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Nov
Il G20 è terminato meno di 72 ore fa e le statistiche lo indicano come il più googlato degli ultimi dieci anni. L’interesse in Italia ha riguardato almeno due aspetti in particolare, la viralità e l’esposizione dei contenuti sulle piattaforme sociali, poiché essendosi svolto nel confine nazionale, ha ricevuto una copertura mediatica continua, e le tematiche al centro della discussione.
Come funziona la tassazione minima globale?Argomento centrale dell’incontro, tra i più discussi degli ultimi mesi, è la Global minimum tax, o tassazione minima globale. Le basi dell’accordo sono pensate per le multinazionali che oggi, complici della liquidità operativa, riescono a sfruttare le differenze legislative tra i vari Paesi, sfuggendo così ad una tassazione equa sui guadagni. Il terreno era già stato oggetto di discussione durante il G7 dello scorso giugno quando l’acccordo di Londra era stato definito dal presidente del Consiglio Mario Draghi come un “passo storico verso una maggiore equità e giustizia sociale per i cittadini”. La proposta aveva manifestato il bisogno di un aliquota globale minima del 15% per la tassazione delle grandi imprese, applicata Paese per Paese.
Dal G7 di Londra, il 31 ottobre la proposta è passata in discussione al G20 di Roma, dove ha potuto contare di una discussione con i vertici di governo che oggi contribuiscono all’ 80% del Pil mondiale, il 75% del commercio e il 60% della popolazione totale. L’idea alla base della discussione del G20 è una nuova imposta transnazionale che mira a rendere vani i tentativi di spostamento di profitto delle multinazionali nei paesi che oggi permettono tassazioni vantaggiose.
Già agli inizi dello scorso mese, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, aveva discusso con 35 paesi più sviluppati al mondo l’idea della global minimum tax, ponendo come obiettivo l’approvazione durante il summit di Roma. L’accordo ha trovato una spinta marcata con l’elezione del Presidente degli Stati Uniti Joe Biden, dopo che Donald Trump aveva bloccato la proposta in sede di consiglio OCSE.
L’esempio del Delaware
Il Delaware è uno Stato federato degli Stati Uniti d’America situato sulla East Coast, con una popolazione che sfiora appena il milione di abitanti. C’è un punto, però, che lo collega alla finanza globale. Lo Stato è noto per essere tra i più famosi paradisi fiscali che oggi permettono a multinazionali che operano a livello globale di confluire i propri profitti nello Stato. Non ci sono tasse sulle vendite e le operazioni dell’azienda non sono rilevanti ai fini della registrazione. In aggiunta, non è presente alcuna imposta dello Stato sia sui beni che sui servizi. Il Dax 30, il segmento della Borsa di Francoforte contenente i 30 titoli a più alta capitalizzazione è specchio di questo buco regolatore. Delle maggiori aziende tedesche, la metà circa 2075 hanno la sede in Delaware.
Il Delaware è noto come un “paradiso fiscale” che incorpora società a causa della sua leggera tassazione. Non ci sono tasse sulle vendite e non importa se la posizione fisica di un’azienda è nello stato o meno; nessun acquisto nello stato è soggetto a tassazione. Inoltre, non vi è alcuna imposta statale sul reddito delle società su beni e servizi forniti dalle società del Delaware che operano al di fuori. Esiste, però, una tassa sulla proprietà immobiliare in misura della contea, ma è estremamente bassa rispetto ad altri stati negli Stati Uniti. L’ultimo report della Tax Tax Justice Network calcola in un anno, un evasione fiscale internazionale delle multinazionali superiore a 427 miliardi di dollari.
Gli impegni presi
Nel comunicato finale, redatto al termine della conferenza si legge: “ i paesi che hanno preso parte al G20 si impegnano a fronteggiare la minaccia critica e urgente dei cambiamenti climatici e a lavorare insieme perché Unfccc Cop26 di Glasgow abbia successo. A tal fine, riaffermiamo il nostro impegno per una piena ed effettiva implementazione del Unfccc e dell’accordo di Parigi”. Continuando con gli impegni per rispettare l’accordo di Parigi “ Accelereremo le nostre azioni su mitigazione, adattamento e finanza, riconoscendo l’importanza fondamentale del raggiungimento di zero emissioni di gas a effetto serra a livello globale o della neutralità carbonica entro o intorno la metà del secolo e della necessità di rafforzare gli sforzi globali necessari per raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi”.
Una parte rilevante del meeting annuale è stato dedicato al carbone e relative emissioni da battere: “ I paesi del G20 si impegnano a mobilitare finanziamenti internazionali pubblici e privati per sostenere lo sviluppo di un’energia verde, inclusiva e sostenibile annunciando la fine ai finanziamenti pubblici internazionali per nuova produzione di energia da carbone entro la fine del 2021″.
A far paura oggi, tra i giganti dell’economia mondiale c’è sopratutto la Cina. Nonostante il presidente cinese si sia impegnato pubblicamente verso una politica totalmente carbon free, ha aumentato la produzione giornaliera di carbone di oltre un milione di tonnellate, complice della scarsità di approvvigionamento energetico degli ultimi mesi, che lascia non pochi dubbi sul futuro del consumo e della produzione energetica del prossimo futuro.
Di Raffaele Buccolo, pubblicato su 2duerighe.com
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03Oct
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