin “non è pazzo”. Al contrario, è un uomo molto determinato, metodico, lucido, sistematico, che pianifica con cura e per tempo tutte le sue mosse, valutando attentamente i “pro” e i “contro”. Pertanto, bisogna prenderlo molto sul serio.
Infine, secondo la valutazione effettuata dallo psicologo Jerrold Post, del Centro per l’Analisi della Personalità e il comportamento politico della CIA, Vladimir Putin è “un narcisista, un dittatore brutale senza regole, con una natura di calcolatore estremo, costantemente alla ricerca di meticolose giustificazioni pseudo-legali per le sue azioni. Il Presidente Russo è “ossessionato” dalla mascolinità, dall’altezza, dalla forza e dal potere. In particolare, la sua preoccupazione per l’altezza e la forza rappresentano una sorta di iper-compensazione per la sua insicurezza di fondo”.
Putin non è un “pazzo”, se a questa etichetta si vuole associare la connotazione di uomo “fragile”, caratterizzato da debolezza strutturale intrinseca, che ha bisogno continuamente di essere rassicurato, o dell’aiuto di farmaci e terapie di supporto psichiatrico per superare le crisi paranoiche. No.
Putin è ben saldo e corazzato nella sua struttura, in cui sono presenti poche “crepe”. È un “folle”, ma un folle “visionario” che ha una “sua” visione, che è diversa da quella della maggior parte di coloro che vivono in Europa o che fanno parte del mondo anglosassone.
Putin, sulla base dei criteri di valutazione usati in questo saggio, rientra a pieno titolo nella categoria dei folli, degli “uomini soli al comando”.
Proprio perché è al potere da ventitré anni, Putin è riuscito a creare un certo livello di empatia con il suo popolo di seguaci e sostenitori. Non sarà seguito da tutta la Russia. Ha molti contestatori o gente che lo odia, come odiano Trump negli USA o come in Italia, in maniera più “soft” e più attenuata, risultava inviso e odiato Berlusconi.
In più Putin ha consolidato attorno a sé un potere personale, per cui può permettersi di far arrestare in un sol giorno 4000 contestatori, che avevano semplicemente osato scendere in piazza e protestare contro la guerra. Cosa che né Trump, né Berlusconi, eletti rispettivamente Presidente e Premier in due democrazie di diritto, potevano fare. Anche se a livello di “struttura organismica personale” lo avrebbero “desiderato”.
Deporre Putin, o “costringerlo” a ritornare sui suoi passi non è facile. Ma, soprattutto, se anche i suoi seguaci decidessero di “farlo cadere”, è molto verosimile che chi prenderà il suo posto, anche se diverso per tratti personali e somatici, avrà caratteristiche simili a lui. Sarà un altro capo carismatico a cui i russi potranno chiedere “Facci sognare”. Putin incarna questo sogno presente in molti suoi supporter, per cui, attraverso il comunismo, la Russia era diventata alla fine della seconda guerra mondiale una delle maggiori potenze del mondo. Aveva vinto la guerra ed estendeva la sua influenza dall’Europa al Pacifico, dal Mar Nero al Mar Baltico.
Putin, interpretando questo sentimento, che lo accomuna a molti altri russi, non vuole rinunciare, dopo le umiliazioni seguite allo smantellamento dell’Unione Sovietica, al compito (desiderio, illusione?) di riunificare in una stessa grande nazione (anche se con gradazioni diverse di autodeterminazione e indipendenza relativa) tutti i popoli che parlano la stessa lingua o sono accomunati da secoli da una stessa cultura.
E per questo che, dal “punto di vista fisiopatologico”, piuttosto che chiamare a consulto psichiatri per una “cura” a distanza di Putin, è opportuno tentare di “entrare nella sua mente”, penetrare nel suo cervello, che è tutt’uno col suo organismo, per provare a capire attraverso la “teoria della mente” o il funzionamento dei suoi “neuroni specchio”, quali potrebbero essere le sue mosse ed i suoi comportamenti futuri.
Avendo ben chiaro in mente che non si può sperare in una pace duratura se non si capisce appieno la sua “visione”. Che è condivisa da molti altri. Dai Russi sedotti dal suo carisma, i quali in ben 2 referendum successivi, nel 2004 e nel 2008, alla domanda, “preferireste vivere in un paese molto grande, rispettato e temuto dagli altri paesi, (ma con meno soldi a disposizione), o in un paese piccolo, prospero, ma innocuo?”, hanno risposto in larga maggioranza (75%) a favore della prima opzione. Ma anche dalla Cina e dall’India, che sono a favore di una visone del mondo “multipolare”, in cui il ruolo di guida spirituale ed economica degli Usa e dell’Europa sarà necessariamente ridimensionato.
Putin si può fermare con la forza o la deterrenza. Ma perché la pace non sia solo una perenne “tregua armata”, o una nuova lunga “guerra fredda”, bisogna provare a capire, (e in un certo senso, a rispettare) il pensiero di milioni di russi che sono in sintonia con la sua visione e che lo supportano.
L’approccio fisiopatologico può essere di aiuto in questo caso, perché permette di interpretare anche visioni, modi di pensare che sono diversi dal nostro, e addirittura inquadrare e dare una nuova lettura anche a movimenti di pensiero che hanno avuto un grande impatto nel corso della storia, come ad esempio il Romanticismo, che nasce in opposizione all’Illuminismo e al razionalismo settecentesco. Questi movimenti potrebbero essere considerati non solo come eventi “localizzati”, collocabili in una ben precisa cornice temporo-spaziale, ma come espressione di caratteri, atteggiamenti, comportamenti, scelte motivazionali, che esistono e continuano ad esistere e a coesistere nell’uomo, anche all’interno di un singolo individuo.
Ad esempio, è possibile interpretarli come espressione della “doppia anima” maschile e femminile del corpo umano – come direbbero gli psicanalisti o gli psicologi alla Jung – oppure di forze e meccanismi contrapposti, ma conviventi all’interno di ciascuna struttura organismica, come propongo io in questo saggio.
Romanticismo vs. razionalismo; le ragioni dell’individuo in confronto a quelle della società; il nazionalismo, o l’attaccamento alla singolarità delle radici linguistiche e culturali in contrapposizione a regole e principi universali.
Le scienze del corpo umano dimostrano che i due aspetti o modalità di comportamento possono convivere in simbiosi. A seconda dei momenti della vita del singolo, piuttosto che dei momenti storici, si può privilegiare o far prendere il sopravvento all’uno o all’altro, ma sono due “anime” entrambe presenti, in quanto la loro coesistenza è possibile anche all’interno dello stesso organismo, così come è possibile talvolta il viraggio da animo “romantico” ad animo “razionale” e viceversa.
Il Romanticismo storico, che ebbe il suo apice nelle prime decadi dell’Ottocento, si caratterizzò per l’entusiasmo nei confronti di tutto ciò che è passione, impulso, soggettività, e costituì una spinta verso la ricerca incondizionata della libertà, tanto degli uomini, quanto dei popoli. In questo senso fornì le basi ideali per la nascita dei nazionalismi e delle “patrie”.
Durante l’Illuminismo sia i pensatori che gli artisti avevano forgiato una cultura con una “vocazione universale” basata su codici comprensibili in tutto il mondo, qualunque fosse il luogo di provenienza. Qualcosa di simile alla moderna “globalizzazione” con progressiva acquisizione di gusti, modi di essere, stili di vita il più possibile uniformi. Per i romantici, invece, l’importante era l’individuo, ma con lui assunse importanza anche la nazione in cui era nato, intesa come la comunità di uomini che erano uniti da una lingua, una cultura, una religione, dei costumi e anche un’etnia comune. Per questo i romantici dedicarono anima e corpo alla ricerca di leggende e miti popolari, costumi, tradizioni ed aspetti folcloristici, fiabe ed epopee in cui rintracciare l’origine comune, ma anche da utilizzare per produrre nuove rappresentazioni, drammi od opere teatrali.
I “Discorsi alla nazione tedesca” di Fichte, o le opere di Von Herder, contrappongono il concetto di “Volkstum” (nazione-popolo) a quello di Stato, quest’ultimo visto come una “creazione artificiale”. Uno degli argomenti più saldi dei discorsi di Fichte era proprio quello della “lingua”, considerata il risultato di una elaborazione profonda dell’ “anima collettiva” che era possibile tracciare fino alle origini, e costituiva quindi un potente “elemento di coesione nazionale”. “Tutti gli individui che parlano la stessa lingua sono uniti sin dall’inizio da legami indivisibili”.
La minaccia che comportava per l’Europa il dominio napoleonico, nonostante la concomitante spinta alla libertà e all’autodeterminazione attraverso una rivoluzione simile a quella francese, metteva in pericolo la “singolarità” delle sue culture. L’opera di Fichte costituì pertanto una chiamata alla difesa non solo della nazione tedesca, ma di qualunque nazione sottomessa, contro le “intromissioni” straniere.
È possibile che Putin intenda farsi passare come un “eroe romantico”, il difensore dell’integrità della nazione russa – unita dalla medesima lingua- minacciata dall’invasione degli stranieri, che non solo parlano un’altra lingua ed hanno altri costumi, ma sono per giunta espressione del “capitalismo sfrenato” di matrice americana. Nella sua “visione” si tratterebbe di un tentativo estremo di difesa come quello contro le armate di Napoleone o quelle della Germania nazista durante la seconda guerra mondiale.
Non si tratta di prendere in considerazione un anacronistico ritorno all’eroe romantico, quello che fa della propria vita la sua opera più importante, che mette in primo piano la lingua comune, la nazione, piuttosto che la distinzione ottocentesche tra “nazione” come espressione del Volkgeist (spirito del popolo) e “Stato” come insieme di confini territoriali, o di difendere a spada tratta il principio “una lingua, una cultura, una nazione”.
Fermare le lancette del tempo per permettere un ritorno all’Ottocento può sembrare illogico dal punto di vista storico. L’approccio fisiopatologico dimostra però che questa componente dell’organismo umano è tuttora ampiamente rappresentata, non solo in Putin e in Trump, ma nei milioni di strutture organismiche che si fanno “sedurre” da questo tipo di leader. Anche oggi, nel 2022. Io intendo mettere in guardia dalle facili illusioni e invito alla cautela.
Molti ucraini, sollecitati da motivazioni economiche e dai possibili aiuti fatti trapelare dall’Occidente vorrebbero entrare da subito nella Comunità Europea. Non va dimenticato che fino al 1988 il PIL pro capite delle repubbliche dell’Est era simile. Attualmente, mentre il PIL/ab dell’Ucraina è rimasto a 2.194 $ USA (dati del 2016), quello di nazioni entrate nella UE e nel sistema dell’Euro, come la Romania, la Polonia, l’Ungheria, la Cechia e la Slovacchia è salito rispettivamente a 9465, 12.316, 12.778, 18.286 e 16.499. La Germania Est si è fusa con la Germania Ovest, ma il gap di 3 generazioni di vita comunista è stato pagato dai tedeschi. Il gap per portare l’Ucraina ad un PIL simile a quello della Polonia o della Cechia sarà pagato da noi, che non avremmo in futuro più aiuti comunitari per il nostro Sud, perché i contributi della EC andranno tutti alle regioni più disagiate dell’Ucraina, che hanno bisogno di adeguarsi al nuovo standard. Anche questo è uno scenario da aver chiaro in mente.
Però, non basta dire che la “coscienza soggettiva” non esiste perché non è spiegabile con le leggi universali. Analogamente non si può liquidare l’afflato romantico presente negli uomini del XXI secolo che vogliono “accomunare” – talora anche con la forza e la sopraffazione – le popolazioni che parlano una stessa lingua, sostenendo sbrigativamente che questo è inaccettabile, perché bisogna privilegiare l’autodeterminazione dei popoli. Addirittura, dal punto di vista formale, alcuni arrivano a giustificare l’annessione della Crimea alla Russia, solo perché c’è stata una “votazione popolare”, così come una libera elezione ha portato col 75 % dei voti all’elezione di Zelenski, che prometteva il progressivo avvicinamento dell’Ucraina all’Occidente con l’ingresso a breve prima nella Unione Europea e poi nella NATO.
Anche le libere elezioni o i plebisciti sono spesso alterati da emozioni o situazioni contingenti. Il plebiscito per l’annessione della Crimea si è tenuto mentre erano ancora presenti i carri armati russi.
Non va dimenticato però che la Crimea è sempre stato un territorio della Russia ed è stata unita “tecnicamente”, per continuità territoriale, alla “repubblica ucraina”, che faceva parte dell’URSS, solo nel 1954, per espresso volere del Cremlino. Ma anche l’elezione di Biden negli USA è frutto di un “cartello anti-Trump”, rafforzato dalla comparsa improvvisa degli effetti negativi della pandemia da Covid -19. A distanza di un anno, Biden non otterrebbe nemmeno la metà dei voti che ha preso a Novembre 2020. Perché la maggioranza dei cittadini americani non voleva un Presidente privo di nerbo e carisma a capo della nazione più potente della terra. Ma hanno avuto il sopravvento le “pulsioni” del momento.
Quindi l’autodeterminazione dei popoli sembrerebbe un logico principio universale. Ma io sono “scettico” nei confronti dell’applicabilità all’uomo di qualsiasi legge universale e, soprattutto della estensione dello stesso tipo di governo (ad esempio una democrazia simile a quella americana) al giorno d’oggi e contemporaneamente a tutte le macroregioni della terra, che hanno diverse storie e culture e che stanno attraversando momenti diversi di sviluppo ed evoluzione.
Io sono contro il “dogma della democrazia” come miglior governo per definizione, come se si trattasse di una legge universale. Per me questo dogma è uguale a quello del credo nei dogmi della religione da parte di molti fisici, biologi, “scienziati delle origini”, che a mio parere non sono sufficientemente scettici e, nonostante il dichiarato “ateismo”, si rivelano adoratori in realtà del Dio Bayes o del Dio Darwin.
Io sono a favore dell’aristocrazia del “sapere critico”. Uso il termine “aristocrazia”, sulla base dell’evidenza fisiopatologica che il sapere critico non è posseduto da tutti alla stessa maniera, ma solo da una minoranza. Se volessi essere più vicino ad una espressione “politically correct”, e mantenere il termine democrazia, potrei usare la locuzione “democrazia degli aventi sapere critico”.
Ma la sostanza non cambia. Non è il numero che deve prevalere ad ogni costo. Non dobbiamo farci guidare come legge universale dal criterio “1 uguale ad 1”, perché siamo tutti uguali, in quanto figli dello stesso padre e discendenti dallo stesso antenato comune, quando le “scienze del corpo umano” dimostrano l’opposto, cioè che siamo tutti diversi.
Alla scala “umana” l’universalismo “non funziona”. Né quello delle leggi della fisica e della chimica, né quello della democrazia basata esclusivamente sul numero, senza tenere conto della qualità, cioè dei “qualia” e della capacità di “sapere critico”, o della diversa distribuzione della saggezza e della creatività tra i vari individui.
La mia è una ferma condanna “senza se e senza ma” all’occupazione armata dell’Ucraina da parte dell’esercito russo, cioè di una nazione militarmente più forte, che sa di poter contare sulla neutralità e il non intervento dell’unico avversario in grado di contrastarla dal punto di vista militare, cioè la NATO.
Pertanto si può proseguire con l’inasprimento delle sanzioni economiche, con l’invio di armi. (Ma ci vorrebbero caccia dotati di missili sofisticati e moderni bombardieri in gran numero per contrastare efficacemente l’esercito russo già schierato).
Ma non si può pensare, come pure si illudono i milioni di cittadini scesi a manifestare nelle piazze del mondo, che sia sufficiente sventolare le bandiere arcobaleno, o non comprare più il gas da Putin, o limitarsi a perseguire come unica strada gli incontri della diplomazia e i canali di pace.
Putin accetterà di concedere i corridoi umanitari, perché non è uno stupido, ma è uno che sa far bene i suoi calcoli, ed è il leader con la maggior esperienza personale di guerre al mondo. Tra la guerra in Afghanistan, quella in Cecenia nel 1999, quella in Georgia del 2008 e quella in Siria ha nel frattempo ordinato la repressione nel sangue di decine di rivolte.
Ma non è un “serial killer” e nemmeno un sociopatico assetato di sangue. Facilita i corridoi umanitari, in maniera da far evacuare donne e bambini dalle città, per poi bombardare gli edifici e gli uomini che sono “volontariamente “ rimasti a combattere, dall’alto, con gli aerei e i missili senza alcun contrasto e con i mortai a distanza, evitando di fare la guerra in città, la guerriglia urbana, allo scopo di limitare le perdite tra i suoi soldati, ed entrando con i carri armati e le truppe di occupazione terrestri solo a cose già fatte (come ha già sperimentato in Cecenia e in Siria).
Putin ha una personalità lucida, sistematica, di quelle che Simon Baron-Cohen nel recente “I geni della creatività umana. Come l’autismo guida l’invenzione umana”, (Raffaello Cortina, 2021) fa rientrare all’interno dello “spettro dell’autismo”, simile a quella di Kim Peek, Solomon Sherevensky, Daniel Tammet, ma anche simile a quella di grandi inventori, come Thomas Alva Edison, anch’egli malato, e affetto da sindrome di Asperger.
Edison aveva scarse attitudini e capacità sociali, lavorava in maniera maniacale 18 ore al giorno, mangiava e dormiva nel suo laboratorio, non si lavava quasi mai; usava un “processo esplorativo sistematico”, era dotato di una mente super-sistematizzante, che gli permetteva di provare in breve tempo ogni variabile, scartare quelle che non funzionavano e cercare di prevedere in anticipo il più possibile, utilizzando schemi del tipo “se-e-allora” (vedi Baron-Cohen, 2021).
Anche Putin appare poco empatico, per nulla “commosso” dalla sofferenza degli altri, inclusi giovani militari russi, i propri amici o familiari, tutto preso com’è dal conseguimento della sua “mission” che è quella di riprendersi quello che nella sua visione “distorta” gli è stato portato via e che invece gli tocca (a lui in quanto difensore dell’unità della nazione russa). Ma se vale il paragone con Edison, è verosimile che abbia valutato fino in fondo prima tutte le possibili opzioni, e quanto a capacità di “sistematizzazione”, dovrebbe essere secondo a pochi.
Putin è perfettamente cosciente che le armi di difesa e offesa della Russia sono “datate”. Le moderne le testate nucleari sono più piccole e meno potenti, ma si possono guidare con estrema precisione sul bersaglio, soprattutto se sono lanciate da sommergibili nucleari e portaerei. Il primo gap che deve colmare con gli USA, ma anche con la Cina, è proprio quello che riguarda la dotazione di portaerei, e sommergibili con le tecnologie più sofisticate. E per far questo ha bisogno di porti aperti tutto l’anno. La Russia, per poter competere con le altre superpotenze e rimettersi al passo con le tecnologie “up-to-date”, ha bisogno di riprendersi i porti del mare di Azov, che fino al 1990 erano suoi. Mariupol, anche se non riesce a conquistare Odessa, ha disperato bisogno di conquistare Mariupol,(mentre distrugge sistematicamente tutti gli edifici, sta salvaguardando con accuratezza il porto e le strutture portuali) e la fascia costiera, e di “russificare” la popolazione, in maniera da prevenire future rivolte e rendere il mar d’Azov un mare interno su cui progettare la ricostruzione di basi navali all’altezza di una delle 3 superpotenze mondiali. Altrimenti ha fallito. Spende quasi la metà del Pil in armamenti, ma solo con i carri armati e i bombardieri, e senza essere competitivo sui mari, comprende benissimo che sta perdendo tempo e risorse. E questo è un ragionamento lucidissimo, messo a punto dal 2000, da quando ha preso il potere. Putin non è “impazzito” all’improvviso. ha solo atteso la situazione e il momento più favorevole per far ridiventare la Russia una grande potenza navale.
A questo punto c’è da chiedersi che cosa vogliano fare veramente gli Stati Uniti d’America.
Sicuramente avere in questo momento un Presidente debole, che non ha “carisma” e che nessuno vuole più, nonostante il consenso popolare ottenuto un anno fa, non giova né agli USA, né all’Europa, né al mondo occidentale. Se lo scopo di Biden è solo quello di “tirare a campare”, senza prendere decisioni, perché teme le possibili conseguenze, tra breve sarà costretto a fronteggiare il tentativo di invasione di Taiwan da parte della Cina, sempre nell’ottica secondo cui “la pace a parole la vogliono tutti” alla stessa maniera, ma appena una parte è sicura che la controparte non interviene, o pensa di avere il sopravvento, prende con la forza quello che desidera da tempo.
Quindi la prima cosa da fare, per preservare la pace, è garantire agli USA nell’immediato futuro un capo politico e militare carismatico e in grado di prendere decisioni difficili e di usare tutto il potere di “deterrenza” che l’America ancora detiene. È possibile invece che Biden speri che Putin si “impantani” in Ucraina, come è successo in Afghanistan. Ma questo richiede tempi lunghi. E soprattutto mesi di guerra guerreggiata, in cui gli ucraini verrebbero usati strumentalmente, in maniera più o meno deliberata, alla stregua di “vittime sacrificali”.
Anche questo va detto con chiarezza e senza false ipocrisie.
Nell’attuale situazione, però (e con questo smetto di fare il commentatore di eventi politici, ma si tratta di fatti che interessano il mondo e quindi direttamente anche me, come tutti, e perciò non è “umano” voltarsi dall’altra parte!), se non interviene pesantemente la NATO, la scelta immediata è tra limitare le perdite alle decine di migliaia attuali, oppure alimentare a dismisura il “fiume di sangue” aumentando i morti fino a centinaia di migliaia. Il dubbio riguarda solo questo aspetto numerico. Non l’esito della contesa sul campo, che ormai è già scritto.
Pertanto, a prescindere dalla retorica e dalle narrazioni, tra chi si intesterà la vittoria, e chi è stato costretto ad arrendersi, l’unica via concreta per limitare lo scempio di vite umane in questa fase è dividere il territorio ucraino in due, attribuendo a Putin quelle città e quelle regioni che ha già conquistato, come la Crimea, il Donbass e un corridoio sul mare tra Crimea e Russia, siglare una tregua quanto prima, e porre fine per il momento alla morte e alla distruzione.
Del resto tutte le guerre si sono concluse con tregue e compromessi, che di volta in volta hanno stabilito la “divisione” della Corea, quella del Vietnam, e prima ancora quella dell’impero napoleonico, dell’impero austro-ungarico, o dell’impero ottomano.
Di recente, in maniera pacifica, si è verificata in Europa la divisione tra Cechia e Slovacchia.
Firmare quanto prima una tregua riduce il sacrificio inutile di vittime innocenti. Ma soprattutto aiuta a “prendere tempo”. Frattanto la Germania si arma e si dota di armi nucleari, di caccia, bombardieri e missili sofisticati, e l’Europa segue l’invito di Trump a “triplicare” la percentuale di PIL da destinare alle spese militari per una difesa più efficiente, ovviamente sottraendo risorse al sociale o ad altri tipi di investimenti pubblici. Giova ricordare, a questo proposito, il coro di riprovazione e le rimostranze da parte tutti gli europei dopo le iniziali dichiarazioni di Trump a proposito dell’aumento della spesa europea per la propria difesa; ora d’improvviso tutti hanno scoperto che non c’è alternativa!
Nel contempo Putin, come tutti gli organismi umani, invecchierà (ha 69 anni, forse è affetto da un cancro della tiroide), e prima o poi sarà sostituito. Ma non certo da un leader filo-occidentale e forse nemmeno da uno che attuerà una politica più favorevole all’Europa, come hanno insegnato le “deposizioni” con eliminazione fisica di Gheddafi e Saddam. Ma sicuramente si sarà ridotta nell’immediato l’entità di una carneficina.
Oppure si può anche provare a condannare Putin per “crimini di guerra” in un nuovo “processo di Norimberga”. (Ma prima bisogna prenderlo prigioniero, sconfiggendolo militarmente!)
Quello che io provo a sottolineare è che se si aspira ad una pace duratura, bisogna sforzarsi di “comprendere” anche una “visione” come quella di Putin, che continua a far parte della “struttura organismica” dell’uomo del XXI secolo. E agire di conseguenza. Prendendo le giuste contromisure. Non “indignandosi”, o affermando che un simile comportamento, o simili pensieri, non possano esistere nell’uomo, o semplicemente sventolando le bandiere della pace.
Nel nostro organismo ci sono 6 circuiti che “modulano” le nostre scelte motivazionali partendo dal cervello viscerale ed uno solo che lo fa con il ripensamento e la razionalità. Se il corpo umano aumenta di peso, e tende verso la sindrome dismetabolica quando non fa “attività fisica” e non consuma le calorie che una volta erano necessarie per procurarsi il cibo, essendo la struttura organismica uguale a quella dell’uomo delle caverne, non si vede perché l’uomo contemporaneo, che è rimasto invariato per struttura funzionale e metabolica, debba smettere all’improvviso di pensare innanzitutto alla propria sopravvivenza e ai propri interessi e diventare di colpo razionale, generoso ed altruista. Per una sorta di “contagio della razionalità” che, come sostiene Sloterdjik, ma anche Carroll, si potrebbe diffondere come un contagio virale.
La coscienza soggettiva, la formazione del “self” sono diverse nell’uomo e nelle formiche, e non solo per gli 83 miliardi di neuroni dell’uomo in confronto a 960.000 delle api, ma anche per i 360 circuiti funzionali del resto del corpo. Queste differenze sono importanti.
In particolare, nell’emergenza della “coscienza soggettiva”, oltre ai genitori e ai familiari, alla lingua appresa da bambino, sono fondamentali i ricordi legati alla casa natale, al giardino dell’infanzia, quello in cui si sono percepiti per la prima volta suoni, odori e profumi, così come le tradizioni e la cultura della terra di origine. È quello che si chiama “mindscape”, cioè il paesaggio della mente, che non include solo la reminiscenza dei luoghi, ma anche l’insieme, tutto ciò che fa parte della terra natale, che è unico, personale e sacro (per ciascun individuo, perché rappresenta le proprie “radici”. Io ritengo che le radici siano importanti e che valga la pena difenderle.
Non difendo invece Putin, che è un dittatore, e soffoca la libertà, né tantomeno il comunismo che ha portato la Russia alla situazione attuale.
Mio nonno ha combattuto come soldato americano in Francia durante la prima guerra mondiale e ha vissuto 50 anni negli USA. Quando è tornato in Italia nel 1958 ha voluto mantenere la cittadinanza americana e, stimolando il mio personale “circuito della ricompensa” con la promessa di ambiti regali, mi ha spinto ad imparare a memoria in Inglese, all’età di 12 anni, la Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America, che tuttora ricordo e talvolta declamo, come Tammet declama le cifre decimali di “pi greco”.
Mi sono formato professionalmente negli States a partire dal mio iniziale stage a Chicago nel 1977. Il mio primo “saggio autobiografico”, scritto oltre 10 anni fa e ancora mai pubblicato, è stato “Come mai il comunismo non ha vinto? Perché noi non siamo vermi”, in cui – al di là del titolo ad effetto – sostengo sostanzialmente le stesse tesi del presente saggio, perché il “verme” in questione è il “Chenorrhabiditis elegans” che, insieme con la “Drosophila melanogaster”, è il più frequente piccolo animale da esperimento in cui vengono comunemente effettuati gli studi biologici. Il problema sta nelle “inferenze”. Quello che si osserva nei vermi o nei moscerini, così come l’altruismo e il “comunismo” che si evidenzia nelle api o nelle formiche, (E.O. Wilson) non è “esportabile” all’uomo.
Queste sono notazioni e “ripensamenti” autobiografici che dovrebbero però sgombrare il campo da una mia possibile passata, presente o futura affiliazione al pensiero o al partito di Putin. Pur essendo un convinto assertore del liberalismo sociale, proprio grazie all’approccio fisiopatologico, non posso negare però che la “globalizzazione”, con la gestione dei principali canali della rete e delle piattaforme social da parte dei giganti del web USA, ha significato anche la tendenza verso l’ “omologazione collettiva” con l’acquisizione da parte di nazioni e culture “distinte e distanti” di alcuni valori (o disvalori) propri del mondo americano contemporaneo.
Il modello americano attuale vede la prevalenza in economia della finanza e dei “soldi fatti attraverso altri soldi” mediante la semplice speculazione o intermediazione bancaria o finanziaria, il che è diverso dal guadagnare attraverso l’innovazione, o l’investimento in un’attività industriale con incremento di beni, servizi e lavoro per tutti.
Ma il “modello americano” significa anche un aumento dell’ipocrisia, con la prevalenza dei diritti “gridati”, rispetto a quelli effettivamente garantiti e rispettati da tutti. Significa la tendenza sempre maggiore ad accettare – in ossequio alla difesa delle minoranze– regole che contrastano con la struttura dell’organismo umano e le sane “abitudini” della natura umana.
I dieci bagni diversi negli edifici pubblici di New York, uno per ogni “genere”, incluso i transgender, le manifestazioni sopra le righe dei vari “Gay pride”, l’amplificazione fino all’estremo di movimenti tipo “Me too”, la distruzione dei monumenti di Cristoforo Colombo e dei primi navigatori giunti in America, forse dovrebbero spingere verso una “pausa di riflessione” per chiederci se per caso non “abbiamo esagerato”.
Così come forse è eccessiva l’autoflagellazione di moda in alcuni ambienti americani, per cui il razzismo è una colpa che soltanto i bianchi devono ammettere, secondo la Critical Race Therapy, insegnata nelle scuole pubbliche. I bianchi devono espiare per il genocidio contro i nativi del Nord America, il razzismo contro la popolazione di colore, secondo quanto lamentano movimenti tipo Black Live Matters, o le requisitorie della sinistra “no border” di Alexandria Ocasio-Cortez, che accusa gli USA di tutte le ingiustizie planetarie. L’America è considerato l’unico “impero del male”, mentre quello che succede in Russia, in Cina, o in altre parti del mondo viene “derubricato” a quisquilia, in una sorta di sindrome auto-distruttiva della democrazia americana.
Bisognerebbe fermarsi un attimo e “resettare “ il sistema. Il pericolo più grave, a mio avviso, è la corsa sfrenata verso l’omogeneizzazione delle coscienze e il “pensiero unico”, corsa sapientemente guidata proprio con gli strumenti della teoria della mente e attraverso la capacità di “penetrare nel cervello” degli utenti e condizionare il pensiero degli altri, messa in atto scientemente e senza scrupoli dai gestori delle piattaforme informatiche.
Perché così pretendono i detentori del “politically correct”, coloro che ritengono di possedere l’esclusiva nel “dettare le regole” da seguire. Il pensiero unico è l’opposto del “sapere critico”. Non sempre più “moderno” significa progresso reale a livello di funzioni della struttura organismica. Al contrario, può significare più “dipendenza” dalle droghe o dal gioco, dai videogiochi, dai social, dai “like” o dal web.
Nel contempo, preservare le diverse “culture”, continuare a considerare come entità diverse la cultura europea e quella americana, quella cinese, quella indiana e quella russa può servire a mantenere la “biodiversità umana”, che è un valore, mentre l’omologazione “urbi et orbi” può diventare un disvalore.
Si fanno continui appelli per difendere la biodiversità vegetale del pianeta, con la preservazione della foresta amazzonica o con la protezione di alcune aree dell’Oceania, o dell’Africa, o anche delle regioni polari. Ma diventa un pensiero “esecrabile” agli occhi dei moderni “mâitres à pénser” preservare almeno un certo grado di “identità culturale”.
Questo non giustifica in alcun modo l’aggressione di Putin all’Ucraina, “costringendola” con la forza ad accettare la cultura e la tradizione della nazione russa, per giunta secondo la narrativa putiniana, e privandola di fatto di ogni libertà di decisione su quale strada di sviluppo intende autonomamente perseguire. Ripeto, non voglio certo fare di Putin un “eroe romantico” che lotta per la preservazione di una cultura, come quella russa, che si è costruita nei secoli attorno ad una lingua, con i suoi miti, le sue tradizioni, le sue pratiche religiose, il suo folklore.
Io mi limito a ciò di cui ho esperienza diretta, cioè il “corpo umano”. E sostengo che in pieno XXI secolo gli “impulsi animali”, le decisioni umorali, le scelte provenienti dal “cervello viscerale” sono tuttora prevalenti nella “scala” umana E bisogna “tenerne conto”. Pena il rischio di innescare reazioni dalle conseguenze imprevedibili.
Ma credo che anche queste singolari riflessioni sulla preservazione della “biodiversità”, da cui è nata a mio avviso la “sapienza matura”, con l’incrocio tra l’ Homo sapiens Etiope e il Neanderthal, contro il progetto di “omologazione” di tutte le menti, e l’assuefazione al “pensiero unico” e al “desiderio unico”, vadano tenute nella dovuta considerazione e meritino un’adeguato approfondimento.
In sintesi, l’aggressione all’Ucraina da parte della Russia va fermata. Ma non si tratta solo di condannare Putin, o di scendere in piazza per partecipare a manifestazioni pacifiste. Putin va bloccato, perché quella che si prospetta è una lucida strategia, che può includere il sacrificio di centinaia di migliaia di vite umane. Anche senza l’allargamento all’opzione nucleare.
Nessuna giustificazione per Putin, quindi, e nessuna possibilità per l’Occidente liberale e democratico di seguire interpretazioni che avallino le sue scelte. Ma provare a “penetrare nel suo cervello”, sapere in anticipo “quello che pensa” e “come” pensa, (analogamente a “quello che sente” e “come si sente” un artista creativo quando dipinge un quadro), può essere utile per ridurre la carneficina.
I dittatori come Putin vanno resi inoffensivi. Ma non ci si può illudere di “rieducarli”. Né “sognare” che non devono esistere perché, per effetto del contagio delle idee e della progressiva prevalenza nell’uomo della razionalità, siamo diventati di colpo tutti razionali, generosi e preoccupati della sofferenza altrui.
In pieno XXI secolo continuano ad esistere serial killer, pedofili inveterati, ma anche ludopatici, dipendenti da alcol, droga e da Internet, così come “folli” lucidi e “sistematizzatori”, esperti dell’arte del “Se-e-allora”, secondo quanto suggerito da Baron-Cohen per gli autistici .
Hitler era “malato”, ma malato era anche Churchill. Stalin era malato, ma malato era pure Roosevelt. Il presente saggio suggerisce che sono proprio questi i leader che hanno cambiato il corso della storia. Si tratta di individui “diversi”, malati, eccezionali, i quali presentano tratti fuori scala, comportamenti “sopra le righe”, poco commendevoli. I grandi capi non rientrano nella media, indipendentemente dal fatto – o meno- che coloro che si attestano “attorno ai valori medi” siano anche “mediocri”.
Putin presenta i suoi talenti, – associati ai sintomi delle sue malattie, che riguardano la scarsa compassione per gli altri- pienamente espressi già all’epoca del completamento dello sviluppo. E’ un “malato” e tale rimarrà. Va precisato però che se è diventato un dittatore capace di accentrare su di sé poteri così grandi, e di prendere decisioni incontrastate come quella di ordinare all’esercito russo di invadere l’Ucraina, questo è stato possibile grazie al regime comunista.
Infatti nelle democrazie occidentali nessuno, per quanto sia rimasto a lungo al potere, da Roosevelt a Reagan, da Churchill a De Gaulle, da De Gasperi a Berlusconi, alla Tatcher e alla Merkel, è mai riuscito a concentrare nelle proprie mani un potere paragonabile a quello di Stalin, Mao-Tse-Tung, Xi-Jin Ping, o per l’appunto Putin. Questo va ricordato non solo ai filo-Putiniani e agli esperti di geopolitica, ma anche ai molto più numerosi nostalgici sostenitori della “lotta di classe” rivoluzionaria come strumento per la vittoria del proletariato. Tra i pensatori della sinistra, che si ergono a moderni “maitres à pènser”, ci sono molti che difendono a spada tratta il pensiero autentico di Marx, Engels, Gramsci e Lenin e vedrebbero di buon occhio il comunismo nella versione originale da questi propugnata come il modello ideale per risolvere le criticità del mondo contemporaneo.
Il comunismo è una pericolosa illusione, che ha assunto spesso i caratteri di una religione dogmatica. Per quanto desiderabile a livello utopico, (tutti gli uomini di una comunità mettono in comune e condividono i propri beni e le proprie risorse) presenta due aspetti che cozzano con quanto sostenuto in questo saggio: 1) pretende di essere universale (l’internazionale comunista) e abbiamo visto che tutto ciò che è universale non si applica bene al singolo organismo umano: 2) proprio perché impone la “redistribuzione forzata” delle risorse che ciascuno è in grado di guadagnare a livello individuale (contrariamente ai principi dello Stato liberale “leggero”, dove “you are on your own”, ognuno deve rimboccarsi le maniche da solo, e chi lavora di più, guadagna di più e sta meglio), mira all’egualitarismo obbligato (a ciascuno secondo i propri bisogni, da ciascuno secondo le proprie possibilità.)
Il comunismo ha necessità di un governo centralizzato e gerarchico, di uno Stato forte che redistribuisca, togliendo a chi ha di più, per renderlo uguale a chi possiede di meno, anche se ha meno voglia di lavorare, è meno dotato di talenti, o ha una fragilità strutturale costitutiva, oppure semplicemente ha messo al mondo 10 figli, mentre un altro ne ha solo uno. E questo nessun individuo è disposto a farlo “spontaneamente”, perché è contrario alla “natura umana”. Bisogna convenire pertanto che, se non fosse stato il frutto di un regime nato per l’applicazione al mondo reale del comunismo, che deve essere necessariamente accentratore ed autoritario, Putin non sarebbe mai diventato un dittatore con un potere così smisurato.
In definitiva, sapere meglio come “siamo fatti dentro” aiuta. Lo studio con le metodologie delle “scienze del corpo umano” serve proprio a questo. A fronteggiare meglio le azioni di questi personaggi, che sono per molti versi “prevedibili”, abitudinari, e che continueranno a comportarsi in futuro come si sono comportati in passato. Questo rende l’approccio fisiopatologico uno strumento utile ai fini dell’ “intelligence”. La struttura organismica dei leader, così come quella dei seguaci, al completamento dello sviluppo si è cristallizzata in un determinato modo.
È illusorio sperare che “si ravvedano” spontaneamente, o che si possono “rieducare”. Fanno parte della specie umana, come i pedofili ed i sado-masochisti. E la specie Homo sapiens include individui simili. I quali sono parte integrante ed ineliminabile della natura umana. Oggi come all’epoca degli uomini che dipingevano le caverne.
Forse però, senza ipocrisia, bisognerebbe riconoscere che per contrastare un uomo folle, lucido, sistematico e pianificatore come Putin sarebbe più efficace un presidente USA diverso da Biden, che non ha lo stesso carisma, non è ugualmente capace di prendere decisioni difficili, né di sedurre le folle, proprio perché troppo vicino alla media, e meno “folle”.
Può apparire “paradossale”, ma un leader cronicamente e gravemente malato come Lincoln o Churchill, o più simile a Trump, narcisista megalomane, potrebbe risultare più idoneo a fronteggiare un soggetto come Putin. Il quale ormai non cambia, o “cambia poco”. Non si può continuare a nascondere la testa sotto la sabbia come gli struzzi, o fingere di non vedere, e rifiutare di apprendere le lezioni indispensabili, che non sono solo quelle della storia ma anche quelle della fisiopatologia.
Putin non può vincere nel medio-lungo periodo. E tutto il mondo civilizzato deve provare ad isolarlo e a renderlo inoffensivo. Ma non solo con le parole delle anime candide. Se non sono sufficienti le sanzioni economiche, bisogna pensare ad altro. Ma sempre avendo ben chiaro in mente chi si ha di fronte. Non un individuo “pazzo” nel senso di un debole, fragile, che ha bisogno di farmaci e terapie per superare le crisi della sua malattia, e che quindi sarà facilmente sconfitto. Ma un “folle” lucido, determinato, pianificatore, che ha tenuto il potere per oltre vent’anni, che si è dimostrato in grado di sedurre le folle, anche perché ha una sua “visione” (e questo non può essere sminuito o “denigrato”, come la capacità di “parlare alla pancia”).
Questa visione è “diversa” da quella prevalente in Occidente. Da qui lo scontro. Si tratta per giunta di un “folle” il quale presenta alcuni tratti inquadrabili nella cornice dell’autismo, (anche se Putin non può essere classificato come “autistico”), che lo facilitano nella sua capacità di sistematizzare e pianificare, ma per cui ( per l’equilibrio tra + e – all’interno dei 360 circuiti organismici),risulta poco empatico e per nulla preoccupato della sofferenza altrui.
Ma l’errore più grave sarebbe sottovalutarlo, dismetterlo come “pazzo”, rifiutandosi di “penetrare nella sua mente”, provando in particolare a capire il senso della sua “visione”, per prevedere i suoi comportamenti e limitare al minimo i danni delle sue azioni. Un “compromesso” può essere nell’immediato meglio di una carneficina. Serve a prendere tempo. Fermo restando che Putin va fermato. Costi quello che costi. E per far questo, così come per fermare Hitler non si sono dimostrati adeguati Chamberlain e Pétain, forse bisogna domandarsi quali “aggiustamenti” è necessario operare al più presto ai vertici delle nazioni che dovrebbero contrastarlo.
L’approccio fisiopatologico alla natura umana può offrire chiavi aggiuntive che aiutano a rispondere anche a queste domande.
Saggio del prof. Francesco Cetta, professore Ordinario di Medicina dell’Università di Siena e docente IASSP, estratto dal libro: “Perché comandano i folli e noi li facciamo comandare: un approccio fisiopatologico. Volume II”
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