25
Nov
Domani mattina, a Villa Madama, Draghi e Macron firmano il Trattato del Quirinale. Seguirà conferenza stampa. È tutto quel che sappiamo. Ma cosa vuol dire firmare un trattato?
“È purissimo XVIII secolo”, il Trattato del Quirinale, “un trattato il cui testo non è stato visto da nessuno, di cui non si può parlare, ma che si sa sarà comunque firmato”. Tutto legittimo. E la ratifica? È allora che si giocherà il ruolo del parlamento? “Si crede che tutti i trattati debbano passare per il parlamento e il parlamento abbia il controllo totale sul potere estero del governo. Non è vero”, spiega Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale nell’Università Cattolica di Milano, al quale abbiamo chiesto delucidazioni su questa pagina apparentemente così misteriosa della nostra politica. “Il potere estero è concentrato al Quirinale ed è esercitato d’intesa con il governo. Il parlamento insegue la lepre, anzi, due”.
Questo dice il diritto. La storia e le azioni degli uomini raccontano il resto. E a questo livello il Trattato del Quirinale potrebbe essere una vicenda di cui si sa molto, forse quasi tutto ciò che serve sapere.
La sorprende che il parlamento non sappia nulla?
Deve sorprendere molto, se si sta alla raffigurazione del potere estero del governo che si trova sui manuali di educazione civica. Non è affatto sorprendente se si ha idea di cosa sia il potere estero del governo; come sia disciplinato in Costituzione, quale sia la realtà dei rapporti internazionali; come funzioni davvero la stipula di un trattato e qualche altra cosa.
Che cosa si intende per potere estero?
Il potere estero è stato, in altri tempi, l’ultima trincea dello Stato amministrativo del 700. Per qualche tempo è stato messo in soffitta. Adesso che il Covid ci ha ridato lo Stato amministrativo, anche i vecchi Arcana imperii tornano in primo piano.
Se veniamo al Trattato del Quirinale?
L’annuncio della firma di un trattato il cui testo non è stato visto da nessuno, di cui non si può parlare, ma che si sa sarà comunque firmato, è purissimo XVIII secolo. Solo che il XVIII secolo francese è il Re Sole e la Rivoluzione. Quello italiano è stato il Marchese del Grillo. Con il che abbiamo già la sostanza del trattato.
Cambio leggermente la prima domanda. La sorprende che due presidenti del Consiglio – Gentiloni e Draghi – non abbiano informato il parlamento?
Assolutamente no. È in linea con le trasformazioni di una Unione in via di dissoluzione che cerca di salvarsi attraverso un sistema di cooperazioni bilaterali tra Francia e Germania prima, e tra Francia e Italia adesso. È che il Trattato di Aachen (Aquisgrana, ndr) è rimasto lettera morta perché la Germania sarà anche un paese impolitico per definizione, ma i suoi affari li sa far bene.
E noi?
Noi saremo legati mani e piedi alla Francia in posizione di partner subordinati. Cosa vuole, Italia e Francia hanno da sempre diverse classi politiche. Che esprimono diversi presidenti della Repubblica. E diversi primi ministri. Tant’è vero che in Francia li si chiama per cognome o presidente. Da noi Mario.
Cosa vuol dire?
Mi pare che questo dica tutto dei rapporti di forza che stanno alla base del trattato prossimo venturo. Non andrebbe dimenticato che Mario e il Mago è una bella novella di Thomas Mann. Che era europeo e non europeista. C’è differenza, sa? In Italia è dal 1992 che siamo pieni di europeisti con la Legion d’onore, che hanno fondato un partito e continuano da allora il loro lavoro europeista.
Europei ed europeisti, 1992, partiti politici diversi dagli altri. Ce n’è abbastanza. Che cos’è il Trattato del Quirinale?
È solo l’ultima privatizzazione nel disfarsi generalizzato dell’Europa.
Il dem Piero Fassino ha detto che non dobbiamo stupirci, perché dal punto di vista formale e costituzionale qualsiasi trattato viene sottoposto alla ratifica del Parlamento solo dopo la firma dell’accordo. È così?
Fassino ci dice che il linguaggio dei giornali va capito. I trattati sono contratti fra Stati che vengono stipulati da rappresentanti che operano con un mandato. E che, ad un certo punto, trovano un accordo nei limiti de rispettivo mandato e bloccano un testo apponendovi una firma. Ma questa firma non vuol dire nulla e segna solo la fine delle negoziazioni tra i rappresentanti o i plenipotenziari.
Ma allora la firma di domani…
Quella firma è solo la conclusione di una fase nella formazione del trattato, non del trattato in sé. Almeno in teoria. E bisogna dire che in questa fase la segretezza risponde ad una esigenza funzionale.
Quale esigenza?
Lei vorrebbe condurre una trattativa delicata raccontando a tutti cosa intende fare e come vanno le trattative? Se lo facesse sarebbe un pessimo diplomatico.
E dalla firma in poi?
Un tempo, adottato il testo, i rappresentanti tornavano a casa a riferire al sovrano. Ancora oggi c’è una ritualità meravigliosa in queste prassi di rapporto, che rispondono a regole ed esperienze sedimentate nei secoli. Regole che non sono semplice etichetta, ma rispondono ad esigenze di funzionalità che non si percepiscono dall’esterno. E che esprimono una razionalità antica e sottile.
Parlamento e ratifica: come stanno le cose?
Per alcuni trattati – non tutti – il testo adottato deve essere ratificato, e cioè approvato dal Parlamento. Per gli altri no. Ed è questo il punto. Si crede che tutti i trattati debbano passare per il parlamento e il parlamento abbia il controllo totale sul potere estero del governo. Non è vero.
E invece?
Il punto è che non tutti i cammelli devono passare per la cruna dell’ago. Anzi. Al di fuori delle classi di trattati elencati nell’art. 80 Cost. il potere estero è libero ed è condiviso tra governo e presidenza della Repubblica. Il parlamento insegue la lepre, per capirci, anche nei casi elencati dall’art. 80 – o meglio: il parlamento insegue due lepri, che sono Quirinale e palazzo Chigi. Ci si può stupire quanto si vuole, ma questa è la realtà. Il potere estero è concentrato al Quirinale ed è esercitato d’intesa con il governo. Vede che torna il tandem governo-Quirinale a cui ormai si è ridotta tutta la nostra Costituzione?
Forse circolerà il testo. Vi troveremo tutto quello che possiamo sapere?
Non è affatto detto. È da sempre che i trattati prevedono clausole segrete. E ci mancherebbe che non ci fossero. Non sarebbero possibili le relazioni fra Stati. E quindi la Politica. Perché la Politica è sempre politica estera, nonostante le immagini che se ne sono fornite negli ultimi 30 anni. Il clima attorno al Trattato del Quirinale ne è la prova. Lei capisce però, che qui si tratta di qualcosa di diverso, tanto rispetto al Trattato di Aquisgrana quanto al Trattato di Bengasi.
In che senso?
Pensi all’ultimo grande bilaterale dell’Italia, quello firmato con la Libia nel 2008 a Bengasi con amazzoni libiche in visita a Roma e carabinieri a cavallo a fare caroselli. Pensi a come è finito, con Gheddafi bombardato dall’Italia contro gli interessi italiani. E pensi, soprattutto, al controllo che allora ancora esercitava il parlamento nei confronti del tandem governo-Quirinale. Allora si aveva un’idea di cosa sarebbe stato. Certo, non di come sarebbe finito.
Domanda d’obbligo, perché ce ne siamo occupati a lungo: che differenza c’è tra l’opacità del Mes e la reticenza sul Trattato del Quirinale?
Sono due vicende diverse. Come diversa ancora è la vicenda della Convenzione di Oviedo (firmata il 4 aprile 1997, ndr), tanto invocata un anno fa, perché ratificata dal parlamento italiano, ma mai entrata in vigore perché il Governo non l’ha mai depositata in sede internazionale.
Nonostante il voto delle Camere!
Certo. Non è detto che, anche quando c’è ratifica parlamentare, ci sia entrata in vigore. L’entrata in vigore dipende dal governo e dal Quirinale. E il parlamento può votare tutte le mozioni che vuole, ma è come il consigliere comunale che insegue le carte che il segretario del Comune gli nasconde. Vuole fare cadere un governo per il mancato deposito di una ratifica parlamentare? È come usare la bomba atomica per combattere la guerriglia. Con il Mes si è avuta la stessa cosa nel 2012 e la si avrà nel 2022, a ciclo di bilancio chiuso e a vacanze di Natale finite. Mario deve ubbidire al Mago.
Se il parlamento non approva, chi decide che cosa?
Questo è interessante. Ognuno decide per quello che può. Io ricordo il caso delle acque territoriali italiane cedute – si dice – alla Francia sopra la Corsica. Accordo di Caen del Governo Gentiloni, mai ratificato. Alla fine ci si è trovati con le guardie costiere francesi e italiane con le cartine sbagliate in mezzo al mare. Sono azioni unilaterali francesi di tentativi di presa di mare. Le stesse che hanno provato qualche mese fa nella Manica con l’Isola di Jersey. Appropriazione di mare.
Ed è la stessa cosa?
Ha ragione, non lo è. Nella Manica Macron trova la Royal Navy, da noi trova Draghi. Se la logica di questi trattati è quella dell’appropriazione contrattata, capisce che siamo ad una riedizione delle privatizzazioni in nome dell’Europa del dopo ’92. E il bello è che i protagonisti sono esattamente gli stessi. È questa la vera “continuità dello Stato”.
Intanto Kkr ha presentato una manifestazione di interesse per acquisire almeno il 51% di Tim. Può non avere, in questo momento, un significato politico?
Certo che c’è. I trattati internazionali servono a regolare l’appropriazione di risorse tra un contraente debole ed uno forte. Ma non è che l’Italia sia terra solo francese. L’Italia mi fa sempre pensare alla Casablanca di un vecchio film, un posto dove tutti sono presenti e tutti fanno affari. Però sempre nel nome dell’interesse nazionale. Capisce che a qualcuno può dare fastidio, in chiave geopolitica, che i diritti di mare italiani finiscano in mano ad un paese che da decenni è in squilibrio sull’estero? Che ha un debito pubblico identico a quello italiano prepandemia? Che da decenni vive estraendo risorse dall’esterno? Che è in crisi dai tempi del Bataclan e di Notre Dame? Che ha un presidente incandidabile e un sistema politico a pezzi? E che però ambisce ad essere il perno dell’esercito europeo per rompere la Nato all’interno della Nato.
E a farlo con quel che resta delle risorse italiane.
Precisamente. Nondimeno è da sempre che le offerte terze si fanno per far alzare il prezzo al compratore finale. Il Marchese del Grillo è sempre un ottimo film da vedere. Con tanti caratteristi. Ma ad un certo punto finisce, e con il Marchese finiscono anche i suoi caratteristi.
(Federico Ferraù)
Da ilsussidiario.net
– intervista ad Alessandro Mangia
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03Oct
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