06
Jan
Iniziare l’università due anni dopo il sessantotto è come essere ammesso all’Accademia di
Saint-Cyr nel novantatré. Si ha l’impressione di avere sbagliato anno di nascita. Daltra parte
Jacopo Belbo, che aveva alméno quindici anni più di me, mi convinse più tardi che questa è
una sensazione che provano tutte le generazioni. Si nasce sempre sotto il segno sbagliato e
stare al mondo in modo dignitoso vuoi dire correggere giorno per giorno il proprio oroscopo.
Credo che si diventi quel che nostro padre ci ha insegnato nei tempi morti, mentre non si
preoccupava di educarci. Ci si forma su scarti di saggezza. Avevo dieci anni e volevo che
miei mi abbonassero a un certo settimanale che pubblicava a fumetti i capolavori della
letteratura.
Non per tirchieria, forse per sospetto nei confronti dei fumetti, mio padre tendeva a
svicolare. “Il fine di questa rivista, sentenziai allora, citando l’insegna della serie, perché ero un ragazzo scaltro e persuasivo, “è in fondo quello di educare in modo piacevole.”
Mio padre, senza alzare gli occhi dal suo giornale, disse: “Il fine del tuo giornale è il fine di tutti i giornali, e cioè di vendere più copie che si può”. Quel giorno incominciai a diventare incredulo.
Cioè, mi pentii di essere stato credulo. Mi ero fatto prendere da una passione della mente. Tale è la credulità.
Non è che l’incredulo non debba credere a nulla. Non crede a tutto. Crede a una cosa per
volta, e a una seconda solo se in qualche modo di-scende dalla prima. Procede in modo miope,
metodico, non azzarda orizzonti. Di due cose che non stiano insieme, crederle tutte e due, e con
lidea che da qualche parte ve ne sia una terza, occulta, che le unisce, questa è la credulità.
L’incredulità non esclude la curiosità, la conforta. Diffidente delle catene di idee, delle idee
amavo la polifonia. Basta non crederci, e due idee entrambe false possono collidere
creando un buon intervallo o un diabolus in musica. Non rispettavo le idee su cui altri
scommettevano la vita, ma due o tre idee che non rispettavo potevano fare melodia. O ritmo,
meglio se jazz. Più tardi Lia mi avrebbe detto: “Tu vivi di superfici. Ouando sembri profondo è perché ne incastri molte, e combini l’apparenza di un solido che se fosse solido non potrebbe
stare in piedi
“Stai dicendo che sono superficiale?”
“No,” mi aveva risposto,
“quello che gli altri chiamano profondità è solo un tesseract, un
cubo tetradimensionale.
Entri da un lato, esci dall’altro, e ti trovi in un universo che non può
coesistere col tuo.
(Lia, non so se ti rivedrò, ora che Essi sono entrati dal lato sbagliato e hanno invaso il tuo
mondo, e per colpa mia: gli ho fatto credere che ci fossero abissi, come essi volevano per
debolezza).
Che cosa davvero pensavo quindici anni fa? Conscio di non credere, mi sentivo colpevole
fra tanti che credevano. Siccome sentivo che erano nel giusto, mi decisi di credere così come si
prende un’aspirina. Male non fa, e si diventa migliori.
Mi trovai in mezzo alla Rivoluzione, o almeno alla più stupenda simulazione che mai ne sia
stata fatta, cercando una fede onorevole. Giudicai onorevole partecipare alle assemblee e ai
cortei, gridai con gli altri “fascisti, borghesi, ancora pochi mesi!”, non tirai cubetti di porfido o
biglie di metallo perché ho sempre avuto paura che gli altri facessero a me quello che io facevo
a loro, ma provavo una sorta di eccitazione morale nel fuggire lungo le vie del centro, quando
la polizia caricava. Tornavo a casa col senso di aver compiuto un qualche dovere.
Da Umberto Eco – Il Pendolo di Foucault
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