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Nella presentazione vengono affrontati due argomenti, entrambi rilevanti ai fini della comunicazione e dell’interazione con gli altri da parte dell’organismo umano: 1) l’interazione tra il proprio cervello (e “resto del corpo”) ed il cervello altrui, in tutte le forme di comunicazione sociale (tra leader politico ed elettore, tra capo azienda e dipendenti, tra comunicatore che deve vendere un progetto, un prodotto, o comunicare qualcosa ed i propri interlocutori); 2) la parte dell’organismo coinvolta nell’interazione uomo-macchina e quindi in tutte le forme di interplay con sistemi di intelligenza aumentata o di intelligenza artificiale.
In entrambi i casi l’approccio seguito è quello “fisiopatologico“.
In termini facilmente comprensibili anche da parte dei non superspecialisti, vengono forniti da parte di un clinico, un fisiopatologo, Direttore di un Istituto di Medicina, le basi per comprendere il funzionamento degli organi, delle strutture organismiche e dei percorsi funzionali che sono coinvolti da una parte nella comunicazione sociale, quella in grado di suscitareemozioni, sentimenti, desideri, aspettative e, dall’altra, in quella che sta alla base della cosiddetta “intelligenza artificiale umanizzata”.
Quest’ultima può essere utilizzata sia per progettare o far funzionare nuove forme di intelligenza, che nell’interazione a livello dell’interfaccia uomo-macchina, quando vengono utilizzati “strumenti intelligenti”, sia per acquisire o elaborare dati, che siano sensibili o riservati, che in tutte le attività o situazioni in cui sempre più frequentemente l’uomo moderno fa ricorso ad uno strumento o ad un device dotato di sofisticata tecnologia digitale o robotica, o in grado di fornire o facilitare interazioni o esperienze “aumentate”.
Nell’organismo umano esistono circa 360 circuiti funzionali, che vengono utilizzati nelle attività e nei comportamenti quotidiani:alcuni presiedono a funzioni essenziali per la sopravvivenza, come l’immunità, il metabolismo, la reazione allo stress, o la difesa in caso di minacce per l’incolumità personale. Altri circuiti vengono utilizzati per entrare in sintonia con gli altri, sia per apprendere, imitare, comunicare, ma anche per cercare di “prevedere” i comportamenti altrui.
Su questi ultimi circuiti, di recente implementati grazie alle conoscenze sempre più approfondite dei neuroni specchio, del circuito dopaminergico della ricompensa, o delle strutture cerebrali profonde che sono alla base dell’emergenza del “self” e dell’ “altro da sé”, sono stati di recente basate tutta una serie di elaborazione da parti di esperti della comunicazione, di “persuasori occulti”, di “king maker” piuttosto che di consiglieri di leader politici o economici per preparare le migliori strategie di comunicazione allo scopo di avere successo e /o riuscire a convincere gli altri.
Lo studio analitico del corpo umano permette di conoscere in dettaglio quali sono i meccanismi che vengono attivati in questo tipo di interazione tra leader che vuole far passare un progetto politico ed elettore che lo accoglie e ne diventa fautore, tra persuasore occulto che mira far passare un certo tipo di “manipolazione” mentale (sul web, attraverso i media o le piattaforme di interazione sociale), attraverso i like o il sottile gioco tra “influencer” e “follower”, o tra “soggetto dominante” e “dipendente”, o individuo pronto a subirne l’influenza.
Attraverso l’analisi dei circuiti e dei meccanismi è possibile sia attivare modalità per implementare l’interazione e quindi il successo del messaggio, fino a generare una sorta di “dipendenza”, o la sensazione che non si riesca a sfuggire alla “seduzione” del messaggio stesso, che mettere in atto strategie per neutralizzare l’effetto seduttivo del persuasore occulto, nel caso che invece ci si voglia proteggere da questo tipo di “manipolazioni”.
Queste strategie sono sempre più utilizzate da grandi aziende ad elevata tecnologia che sfruttano i meccanismi di funzionamento del cervello sociale per far passare messaggi commerciali o per facilitare messaggi che siano funzionali alle proprie finalità. Queste strategie possono rappresentare, insieme con gli attacchi informatici, o alla possibilità di “insider” di penetrare nel cuore delle conoscenze delle PMI, riuscendone a carpirne i segreti, un modo più subdolo, ma dalle conseguenze altrettanto insidiose e nefaste, se non adeguatamente compreso e contrastato in maniera efficace.
Di recente si è occupato delle interazioni tra adolescenti e anziani, tra leader politici ed elettori, tra artisti visuali e spettatori nel godimento dell’opera d’arte e di dipendenze legate al gioco o alla rete, come la ludopatia e la dipendenza dal web, o lo shopping compulsivo.
Due volumi, usciti di recente nella seconda metà del 2019, indagano le “strategie per condizionare l’opinione pubblica”.
Si tratta di “La razza e la lingua” di Andrea Moro (la Nave di Teseo) e “La lingua disonesta” di Edoardo Lombardi Vallauri (Il Mulino), che tornano a soffermarsi sul nesso tra lingua e propaganda, e sulle diverse strategie, grazie alle quali la lingua può diventare strumento di persuasione.
Le strategie più efficaci, secondo questi due saggi, non sono mai quelle dirette e frontali.
Sono quelle più insinuanti e insidiose, che poggiano su una serie di “non detti” e “presupposti”, coincidenti spesso con altrettanti pregiudizi. Riescono a mettere in moto riflessi linguistici condizionati: risposte quasi inconsapevole del nostro cervello.
Anche se non è più di moda parlare di demistificazione è importante riconoscere queste strategie per non ritrovarsi a subirle passivamente
Come esempio, la frase: “Tornare ancora servi? Diciamogli di no! Basta con le solite chiacchiere: ora è il momento di fare”
Queste frasi sembrano già lette e sentite migliaia di volte, magari accompagnate da qualche “immagine” ad effetto: perché, quando parliamo di “strategia della persuasione”, il contenuto verbale conta molto meno di quello che passa attraverso i sensi. Sono frasi sempre efficaci. Soprattutto se, in una congiuntura economicamente difficile, fanno leva su un generale malcontento, sulla voglia di rivalsa di chi si sente penalizzato.
Sono efficaci soprattutto perché veicolano una serie di messaggi impliciti, veementi ma vaghi: perfetti per suscitare in noi una reazione istintiva senza passare per il vaglio della razionalità.
I contenuti più pericolosi di questi messaggi sono quelli impliciti. Infatti, mentre un giudizio, un ordine, un invito esplicito attivano forme quasi automatiche di difesa, nuove “strategie linguistiche” basate sull’implicito riescono ad aggirare quella diffidenza per convincere eludendo la vigilanza critica del destinatario. Infatti sono le più usate dalla propaganda politica e pubblicitaria degli ultimi anni. La forza delle presupposizioni nasce dal fatto che distolgono l’attenzione da certe informazioni riuscendo a darle per scontate. Nella frase “Tornare ancora servi”? Il verbo presuppone l’idea di qualcosa che già c’è stato: un governo precedente, ad esempio. Una parola sgradevole, come servi collega a quella frase è una sensazione di disagio e oppressione. Ma non viene detto “servi di chi”: Un’altra condizione che lascia in parte impliciti i contenuti trasmessi dai messaggi linguistici è la vaghezza. Molto meglio riferirsi a un astratto “loro”: quelli che comandano e decidono che cosa si farà a loro piacimento. Quelli che sonocontro di noi, secondo la contrapposizione evocata immediatamente dopo dalla prima persona plurale, “diciamogli”, a lui, a lei, ma anche a loro: “c’è chi dice no”.
È molto più facile far dire a qualcuno no, piuttosto che fargli dire sì. È sempre più facile mettere d’accordo le persone su una criticadestruens che non su una proposta construens.
In “Basta con le solite chiacchiere” c’è quel basta che è un’altra maniera di dire no e quel solite che attribuisce le chiacchiere, per definizioni inutili e inconcludenti, ai soliti loro del solito – implicito-passato. La presunta inversione di rotta passa per quel “‘ora” che al passato contrappone un diverso presente, facendo balenare uno futuro del fare.
Ma fare che cosa? Tutto si regge sul vuoto stereotipo dei “fatti, non parole”: quando, invece, tutto sta proprio nelle parole. Tanto che sarebbe il caso di recuperare la provocazione di Roberto Benigni all’inaugurazione di un corso di formazione: “Tutti vidicono fatti, non parole. E io vi dico invece: Prima di tutto parole, parole, parole”… questo costituisce il presupposto universale.
Stereotipi e pregiudizi agiscono anche nella nostra più generale concezione della lingua, ci avverte Andrea Moro, e rischiano di alimentare forme di razzismo basate non sui tratti somatici ma su quelli linguistici. Sull’idea potenzialmente pericolosa che esistano lingue migliori di altre, e dunque che i parlanti di quelle lingue siano intellettualmente superiori.
La prima volta che viene usato l’aggettivo “ariano” è in un saggio di linguistica del 1864, per definire le lingue indo-europee considerate più complete e funzionali delle altre. Anche se non era nelle intenzioni dei glottologi, la strumentalizzazione propagandistica arriva poco dopo e – nel nome di una razza ariana– , salda la presunta superiorità linguistica a quella fisica, psicologica e sociale.
Gli esiti saranno quelli devastanti del nazismo.
Ecco perché è bene avere sempre presente che “non esistono lingue più semplici o più complesse, non esistono lingue più evolute e lingue primitive, e neanche lingue geniali e lingue banali”.
Come radicale soluzione ai rischi che queste gerarchie possono creare, Moro indica la teoria del linguista americano Noam Chomsky, convinto da tempo che “tutti gli essere umani nascano esattamente con le stesse istruzioni geneticamente determinate per arrivare a costruire e interpretare tutte le lingue possibili”.
La sfida è oggi – per le teorie linguistiche di Chomsky, ma anche per le strategie della persuasione- trovare conferma in evidenze sperimentali di tipo neurologico.
I dati neurobiologici sulla sintassi, scrive Moro, corroborano l’ipotesi che “per lingue diverse si attivi essenzialmente la stessa rete neuronale”.
Lombardi Vallauri dedica un intero capitolo alla verifica dell’ipotesi per cui il “cervello processa diversamente ciò che il linguaggio presenta diversamente”.
Gli esperimenti comportamentali confermano che le informazioni contrabbandate in modo implicito tendono ad essere accettate colmaggiore passività; gli esperimenti neurofisiologici sembrano dare risultati diversi, forse perché “i correlati cerebrali della vigilanza epistemica restano da scoprire”. Ma è proprio su questa vigilanza che bisogna lavorare: Sulla consapevolezza che chi vuole convincerci qualcosa, ci presenta quella cosa come meno importante.
Come l’illusionista che svia il nostro sguardo dal trucco, o come quel contrabbandiere di biciclette che, per ingannare il doganiere, portava sempre pacchi ingombranti sul manubrio. Sta a noi mantenere alta la soglia d’attenzione: evitare di “pensare con la pancia”, e cercare di “pensare col pensiero”. Perché “la lingua batte dove la mente duole”.
(Giuseppe Antonelli “Così la propaganda si prende gioco di noi”, in “La lettura”, Corriere della Sera 20 ottobre 2019).
Recensito anche “Dominio e sottomissione” di Remo Bodei, che tratteggia il ruolo della macchina che ha sostituito l’uomo nei lavori “pesanti” e lo sta superando in quelli “pensanti”.
La “Macchina”, che deriva dalla parola greca che significa astuzia, poiché “inganna la natura”, ha finito per diventareantagonista dell’umano, riducendo l’occupazione e minacciandone la supremazia.
L’ evoluzione dell’intelligenza artificiale ha aperto anche le porte a un’insolita lotta di classe: “Il diritto degli essere artificiali alla loro dignità. Potrebbe essere la nuova frontiera della libertà”.
Commento
Con l’approccio fisiopatologico alle strategie della comunicazione insinuanti ed insidiose, che mirano allapersuasione occulta e a condizionare le nostre scelte ed il nostro modo di pensare, non solo “dissezioniamo” il linguaggio, la strutturazione della frase, i messaggi diretti e quelli subliminali in essa contenuti, ma andiamo ad analizzare come funzionano i meccanismi del cervello e dell’intero corpo che governano le nostre risposte sia di tipo razionale, che quelle di pancia.
La strategia della comunicazione fa un uso sempre maggiore delle conoscenze che riguardano i “meccanismi di apprendimento” e quelli di memorizzazione, ma anche delle strategie per aumentare il ricordo e la sensazione piacevole o spiacevole di un evento.
Ad esempio, anche nei “grandi magazzini”, si fa un uso sempre più grande delle strategie di “sinestesia”. Nella forma più semplice e diffusa, consiste nell’accoppiare parole, o oggetti ad immagini, cariche di significato evocativo, come nella maggior parte degli spot pubblicitari. Ma se si riescono a stimolare contemporaneamente più sensi, la memoria aumenta vertiginosamente.
Un ricordo viene immagazzinato non solo nella memoria a breve termine, ma anche- a livello dell’ippocampo – nella memoria a lungo termine, se viene associato alla stimolazione contemporanea di più sensi. È lo stesso principio dell’orgasmo sessuale, (in cui il piacere prevede lo stimolo contemporaneo di più sensi: tatto, vista, olfatto, gusto etc), ma anche del piacere dell’arte, in cui se l’artista visuale è un grande artista, riesce a stimolare nello spettatore “affine” (l’effetto non è uguale in tutti, ma dipende dalla creatività, dalla sensibilità e dalla “cultura” dello spettatore, che “completa l’opera”) una sorta di “orgasmo sinestesico”.
Alcuni dislessici, o alcuni soggetti affetti da autismo e dotati di particolare talento artistico o di memoria straordinaria (sindrome di Asperger, autistici “savant”)associano i numeri ad immagini, hanno una particolare sensibilità per i colori o per i profumi, in grado di stimolare ricordi ( le pétites madeleines di Proust). Ma anche se la sinestesia a livelli patologici è una “malattia” (sapori amari o disgustosi quando si pensa a qualcosa di particolare), viene ampiamente sfruttata nella persuasione occulta a scopo commerciale.
Ad esempio, in uno shopping center le vendite si sono impennate vertiginosamente quando nel reparto di profumi e indumenti maschili è stato introdotto un profumo di rosa ed in quello femminile quello di cannella, perché studi specifici hanno dimostrato che il maschio viene indotto allo shopping quando prova quell’odore e la femmina quell’altro. ma non vale l’opposto. C’è una precisa specificità di genere. Si sa che l’amigdala, che funge da direttore d’orchestra delle nostre emozioni a livello cerebrale, è “strutturata” diversamente nel maschio e nella femmina. Ad esempio, per quanto riguarda il ricordo di eventi ricchi di una particolare valenza emotiva ( motivo di bisticcio all’interno della coppia), mentre il maschio ricorda vagamente il litigio, la femmina, anche a distanza di anni, è in grado di ricordare con dovizia di particolari la sequenza esatta degli eventi di un avvenimento, (la scena, chi era presente, come erano vestiti i presenti) a cui il suo cervello ha attribuito una particolare valenza emozionale.
Un ulteriore commento merita il discorso dell’illusionista o del contrabbandiere di biciclette, come esempio di chi cerca di distogliere l’attenzione per far passare un messaggio o una narrazione che a lui/lei interessa di più. Questo non è semplicemente un trucco da cui guardarsi, ma è il meccanismo alla base dell’arte e della rappresentazione artistica. Anche in questo caso, non si può denigrare il tutto come “dabbenaggine” o stupidità da parte di chi si fa turlupinare, ma anche questo esempio deve costituire un momento di approfondimento per studiare meglio i meccanismi del pensiero che sono alla base dei comportamenti umani.
L’arte è un “ponte” tra l’artista creativo ed il suo pubblico, tra il pittore, -il quale non dipinge quello che vede, ma quello che sente e come si sente in quel determinato momento- e lo spettatore che completa l’opera cercando di penetrare nel cervello sociale ed emozionale dell’artista, per completarne l’opera. L’artista è riuscito a stimolare l’attenzione dello spettatore, ma anche a sedurlo, a mostrargli la realtà come egli vuole che lo spettatore la veda, attraverso i suoi occhi, con le sue selezioni, estrapolazioni, semplificazioni, astrazioni. In altre parole l’artista sta mostrando una visione distorta della realtà. usando tutti i trucchi visivi e percettivi che conosce, per “farlo godere suo malgrado”. Lo sta imbrogliando.Ma gli provoca piacere. E se l’artista è grande e l’opera d’arte è un capolavoro, questo “imbroglio”, questa grande illusione, ha effetti benefici, sia sul singolo spettatore, che per la trasmissione, la diffusione e l’evoluzione del pensiero sociale.
Molti giornalisti e critici letterari o politici mettono in guardia dall’arte della menzogna e dalle “fake news”. La mancanza di “sapere critico” e di capacità di discernere in maniera scientifica tra vero e falso è uno dei maggiori problemi del mondo contemporaneo, che non si risolve solo fornendo di volta in volta la soluzione esatta alla domanda “vero o falso”, con un’operazione di “fast check”, ma insegnando ed apprendendo il “sapere critico”, il “peso” da dare alle varie argomentazioni quando entrano in conflitto, o possono apparire in disaccordo tra loro. E questo non è un compito facile, o che si insegna ed apprende velocemente.
Certamente un corso di intelligence dovrebbe anche aiutare o stimolare l’acquisizione del “sapere critico”: ma questa acquisizione trascende i compiti di un semplice corso di studi.
Quello che merita sottolineare è che l’arte della menzogna è un’arte ampiamente diffusa, e da tenere nel dovuto conto per evitare scelte errate e decisioni fuorvianti, ma è anche un atteggiamento ed un comportamento complesso del nostro organismo, che non ha solo valenza e funzione negativa. Simulare e dissimulare, trasformare, semplificare, astrarre, mitizzare, sedurre l’uditorio focalizzando l’attenzione sull’essenziale e tralasciando il superfluo, sono anche tra le funzioni più nobili del nostro pensiero.
Così come oggi consiglieri accorti, piuttosto che giornalisti o opinionisti dei vari media mettono in guardia dall’incremento esponenziale delle menzogne e delle fake news, un secolo fa Oscar Wilde metteva parimenti in guardia dalla “decadenza della menzogna” e dagli effetti deleteri che questo decadimento della capacità di “inventare”, trasformare, mitizzare, può avere sulla qualità dell’arte e sulla creatività in generale.
Diceva :”La gente piange per le vicende di Ecuba e degli altri personaggi della tragedia greca, anche se sa benissimo che non sono storie vere, mentre si emoziona meno per i disastri e le disgrazie della vita quotidiana, che sono veri. Perché Ecuba è un simbolo, ma soprattutto ha avuto un grande “illusionista” che è riuscito a raccontarne così bene la storia, che gli spettatori continuano a commuoversi, anche a distanza di secoli”.
Anche se non bisogna farsi abbindolare dalle “fake news” ed è opportuno affinare quanto più possibile il “sapere critico”, non si deve però dimenticare che l’arte della menzogna è uno dei prerequisiti dei grandi creativi, degli artisti, ma anche dei pensatori e dei leader politici che sulla propria “comunicazione distorta della realtà” (selezionando solo 4-5 idee-guida e poi ribadendo l’attenzione sempre su quelle) costruiscono spesso la propria fortuna personale, a cui legano a volte anche i destini di popoli e nazioni.
Siccome la capacità di astrazione e semplificazione, lo “spostamento del picco”, la creazione di un’aura di enigma e mistero, l’ambiguità, il detto e non detto, l’illusione sono meccanismi diffusamente presenti e variamente intrecciati nel nostro cervello e nel nostro organismo, sottovalutare la portata di tutto ciò che riguarda l’ambiguità, l’enigma, l’illusione, o l’arte della menzogna, può dimostrarsi una scelta errata.
Anche in questo caso, un corretto approccio fisiopatologico agli organi e ai circuiti che producono i vari tipi di menzogna e le varie finalità per cui la distorsione della verità viene perseguita, può contribuire a “saperne di più” e ad accrescere il “sapere critico”.
Moro fa riferimento a Chomsky e alla sua grammatica universale,e all’assunto secondo cui “tutti gli essere umani nascono esattamente con le stesse istruzioni geneticamente determinate per arrivare a costruire e interpretare tutte le lingue possibili”.
In realtà, Chomsky, che è stato uno dei maggiori linguisti del Novecento, rivoluzionando questa disciplina a partire dagli anni 60 del Novecento, è “datato”.
Cavalli-Sforza, che viene considerato lo scienziato che ha fornito la dimostrazione scientifica della bontà della teoria “Out of Africa”, utilizzando i dati della ploidia nello studio dei gruppi sanguigni, è stato di recente considerato anch’egli “datato”.
Cavalli-Sforza ha basato le sue conclusioni sull’anali genetica di 60 loci di DNA mitocondriale.
Questi dati sono stati confutati, e considerati falsi o inattendibilinel 2018 dal suo allievo David Reich, che ne ha criticato i risultati sul piano tecnico e tecnologico.
I dati di Reich derivano dall’analisi di ben 600.000 loci analizzati con la tecnologia “genome wide” e sono quindi estremamente più precisi ed affidabili di quelli di 30 anni fa di Cavalli-Sforza.
Analogamente si può affermare che tutte le ipotesi sulla grammatica universale, sul linguaggio come espressione esclusiva del pensiero, e sulla genetica degli anni ’60-80 del Novecento, che Chomsky poneva alla base delle sue teorie, sono stateampiamente superate dalle più recenti scoperte della genetica e della biologia molecolare, dal ruolo di crescente importanza assunto dall’epigenetica nelle varie finestre di suscettibilità nel corso dello sviluppo, e soprattutto dai recenti studi sulle “features” per quanto riguarda la codifica a livello cerebrale dei suoni che costituiscono le parole che utilizziamo nel linguaggio.
Secondo gli studi di Mesgarani e coll, alla base del linguaggio, della sua codifica e della sua elaborazione cerebrale non ci sarebbe il “fonema”, come più piccolo atomo logico dotato di significato, che viene recepito e codificato in maniera autonoma, sulla base del significato e del fatto che il cambio di consonante fa cambiare significato al fonema, ma le “features”, cioè i caratteri, le variazione di stati di funzioni del corpo, che sono alla base delle differenze tra consonanti plosive e fricative. Le prime (d,p, t, d) vengono percepite, immagazzinate e codificate dal cervello tutte insieme, perché il resto del corpo trasmette al cervello lacontrazione del diaframma e la contrazione dei muscoli intercostali necessari per determinare l’arresto del respiro che genera questo tipo di consonanti; mentre le seconde (s,r,z) sono percepite, codificate e immagazzinate insieme in maniera indistinta e non differenziata tra loro, in quanto espressione del restringimento del canale vocale determinato dalla contrazionedei muscoli del laringe. In altre parole il resto del corpo comunica con il cervello, non usando un linguaggio basato sulla logica, ma sulla variazione degli stati di funzione corporea,( contrazione o rilasciamento di alcuni muscoli, funzione aumentata o diminuitadi un certo organo o viscere), cioè un linguaggio fisiopatologico.
Pertanto, sono errate le conclusioni ed i corollari della teoria “Out of Africa”, ma anche quelle insite nella teoria di Chomsky, per cui tutti gli uomini sono uguali, in quanto tutti discendenti dagli stessi antenati africani e tutti figli degli stessi Adamo ed Eva Etiopi.
Non c’è nulla di più falso. Gli uomini sono tutti diversi l’uno dall’altro.
Anche se presentano un elevatissimo grado di omologia genetica tra loro, un simile grado di omologia (poco minore in percentuale) ce l’hanno anche con le scimmie. Non è la genetica quella che determina esclusivamente la comparsa dei caratteri e dei comportamenti. Anche se è importante per la predisposizione generale e per la trasmissione di alcuni schemi di comportamentoed apprendimento comuni, poi è il mix di genetica ed epigenetica che determina la struttura finale dell’organismo, che presenta 7 miliardi di individui diversi che vivono sul pianeta e, pur essendo dotati di alcune strutture comuni, sono poi profondamente diversi per molti aspetti della struttura individuale.
È su questa differenze che si basa la sostanziale diversità tra “arte del linguaggio”, posseduta da tutti, e “linguaggio dell’arte”, posseduto solo da una sparuta minoranza di “diversi”.
Pertanto, anche se è vero che un bambino nato in Nuova Guinea, se trasferito subito dopo la nascita a Londra o a New York, è in grado di apprendere l’inglese entro i 3 anni, e che per lingue diverse si attivano sostanzialmente le stessi reti neurali, ciò non significa che a livello dei 360 circuiti funzionali dell’intero organismo (di cui quelli coinvolti nel linguaggio sono solo una parte) poi non esistano sostanziali differenze interpersonali, non solo di utilizzo, ma anche di struttura, che condizionano la variabilità individuale.
È vero che il “cervello processa diversamente ciò che il linguaggio presenta diversamente”.
Ma ancora una volta l’approccio fisiopatologico ci mette sulla buona strada e ci insegna che cosa è da “intendere per linguaggio”: non il linguaggio dei linguisti basato sulla logica o sul “senso”, ma il linguaggio del corpo basato sulla variazione di stati di funzione di organi e visceri che vengono costantemente comunicati dal resto del corpo alla centrale cerebrale.
Passando infine ad analizzare le differenze tra informazioni esplicite ed implicite, e tra messaggi trasmessi usando strategie insinuanti ed insidiose invece che dirette e frontali, piuttosto che “spiegare le parole con altre parole”, come fanno gli psicologi e gli psicoanalisti, e cercando invece di analizzare le alterazioni di organi e circuiti che guidano e controllano il pensiero ed il comportamento, come i nuclei della base, (substantia nigra, area tegmentale ventrale, nucleo accumbens, striato ventrale), che presiedono ai meccanismi della ricompensa, o i centri preposti ai sentimenti della paura, dell’insicurezza, del dolore, del piacere, (amigdala, corteccia cingolata, insula, ippocampo, corteccia frontale ventro mediale) si ottengono risultati dotati di maggiore riproducibilità dal punto di vista scientifico.
Il problema non è solo quello di comparare i dati degli studi comportamentali con quelli di tipo neurofisiologico, cercando di scoprire sulla base dell’equivalenza mente= cervello i correlati della “vigilanza epistemica”. Questi son saranno mai scoperti in maniera rispondente a criteri di scientificità oggettiva, perché andando alla ricerca di semplici correlati neurali e non di corrispettivi anatomo-funzionali, sarà sistematicamente ignorata quella componente di linguaggio che deriva dagli stati di funzione del resto del corpo.
Si parla di vigilanza e di coscienza, di razionalità, in contrapposizione al “basso istinto”.
Ma questo tipo di divisione ignora che l‘inconscio entra a pieno titolo anche nelle scelte razionali così come non risolve la questione nel senso desiderato da chi dà il suggerimento, invitare a pensare col pensiero e non “con la pancia”.
Il comportamento umano è regolato e segue le direttive sia delcervello enterico e dell’asse entero-epato-cerebrale, che del pensiero razionale. Così come nel caso della coscienza distinguiamo una coscienza percettiva (che include anche i “qualia”), una coscienza decisionale ed una soggettiva (io vedo il colore rosso), così l’organismo umano decide con l’insieme dei vari strumenti a disposizione: cervello enterico, cervello creativo col suo pensiero divergente, piuttosto che cervello analitico-razionale. L’organismo decide in maniera eclettica, sulla base delle esperienze precedenti, ma anche a seconda dei problemi da affrontare.
Un fattore di non secondaria importanza è il fattore tempo.
Se c’è molto tempo per pensare e riflettere, per analizzare, rimuginare come è prassi per le questioni che vengono discusse dalle élites illuminate, il pensiero analitico o sintetico, ma comunque razionale, rappresenta il modello privilegiato. Se invece il tempo è breve come nella reazione “combatti o fuggi in condizione di pericolo o di emergenza, se la scelta equivale di più ad un riflesso condizionato, che può interessante sia il like che si aggiunge d’istinto ad un’immagine su Watsapp o Instagram, piuttosto che l’empatia a pelle, o il consenso delle masse nelle adunanze popolari, è un grosso errore sottovalutare il ruolo di coloro che parlano alla pancia. A dispetto delle élites illuminate e amanti del politically correct, che inneggiano alla razionalità, sarà quel tipo di cervello ( il cervello enterico, quello che si basa sull’asse entero-cerrebrale e sui nuclei della base encefalica) quello ad essere più ascoltato.
È ovvio che in un corso di “intelligence”, in cui si prova a spiegare i meccanismi che “stanno dietro” sia alle scelte razionaliche a quelle inconsce, alla reazione immediata alla paura e all’apprendimento mediante riflesso condizionato, che alle strategie messe in atto dai persuasori occulti, si prova ad insegnare come contrastare le tecniche degli avversari, che utilizzano l’insinuazione, la vaghezza, e la propaganda. Ma bisogna al tempo stesso sottolineare che sottovalutare o denigrarei meccanismi che fanno riferimento al cervello enterico, liquidandoli come bassi istinti, espressione delle parti meno nobili e più animalesche, può costituire un errore imperdonabile quando si prova a costruire “una strategia vincente”.
Infatti, non c’è solo il razionale, l’illuminato ed il politically correct, che è parte integrante dell’organismo umano, ma anche il cervello enterico, la componente emotiva, irrazionale ed inconsciache spesso è quella che guida molte delle nostre scelte.
Con l’approccio fisiopatologico si impara a conoscere meglio l’organismo umano ed i meccanismi che lo guidano, riuscendo a stabilire con maggiore precisione “which is which”, cioè qual’è il ruolo delle varie componenti e qual’è il loro peso relativo nei vari frangenti, nei vari tipi di decisione da prendere, anche in funzione del tempo a disposizione e del tipo di risposta da dare.
Prof Francesco Cetta,
Docente Iassp, già direttore di Clinica Dell’Università di Siena, esperto di creatività, “intelligenza artificiale umanizzata” e di interazione a livello organismico nell’ambito delle relazioni sociali.
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03Oct
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