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Oct
Un funzionario interno si occuperà di segnalare i contenuti non conformi alla linea di governo; Facebook avrà 36 ore di tempo per cancellare i contenuti degli utenti segnalati.
A farne le spese è la democrazia e la libertà di espressione, in un momento storico dove le proteste e il dissenso vengono ampiamente costruite ed alimentate attraverso le piazze virtuali. Le azioni dei diversi governi centrali sono incentrate sulla continua repressione di qualsiasi forma di dissenso verso la linea di regime. Oggi l’unico ostacolo ad una comunicazione unilaterale restano le piazze virtuali, fino ad ora inaccessibili al confinamento nazionale. Negli ultimi 5 anni ci sono stati diversi tentativi di aggirare il pluralismo che facebook, twitter, linkedin ed Instagram permettono. Uno di questi è il rappresentate nel paese di fruizione della piattaforma. Ad introdurre la figura chiave, nel 2018, è stata la Turchia.
Il rappresentante aiuterà i governi a reprimere il dissensoSecondo la legge, approvata alla fine del 2020 dal Parlamento turco su diretta proposta del partito fondato da Erdogan, il governo dovrà avere una maggiore presenza in termini di sorveglianza sulle attività degli utenti turchi all’interno della piattaforma. Il contenuto del testo di legge prevede che le piattaforme che registrano, al momento dell’entrata in vigore della legge, più di un milione di utenti attivi al giorno, dovranno nominare un rappresentante legale nel paese, rigorosamente di cittadinanza turca. Se la piattaforma non dovesse intervenire e seguire scrupolosamente le indicazioni, il governo si riserva il diritto di intervenire con multe e riduzione della banda di internet fino alla sospensione del servizio. Come si legge sull’eastjournal, nel solo mese di marzo 2021, circa 100 giornalisti sono stati chiamati a comparire davanti ad un giudice nel paese.
Il tentativo turco è una mossa chiara, atta a frenare le libertà individuali indipendenti, oggi permesse dalla liquidità dei controlli, con seguente scarso potere di censura da parte dei governi dittatoriali.
La strada è segnata. In questa direzione, la scorsa settimana in Kazakistan è stata approvata una legge che impone tassativamente ad aziende proprietarie di piattaforme social media e app di messaggistica, non interne al paese, di aprire un ufficio di rappresentanza nei confini nazionali, affinché si possano filtrare e tenere online solo i contenuti ritenuti idonei. La legge permetterebbe la rimozione e la censura dei post di dissidenti, avversari politici, critici, giornalisti non filogovernativi che oggi trovano in Facebook, Twitter, Linkedin, Tik Tok, le uniche finestre di affaccio sulla possibilità di illuminare contesti e situazioni di crisi e violenza.
Nello stesso comunicato stampa del governo di Nur Sultan, si legge che “la procedura semplificherebbe la gestione delle richieste ufficiali per rimuovere i contenuti illegali”.
Il punto è proprio questo. Contenuti “Illegali”, per i governi che occupano posizioni di allerta nella classifica Freedom global Index è un punto controverso e molto relativo, in quanto a decidere il quando, come e per quale motivo un contenuto sia illegale come gli stessi parametri con cui un contenuto diventa illegale, sarà a totale gestione del paese che ospita l’ufficio di rappresentanza.
Facebook avrà 36 ore per rimuovere i contenuti segnalati
L’India ha fissato un limite di tempo, stabilito in 36 ore, a disposizione dei moderatori della piattaforma, per rimuovere qualsiasi contenuto segnalato dal funzionario attivo nel paese al servizio del governo di Modi. Il commento della piattaforma non è rassicurante e suona come un campanello di allarme,“dobbiamo discutere di alcune questioni che necessitano di più impegno con il governo”. Questo lascia intendere che, seppur con alcune modifiche, non ci saranno opposizioni della piattaforma in India, Kazakistan e Turchia e, sopratutto, creano un precedente importante per tutti i governi che oggi portano avanti azioni di violenza alla libera manifestazione del pensiero. E’ allarmante. Le piattaforme oltre che essere una voce chiara e forte, sono un luogo di incontro, dibattito e aggregazione.
L’importanza dei Social Networks: nel 2010 Wael Ghonim organizzò su Facebook un evento che aprì alle dimissioni del Presidente Mubarak
L’8 giugno del 2010, Wael Ghonim, dirigente marketing in Google, dopo aver trovato in rete una foto di un volto insanguinato e trascinato via dalle autorità egiziane, poi ridotto in fin di vita, ha creato un evento online “Oggi hanno ucciso Khaled” e creando la pagina “ We are all Khaled Said”. Dopo tre mesi dalla creazione della pagina, contava 250.000 iscritti e dalla piattaforma, migliaia di attivisti si sono riversati nelle strade confluendo in Piazza Tahrir nel Cairo. La protesta portò in poco tempo, in seguito alla crescente pressione per lo scoppio delle Primavere Arabe, ad una immediata ritirata politica terminata con le dimissioni del Presidente Mubarak e la fine del regime lungo 30 anni. Oggi in Egitto governa Abdel Fattah al-Sisi che ha portato ad uno scenario catastrofico di totale censura e repressione di ogni forma di libertà ed espressione critica individuale. Nella classifica Freedom House l’Egitto si è classificato con un punteggio totale di 21/100 totalizzando 7/40 in tema di diritti politici e 14/60 in diritti civili. A farne le spese le centinaia di attivisti che sono stati imprigionati negli ultimi 5 anni. Tra questi Patrick Zacky, accusato di terrorismo per aver scritto un articolo in cui accusava il governo centrale di violenze sulla minoranza religiosa di fede cristiana Copta.
Al-Sisi non è nuovo a tentativi di creazione di canali indipendenti. Nel 2018 in Egitto viene lanciato Egypt Face. I fondatori rimangono nell’ombra, ma diverse fonti di analisi riferiscono che dietro il progetto si nasconde il governo egiziano. I media locali hanno riferito che Yasser al-Qaedi, ministro per le comunicazioni, aveva riferito con settimane in anticipo di un progetto del governo di Al-Sisi di lanciare un degno rivale dei “giganti tecnologici”. L’operazione, a detta di al-Qaedi, si inscrive in un tentativo del governo centrale di difendere e salvaguardare entro i perimetri nazionali i dati di milioni di cittadini egiziani.
Di Redazione, RB
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