20
May
Gli anni del miracolo economico hanno trasformato radicalmente il Paese rendendolo a tutti gli effetti una grande potenza industriale. Le piccole e medie imprese italiane sono il motore portante dell’economia italiana, tuttavia oggi il loro lavoro è complicato da vincoli finanziari, eccesso di regolamentazione, elevata pressione fiscale e da infrastrutture logiche e fisiche in grave sofferenza.
Un primo importante punto da cui partire per migliorare la competitività delle nostre imprese riguarda la messa a disposizione di infrastrutture digitali e di trasporto adeguate. Colmare questo deficit è il primo passo verso un’Italia veramente connessa.
Connettere l’Italia vuol dire dotare il Paese di un sistema infrastrutturale moderno ed efficiente, capace da un lato di garantire a livello fisico la piena mobilità di persone e merci, dall’altro di permettere una autonomia tecnologica assicurando l’accesso a internet su tutto il territorio nazionale, ampliando l’accesso in banda larga.
È necessario ricostruire il contesto facilitante, sia logico che fisico, in cui l’impresa possa veramente “fare impresa”. Essere “connessi” significa essere competitivi. L’idea è di ripartire dai nodi del sistema nazionale, considerando le infrastrutture uno strumento strategico imprescindibile per connetterli in un’unica rete integrata e intermodale. Va inoltre incentivato l’uso della fibra e delle nuove tecnologie, estendendolo anche nelle aree oggi difficilmente raggiungibili, in un’ottica di promozione della digitalizzazione.
È una visione “servente” dell’infrastruttura indispensabile per rilanciare la competitività dell’Italia in un’economia globalizzata, in cui diventa rilevante la capacità del Paese di stabilire connessioni. La globalizzazione dei traffici ha comportato non solamente una mobilità delle merci ma anche una sempre maggiore mobilità del capitale umano, oggi ulteriormente in sofferenza per l’emergenza pandemica.
Una seconda fragilità del nostro Paese è legata alle competenze: ossia, come aggiornare e costruire un portafoglio di competenze da mettere a disposizione dell’intero Sistema Italia. Una delle preoccupazioni odierne è proprio la mancanza di uno spessore umano e intellettuale, e la difficoltà a impostare e gestire progetti di ricerca e di innovazione, a partire dalla stessa classe politica. La competenza non è più vissuta come un valore.
Il problema delle competenze non riguarda solamente il mondo delle università, della ricerca o delle imprese ma tutto ciò che esiste intorno, ovvero il tessuto connettivo della vita quotidiana che deve avere un approccio differente alla valorizzazione della competenza e del merito. Se questo avviene anche il concetto di responsabilità viene sancito più facilmente.
Unitamente alle infrastrutture e alle competenze serve poi fare in modo che le cose accadano concretamente, con coscienza e consapevolezza. Questo è il catalizzatore primario per una ricostruzione economica e sociale. La politica degli aiuti e dei sussidi non può essere la soluzione tout court. “Far accadere le cose” deve però avere un senso temporale a lungo termine. A livello politico, tuttavia, non c’è consistenza all’azione. È un’eterna ripartenza. Guardiamo per esempio all’innovazione e all’Industria 4.0, avviato con successo ma poi quasi dimenticato. La discontinuità normativa è sintomatica della carenza di una strategia governativa che abbracci i diversi campi dell’innovazione e della digitalizzazione per poter così costruire un sistema nazionale d’innovazione. Le misure adottate, anche se ben pensate, rischiano in questo modo di essere sterili nel lungo periodo, riducendosi in un supporto (insufficiente) a un ecosistema dal potenziale latente.
La ricostruzione richiede una visione politica, ordine e programmazione. Ci vuole poco a distruggere, per ricostruire invece non basta una vita.
Il momento storico che stiamo vivendo ha reso ancora più evidente la centralità del capitale umano come elemento in grado di garantire, insieme alla tecnologia, la tenuta del nostro Paese. È cambiato radicalmente il modo di lavorare e sarà sempre più importante nel mondo del lavoro mettere al centro la capacità di “imparare a imparare”, di collaborare e sapersi relazionare, la creatività, l’ascolto, la curiosità, l’empatia, l’apertura mentale. Insomma, tutte quelle abilità non cognitive in cui è essenziale il ruolo delle competenze emotive e relazionali per la crescita del capitale umano, soprattutto in un contesto come quello attuale dove il virtuale domina sul fisico.
Forse è venuto il momento di cambiare totalmente i paradigmi di un sistema dell’istruzione non più adeguato ai tempi, dando alle nuove generazioni la possibilità di formarsi con le “giuste” competenze, quelle necessarie per saper gestire la velocità dei cambiamenti, consentendo ai giovani di accedere a determinate posizioni e di avviare un percorso di carriera gratificante.
La combinazione di questi elementi per un tempo consistente (infrastrutture, competenze, progettualità, attuazione) sarebbe un volano unico per le sfide che dobbiamo affrontare. Per far sì che si avveri, dobbiamo essere capaci di traghettare questi fattori attraverso un passaggio generazionale che dia continuità a questa azione corale. Obiettivo difficile da ottenere, specialmente in una società in cui si è introdotto il germe della non cultura e dell’incompetenza (che produce un danno enorme non solo nel presente ma innanzitutto nel lascito alle generazioni successive).
In una corsa a staffetta la parte più critica, più carica di tensione, è il passaggio del testimone. Questo momento può compromettere il buono che c’è stato prima e quello che si potrebbe fare dopo. Il testimone è l’elemento tangibile della fiducia data a chi viene dopo di noi, significa correre insieme in una gara unica nella quale si deve prestare attenzione a non far cadere di mano il testimone, a non tentennare per non perdere istanti preziosi. L’ultimo tratto, quello poco prima di protendere la mano verso chi verrà dopo, richiede una grande visione condivisa e un patto generazionale. Oggi invece ci ritroviamo in una società in cui non si vuole cedere questo testimone o, quando alla fine si è costretti, lo si fa controvoglia.
Se si guarda ai nostri nonni, a chi dopo la devastazione della guerra si è messo sulle spalle il proprio Paese, è evidente che il miracolo della ricostruzione è stato reso possibile anche (e soprattutto) da una solidarietà che adesso è complicato trovare, sebbene il contesto fosse molto più difficile per disponibilità di mezzi. Si studiava con il gusto del merito e si lavorava certi di migliorare le proprie condizioni. Ora non è più così, nonostante la tecnologia metta a disposizione infinite possibilità di accesso ai dati, perché questa “conoscenza” è a disposizione di platee molto vaste. Ciò innesca una competitività inimmaginabile in passato.
Per essere competitivi nel mondo contemporaneo sono indispensabili competenze diversificate e una contaminazione costante con realtà distanti, sapendo fronteggiare l’ipercomplessità odierna attraverso la capacità di relazionarsi e lavorare in gruppo, conservando intatto il gusto del conoscere.
Di Pierpaolo Cristofori, Docente di Economia
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03Oct
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