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Jun
Le micro e piccole aziende italiane rappresentano il 93,6% del totale delle aziende presenti nel paese e contribuiscono per il 25,3%, dell’export.
In termini numerici si tratta di 3,5 milioni di micro imprese e 180.000 piccole imprese (con meno di 50 dipendenti), laddove le medie imprese sono 19.000 e le grandi circa 3.000. Il contributo all’export delle micro e piccole imprese conta di un numero di attori poco internazionalizzati, complici del livello tecnologico medio-basso rispetto alla panorama delle aziende EU, aggiungendo una diffusa scarsità di risorse e di una cultura aziendale spesso poco rivolta ad un approccio internazionale.
Come nota IlSole24ore: “Probabilmente questo funzionava fino ad un decennio fa, quando il mercato solo da poco si era affacciato alla ribalta del consumo mondiale, e soprattutto con un consumatore poco sofisticato. All’epoca bastava avere un marchio dal nome ed allure vagamente occidentali ed un po’ di distribuzione in Cina e il gioco era fatto. Qualsiasi cosa che venisse esportato in Cina veniva voracemente consumato, e nulla tornava indietro. Poi però le cose sono cambiate e sia il consumatore che il mercato si sono evoluti”.
Il Caso Oreo
Il 2005 è l’anno di svolta da un punto di vista di strategia aziendale. La strategia di market-entry nei nuovi mercati fino ad allora vedeva l’ingresso come un “copia e incolla parallelo”. Clonare però il modello USA era ormai una strategia che generava scarse performance: il caso Oreo si presta bene a capire le dinamiche di settore, in un’ottica di ripensare al prodotto per il mercato di inserimento. La svolta strategica del prodotto, nel caso Oreo – adattabile ad ogni a diversi interventi – si basa su 3 aspetti del comparto marketing: 1) Innovazione del prodotto, 2) Momento creativo del packaging e 3) finale Advertising.
Il biscotto originale Oreo ha dovuto ripensare totalmente alla sua struttura per venire incontro alle abitudini del mercato in cui entrava, e per creare un prodotto originale per il mercato Cina, la Kraft ha testato più di 20 formule differenti, reinventando nuovi sapori, formati e confezioni.
L’obiettivo dell’azienda era diventare panorama di riferimento nel mercato cinese. Il biscotto risultava di consistenza dura, mentre ricerche nel mercato dolciario cinese, hanno mostrato come i consumatori preferissero biscotti di consistenza morbida simili a wafers. Il gioco dell’azienda, nel reinventarsi per il mercato estero, ha costruito un prodotto diverso dallo standard di riferimento – in questo caso un wafer alla crema bianca – ma che in poco tempo ha riscosso un importante successo nel mercato cinese. L’innovazione non si e’ fermata ai nuovi gusti; da una analisi di mercato si è riscontrato che la dimensione del biscotto, cosi’ come la confezione tradizionale in riferimento allo standard USA, erano troppo grandi per il consumatore cinese, si è quindi deciso un packaging ridotto nelle dimensioni per essere disponibile per la vendita anche presso i piccoli rivenditori.
5%
Oggi solo il 5% delle aziende italiane punta ad internazionalizzare il proprio prodotto. L’Italia di oggi, differentemente da alcune realtà europee, ha difficoltà sopratutto per le PMI a concretizzare una visione internazionale di business. Su 3.5 milioni di imprese, meno di 200.000 hanno una visione aperta ai mercati esteri. Tra i paesi dell’Unione Europei spiccano tra gli attori principali la Germania con export pari al 46% del PIL e i Paesi Bassi con oltre l’80%, ma anche la Spagna con il 33% e il Portogallo con il 40%, senza contare l’Irlanda dove l’export supera addirittura il PIL con ben il 120%.
Tra i problemi maggiormente sottovalutati, come denota il Sole24ore troviamo il “non investire direttamente nel mercato affidandosi a un distributore”,infatti, continua ilsole24ore affermando che: “È vero, il mercato incute timore, per la sua vastità diversità e complessità: 102 città con più di un milione di abitanti, 13 con più di dieci milioni. E se non giustifica l’investimento diretto con una filiale, il mercato che presto diverrà il più grande del mondo, che mercato lo giustifica? Per non parlare del controllo che attraverso una filiale si può esercitare su fattori strategici come la brand identity e la customer experience, fondamentali per lo sviluppo della Brand equity in un mercato così strategico”.
Di Redazione, RB
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