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Oct
IV …l’interesse nazionale è un principio di qualificazione delle differenze del mondo. Ogni filiera produttiva, anche se dispersa in una catena di funzioni internazionale, alla fine si qualifica in una precisa riconoscibilità. È l’effetto che il marketing chiama country of origin, secondo il quale tre persone su quattro preferiscono acquistare un prodotto se è noto il paese di origine. Si deve pensare che questa qualificazione sia anche un principio morale, l’identità del Paese è il suo posizionamento culturale nel mondo e il suo status. Tuttavia, se il linguaggio ci rappresenta, finché la seconda o terza voce più nota nel mondo del nostro idioma sarà la parola “mafia” l’intera lingua italiana rimarrà umiliata. L’Italia è oggi un paese spaventato “umanamente e politicamente in sfacelo” (Agamben) che pare viva un ricorso di un passato nelle volute della storia, un ritorno a uno stato di minorità servile. Resiste strepitosamente, pervicacemente intatta la sostanza di una diffusa lucidità creativa, una mentalità fattiva ma sempre affannata come una resistenza senza autorità, alle prese con un potere situazionale ostativo senza idee ideali, con al suo centro un vuoto. Ma non è possibile che la ragione pratica, la ragione che arrovella le nostre leadership produttive, sia la sola a progettare il medio-lungo tempo, cioè la possibilità di successo o di rovina del Paese. Quel compito compete a un’intera cultura, si deve dire che è la sua gloria o la sua umiliazione. In un sogno della teoria politica del Primo Novecento la Camera alta del parlamento aveva il compito di restituire la sua stessa potestà al futuro – potere, competenza, saggezza – , affidando il presente alla Camera bassa delle nuove generazioni. La restituzione è il compito aureo dei genitori, ma finché mitizziamo i figli saremo sempre tentati dall’egotismo, la pulsione di estendere anche a loro il nostro ego e il rischio di fare della famiglia un presidio di posizione sociale. Bisogna invece saper vedere anche gli altri, i figli possibili. Se è quasi impraticabile la norma stoica dell’adozione e pur necessario che la parola restituire riguardi il merito nelle giovani generazioni e diventi universale in quanto spirituale affinché cresca la Città. Per questo il nostro Istituto ha assunto il compito ideale di restituire ai propri allievi frammenti inseparabili di competenze e ragione morale, semi di una possibile leadership futura.
Per questo lo IASSP propone un percorso di alta formazione alla piccola e media impresa e ai suoi allievi o ai dipendenti delle società più meritevoli e promettenti. Tutti dotati di borsa di studio.
GC: Gentilissimo Presidente, colgo l’occasione di queste sue parole per discutere con Lei, in quanto Presidente di questo prestigioso Istituto di alti Studi Strategici e Politici, per approfondire con Lei, alcuni aspetti che credo siano di interesse pubblico. L’Intelligence economica. Le questioni che mi piacerebbe che emergessero in questo nostro colloquio sono quelle che riguardano le piccole e medie imprese. Intendo riferirmi a quella necessità, per questa unicità italiana, di dover sviluppare un sistema di intelligence per difendersi dagli attacchi di questa guerra, che in altri dialoghi con Lei, abbiamo definito come economica sotterranea…
IV: Dunque, se noi partiamo dal fatto che la piccola e media impresa italiana è la colonna vertebrale della produttività della economia italiana, dobbiamo essere in qualche modo consapevoli, che è vulnerabile. Questo è un primo passaggio essenziale. Naturalmente è una questione mondiale. Si parla a livello atomico e subatomico, per intenderci,parliamo voglio dire di miriadi di attività e miriadi di strategie di relazioni e di contatti con il mondo. E’ questo però quello che porta avanti l’immagine del paese, quindi di conseguenza, lo status e la credibilità del paese stesso. Se è vero che la società della informazione e la società della conoscenza impongono una lettura all’interno di una realtà specifica, allora noi sappiamo che questo messaggio di immagine è fatto non solo da quell’ affermatività spettacolare, tipica di altri paesi come le visite della Regina d’Inghilterra in Australia o della Merkel con tutto il seguito di attività e produttori in Cina, per farle due esempi. Ma è fatta anche di questa atomizzazione che le ho accennato, di contatti diretti e individuali con l’estero, che è l’immagine stessa della solitudine dell’impresa italiana: realtà che è sicuramente vista come opportuna da noi allora. Ma è molto fragile perchè più fragile, visto che è in corso una feroce guerra economica commerciale globale, dagli altri.
GC: Il branding paese è per esempio la base della credibilità di un prodotto…
IV: Se si riflette sul fatto che oggi, grazie al marketing tre compratori su quattro pretendono di sapere la provenienza di un prodotto e privilegiano di comprare un prodotto rispetto ad un altro, sulla base del paese d’origine. Sembra una affermazione scontata ma è invece una grande realtà, in movimento dinamico che continua a movimentare il mondo, che continua a movimentare e orientare le scelte.
GC: In sostanza parte da lì la possibilità di produrre di più, ad esempio…
IV: Capisce bene che diventa un compito fondamentale perchè assicura l’emancipazione economica dei cittadini. Non solo del Paese o della Nazione. Significa aumentare concretamente la ricchezza-benessere- dei cittadini.
GC: Questo è il compito della missione di un apparato pubblico…
IV: In realtà questo compito è doppiamente vulnerabile. Perchè da una parte è relativamente attivo questo canale di affermatività dell’Italia. E dall’altra parte è altrettanto molto attiva questa attività relazionale e promozionale di tutta questa miriade di imprese. Più vengono apprezzate da noi e dal comparto economico finanziario del Paese e da tutti noi, meno vengono apprezzate dalla concorrenza.
GC: E la concorrenza usa tutti i mezzi in un’era della post verità in cui si può affermare tutto ciò che si vuole…
IV: Evidentemente. E, da un altro lato, può agire in pratica con azioni di diffamazione o di penetrazione e di hackeraggio. Come avviene ed è avvenuto spesso. Abbiamo rilevato, tramite una ricerca effettuata dalla Vintiadis, titolare della azienda 36Brains – che se si clicca sui motori di ricerca “imprese spiate in Italia”- risulta che quasi 300,000 imprese vengono spiate in Italia in poco meno di un minuto. Se partiamo da questo dato, sappiamo che l’operazione e l’essere attenzionati dal resto del mondo può essere molto positivo. Ma allo stesso tempo anche negativo, come espresso dalla nota commerciale.
GC: Nelle lezioni del master e in alcuni approfondimenti che ho fatto io personalmente e dalle notizie trapelate sui quotidiani nazionali, è emerso che l’azione di spionaggio è finalizzato ad assumere informazioni sulle imprese e a penetrare nelle aziende per sostituirsi ai proprietari, e svuotarli di contenuti, oltre che per copiare e anticipare sui tempi la produzione di un nuovo prodotto…
IV: E’ evidente che se si sa cosa sta progettando il proprio concorrente, si ha la possibilità di batterlo sul tempo o agire in ogni altro modo per depotenziare l’immagine della società concorrente. Se si dà la possibilità ai competitors di entrare nel proprio perimetro, è chiaro che gli si concede la possibilità di agire, in ogni modo e in tempo. La regola chiara della nostra società di civilizzazione del mondo, deve essere sempre presente: se si vuole la pace, bisogna prepararsi alla guerra, “si vis pacem, para bellum“. Questa deve diventare una vera e propria cultura per le aziende. E devo dire purtroppo che invece deve essere ancora costituito questo atteggiamento di cura e cultura difensiva e aggressiva/affermativa.
GC: Abbiamo detto della possibilità dei competitors di acquisire imprese…
IV: Esiste anche questa possibilità, ma è l’aspetto direi meno rilevante. Attraverso la classica formula di entrare nel capitale di una società, per depotenziarla un po’ alla volta, è chiaro che lo scopo finale è naturalmente farlo per favorire un’altra entità: è l’apparato classico funzionale, fatto per indebolire e sguarnire la potenza del tuo concorrente.
GC: Vuol dire che più che acquisirlo, in realtà si tratta di svuotarlo di tutto?
IV: E’ questo quello che è accaduto molto spesso. Come detto, questa è la parte meno significa di questa penetrazione. E abbiamo visto che in pochi secondi si può capire quanto è attivo l’attacco alla media e piccola impresa italica. In sostanza dobbiamo comprendere che è una vera e propria competizione e a partire da questo si deve trasformare tale paesaggio in una cultura diffusa.
GC: Cultura che deve riguardare i quadri e i vertici delle società…
IV: Sì, ma dovrebbe riguardare anche gli apparati locali. Perchè quelli centrali hanno già altro da fare. Forse tutte le agenzie dell’intelligence, DIS, AISI e AISE potrebbero interessarsi a questo fenomeno, se le associazioni di rappresentanza come Confindustria, raccogliesse in un sistema integrato, e sistemico appunto, in strutture consortili, tutte le istanze delle piccole e medie imprese. Ma questo non accade . Ci sono problemi su questo fronte. Di conseguenza, se le singole imprese hanno poca potestà, poco ascolto, per quanto questo sia necessario e determinante, è altrettanto evidente che un apparato dello Stato non può occuparsi di tutta una miriade di imprese. Allora io penso che possano essere gli Enti locali, ma le Regioni principalmente e sostanzialmente, proprio perchè abbracciano più comparti ben più localizzati di una singola città.
GC: Questo processo è evidentemente tutto da costruire…
IV: E’ un processo che deve vedere l’ interazione tra pubblico e privato. Bisogna partire dalla riflessione su una visione del mondo che vede una riabilitazione, per così dire, dello Stato rispetto alla visione del trentennio neoliberista che voleva disfarsi dello Stato,- vedi Fukuyama e Ohmae- coerente con la fine del vecchio sistema globale. Inoltre anche se chi fa da avanguardia al mondo sono ancora gli Stati Uniti, abbiamo visto che il criterio del Washington consensus-G7 e codice occidentale- viene ad essere archiviato dalla Storia. Se questo passaggio è vero, il singolo stato ha ancora una forza interna decisiva. In Italia, la forza interna decisiva dello Stato, anche uin relazione alla questione della pace sociale, dovrebbe essere quella di riuscire ad avere voce in capitolo, a livello europeo. Ma per fare questo, è necessario ricostruire quella “autorità” delle piccole e medie imprese (fanno scuola il famoso economista Forsthoff e sicuramente Kojéve). Ed invece, la piccola e media impresa è lasciata in qualche modo molto sguarnita.
GC: Ne va della potestà di tutto il Paese… Da quanto sta dicendo mi sembra chiaro che risulti una connessione, per così dire tra intelligence economica e questioni di cyber security. La nuova agenzia sulla cyber va proprio in questa direzione. Si vuole cercare di difendere i perimetri delle aziende da quegli attacchi cibernetici, che abbiamo visto. Ma questa difesa, per così dire, mi sembra evidente che riguardi ovviamente anche altri aspetti: penso al terrorismo jihadista che corre nel web, tanto per fare un esempio…
IV: Intelligence economica e cyber securiy sono specializzazioni della stessa modalità. Il rischio è la possibilità continua di perdere posizioni nel mondo. Intendo posizionamento culturale in primo luogo, e poi posizionamento economico. Quello culturale è quello più percepito dalla popolazione. E’ altresì vero però che l’idealità viene dopo i consumi e i commerci: se si percepisce una perdita di valore dell’intero Paese, questo tocca anche il commercio. E non dimentichiamo che il nostro PIL dipende molto dal fattore export, su cui abbiamo puntato molto, oltre che ovviamente anche sul mercato interno. Siamo un paese di trasformatori e di terzisti interconnessi nella catena globale di valori. Noi siamo inseriti in un discorso globale evidentemente e il discorso della cyber security, della protezione dati si inserisce pienamente in questo contesto. Venendo ad un discorso più concreto: a parte i grandi players di Stato e parastali, è la piccola e media impresa che produce la gran parte del PIL nazionale.
GC: Non è seguita sufficientemente…
IV: Il gioco è quello della domanda e della capacità di fare delle domande e di imporre delle scelte. Se come detto, questo non lo fanno le associazioni di categoria imprenditoriali, o non lo fanno a sufficienza, le aziende restano abbandonate a se stesse, sguarnite, per intenderci, in questo contesto. Non si creano strutture consortili fondamentali per la difesa delle imprese stesse.
GC: Dunque, la possibilità di fare un discorso d’agenzia, come sta tentando di fare il nostro premier, è legittimo…
IV: Mi chiedo e le chiedo: chi usufruirà per prima di questo ente? Evidentemente le azioni protettive dello Stato contro il terrorismo. E le azioni contro, naturalmente, le aggressioni agli enti locali, come quello portato avanti contro la Regione Lazio, qualche tempo fa. Bisogna essere consapevoli che le azioni e gli attacchi cyber e le penetrazioni sono molto di più di quelli che vengono denunciate da quest’analisi. Gran parte sono quelle sottaciute, non solo dalle aziende che tacciono per questione di interesse e di credibilità rispetto ai propri clienti, ma anche dagli enti e dalle regioni… L’apparato, va bene che si emancipi ad un livello sistemico perchè è questo che, mi pare di capire, stia facendo Draghi. Però resta il fatto che l’attualità il presente impone una capacità di difesa informatica e dagli attacchi esterni, assolutamente ancora tutta da costruire.
GC: E questo lo possono fare e lo potrebbero fare gli enti locali e regionali…
IV: Esattamente. Proprio su questo aspetto, io punto molto. Più che i riferimenti ad altri enti pubblici. Ma questa è una scelta che si deve volere. E bisogna comprenderla da un punto di vista pubblico e politico. E’ un progetto da fare entrare nella testa. Ma lo si può raggiungere anche con le richiesta e la forza di fare le domande e la capacità di imporre delle soluzioni da parte di chi sta patendo questo ritardo. Ed è quindi la stessa impresa a dover dare le prime risposte. Questo è il tentativo che come Istituto, lo IASSP, cerchiamo di realizzare: una rete di relazioni anche.
GC: Le società di consulenza informatica sottolineano come una realtà del nostro paese viene sistematicamente penetrato con estrema facilità. Uno dei docenti del vostro Master, il professor Denécè ha parlato e sottolineato i limiti che sussistono tra intelligence economica e spionaggio…
IV: Partiamo da un fatto. Proviamo ad immaginare cosa accade ogni volta che una singola società subisce un attacco hacker. E’ un discorso che si può riferire anche ad un mercato, evidentemente. E’ la verità. Cosa accade quindi? Ci si rivolge ad un ente pubblico? O piuttosto si contratta privatamente il pagamento del riscatto per riavere l’attivazione?
GC: La risposta è chiara…
IV: Già… Ma questo implica che, da quel momento, si è sempre controllati. Qualsiasi altro hacker -club criminale o associazione esterna che sia-potrà penetrare quel sistema, rubare i dati e richiedere un altro riscatto. Il problema, credo, è opporre una cultura di intelligence strategica: un mercato etico a questo mercato della malavita. Noi vorremmo che questa attività- in questa attualità di inattività e incompetenza, in questo presente al condizionale per così dire, e che fa gioco agli altri-, cerchi di dire quale possa essere un’altra via percorribile, una alternativa. Quella a cui ho fatto cenno in precedenza. Voglio dire, è fondamentale che queste realtà non si atomizzino come è già atomizzata la piccola impresa, perchè il rischio è quello di essere terreno fertile per tutti gli hacker del mondo. E’ un vero banco di prova. E un terreno fertile per tutta la aggressività finanziaria, oppure semplicemente per tutta la aggressività di tutti i comparti finanziari produttivi del mondo. Il problema è quello allora di costruire qualcosa che funzioni a difesa dell’intera branca dei comparti produttivi.
GC: …e questo è ancora tutto da fare qui…
IV: Guardi, in altri paesi è relativamente molto più semplice perchè se si ha di fronte, come accade in Francia tanto per fare un esempio, un’ industria fatta essenzialmente da medie e grandi imprese, partecipate in parte o protette addirittura – come abbiamo ascoltato bene durante la lezione a cui lei ha fatto riferimento del dr. Denécè- questo significa che è più facile per lo Stato- francese in questo caso- difendere una attività, una media attività, rispetto ad una minuta. E’ ovvio, mi sembra scontato. Noi dovremmo adattare l’impianto di intelligence, di Stato o pubblica per dire così, alla specificità, alla qualità, e alla unicità della piccola impresa italiana. C’è la genialità e la creatività della piccola impresa italiana che ci caratterizza e che va difesa. Perchè l’essere piccoli comporta una certa facilità di essere controllati.
GC: Nei nostri colloqui, Lei mi ha sempre fatto cenno ad un cambiamento culturale della nostra mentalità…
IV: Assolutamente. Il discorso culturale è determinante in vista di un cambiamento culturale verso quel mercato futuro, che solo una consapevolezza digitale ci può dare.
GC: Mi chiedo quanto in questa guerra economica, che è attuale e nuova, recente, quanto è fondamentale sviluppare una cultura che porti ad una reale difesa. Tante piccole e medie imprese sono legate ad un sistema economico tradizionale (basti pensare alle infinite crisi aperte dal passaggio generazionale) che non ha una visione così ampia, come quella ad esempio raccontata durante altre importanti lezioni del master. Immagino che tutte queste aziende hanno una dimensione che non li proietta così tanto in avanti e li espone ai rischi di cui Lei ci sta dicendo…
IV: Il tema di fondo è dunque la necessità di questo cambiamento. I grandi cambiamenti avvengono a causa di sconfitte e sofferenze. Si comprende allora che bisogna cambiare. Consiglio sempre un libro che ha poco a che fare con l’economia ma che ha inspirato gran parte dell’imprenditoria tedesca, un libro di Sloterdijk, “Devi cambiare la tua vita”, scritto su questa capacità di cambiare, su questa metamorfosi. Perchè si cambia? Perchè nella propria zona di comfort si è patito una ferita che ha penetrato questa zona. E in seguito a questo si decide di cambiare. L’identità ontologica umana vive anche di questi impulsi esterni, evidentemente. La chiamiamo necessità di cambiamento. Perchè tale è e tale deve essere. I titolari di una azienda che si ritrovano con i dati della propria azienda sottratti e hackerati, e sono costretti a pagare un riscatto per riaverli, vivono la necessità di non rivivere più la stessa situazione. E’ la natura del mondo. Si cambia perchè cambia la società. Si cambia per rimanere in piedi e per seguire il mercato, che è un diktat, con una sequela da seguire. E’ un aspetto fondamentale. La cultura si fa in un lungo termine se l’istante del cambiamento è dettato oggi e ora e qui come un segno di necessità, questo cambiamento allora bisogna metterlo in atto immediatamente. Il rischio è quello di perdere tutto, e questa cosa è dettata dal tempo. Però come detto, la capacità di predire resta fondamentale. Questa necessità di dover cambiare è dettata da questa vulnerabilità e da questi attacchi che ci portano via denaro, se l’hacker è un semplice criminale, come spesso accade, o informazioni che è ancora più pericoloso di quello che si crede, e che è il punto cruciale di tutto: una società della conoscenza è dettata dal grande flusso dei dati. Una informazione che hanno altri è un’arma che può essere usata contro chi non la detiene.
GC: “Si vis pacem para bellum“, appunto come ha detto all’inizio…
IV: Bisogna prepararsi. Bisogna organizzare la società attraverso la formazione, a partire dalla scuola, dalle Università e dalle specializzazioni post universitarie. Bisogna organizzare dal proprio interno un apparato elastico che impari e si colleghi con l’avanzare della ricerca in questo ambito. Bisogna creare nel proprio interno un apparato intellettuale e culturale: ed è questo quello che ormai tutte le società devono inseguire. Se si riesce a fare questo, c’è la possibilità di salvarsi. Si comprende facilmente che solo così la propria società diventa meno vulnerabile e più collegata al tempo moderno e più presente. E sopravviverà al flusso informativo segreto, discreto e indiscreto.
GC: Questa è intelligence…
IV: L’ex Presidente Cossiga diceva, come mi ha ricordato l’amico professor Caligiuri, che la politica stessa è intelligence, e “manca un’intelligence non militare”. Se si sa cosa sta preparando in segreto un proprio concorrente politico, significa che si può controllare in anteprima. L’alleanza sulla conoscenza è potenza. Altrimenti è impotenza.
GC: Torniamo al discorso sulla cultura, che è un questione che ci riguarda da vicino dunque…
IV: Se non si è in grado di migliorarsi, bisogna allora delegare a consulenti esterni quello che non si è in grado di imparare da soli. Oppure bisogna assumere delle persone che siano in grado di leggere i dati, che li possano interpretare e che li difendano. In questo senso bisogna organizzare un apparato che non è soltanto difensivo, ma che sia anche interpretativo del mondo. La cultura è una crescita che deve essere sviluppata in questo senso, se è vero che viviamo in una società della post-verità o della conoscenza o della informazione. Sono tutte indicazioni fonetiche e semantiche che ci vogliono dire che ormai la conoscenza è alla base di tutto. E fondamentale portare avanti una operazione di indagine e di raccolta e di difesa in questo ambito e non solo dedicarsi al prodotto. Deve essere proprio una strategia corretta da seguire.
GC: La cultura è una cultura che deve essere allevata…
IV: Se si sa come si studia, e che università si sostengono, si può dire cosa sarà domani un Paese. Non di un singolo, quanto piuttosto di un intero paese. Se questo aggiornamento a cui abbiamo fatto cenno, non viene fatto siamo sguarniti come Paese. Il dramma, soprattutto, è che il nostro non è un paese sistemico, ma è un apparato burocratico istituzionale. Il nostro Stato è fragile perchè non è sistemico. In un apparato davvero sistemico significa che l’intelligence- quella istituzionale, quella pubblica- deve essere all’altezza del suo ruolo, e di questa specificità che riguarda il nostro paese. Per progettare il futuro, significa che bisogna proiettarsi negli studi. E’ questo che deve essere chiaro. Bisogna avere grandi progetti e persone personalità e eccellenze e meriti che possano qualificare il futuro stesso.
GC: Abbiamo parlato di attacchi cyber. Leggevo qualche settimana fa su un quotidiano nazionale che gran parte di questi attacchi vengono portati avanti da singoli o associazioni criminali prevalentemente russi. E’ importante conoscere i paesi e o le aziende che portano avanti questi cyber attacchi di spionaggio e di spionaggio industriale?
IV: Come detto, noi siamo in ritardo rispetto ai paesi che si sono già specializzati a riguardo. Se si istituiscono delle scuole importanti da un punto di vista delle tecnologie, relativamente alla analisi dei dati, ad esempio, sono degli strumenti, delle occasioni per così dire, anche di emancipazione sociale e personale. Se, come accaduto in Russia durante l’epoca dei soviet, si istituiscono facoltà, come il MGIMO, dedicate, tutto questo bagaglio, non va perso: in qualche modo trova una sua collocazione nel mondo. Credo che prima di distinguere da quale paese vengano gli hacker, debba esistere una analisi delle priorità, di quali siano le priorità. Da quale paese giungano i cyber attacchi, è importante saperlo, ma in fondo non cambia molto. Quello che è importante è operare in casa nostra. Per me la priorità dunque, è questa: in che modo attrezzare un Paese per difendersi da questa nuova economia “combat“, aggressiva quanto le guerre di predazione del sedicesimo e diciassettesimo secolo, da questo nuovo comparto economico, da questo nuovo mercato che si sta profilando come interessante per alcuni. Può essere al limite con l’intelligence e lo spionaggio, come abbiamo visto. In realtà il discorso che dobbiamo tener presente è come ci difendiamo noi da queste intrusioni. E da questa colpevole incompetenza. Ribadisco: l’apparato difensivo del nostro paese deve essere costruito a partire dalle nostre università.
Gianluca Capozzoli – L’Espresso
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