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Dal colpo di stato del luglio 2013 e soprattutto dopo la sua elezione alla presidenza nel maggio 2014, una delle priorità di Abdel Fattah al-Sisi è stata riportare l’Egitto al suo posto sulla scena regionale, ma soprattutto ricostruire l’economia dopo la gestione disastrosa di Mohamed Morsi e dei Fratelli Musulmani, al potere dal 2012 al 2013. Infatti dal 2013 Sisi ha intrapreso una serie di riforme strutturali importanti e di vasta portata in campo socioeconomico.
Ebbene, nonostante queste misure di austerità siano accolte molto male dalla popolazione e nonostante la performance economica dell’Egitto sia elogiata da istituzioni internazionali come il Fondo monetario internazionale (Fmi), resta il fatto che l’Egitto deve ancora affrontare la povertà endemica. Proprio per questa ragione le scoperte egiziane dei giacimenti di gas costituiscono una svolta fondamentale nell’economia egiziana.
Anche se il paese ha la sesta più grande riserva di petrolio in Africa ed è al ventesimo posto per le riserve di gas naturale al mondo nell’agosto 2015, Il Cairo fa la sua più importante scoperta in un contesto energetico delicato per il Paese.
Infatti, gli egiziani hanno lottato per diversi anni per soddisfare la loro domanda locale nonostante le riserve molto grandi (2.200 miliardi di metri cubi a gennaio 2015). I motivi sono stati i consumi elevati (il gas rappresenta il 53% del consumo di energia primaria) e una politica di esportazione troppo ambiziosa verso i paesi vicini.
Scoperto dalla compagnia petrolifera italiana Eni, il mega giacimento di gas in acque profonde di Zohr — con 850 miliardi di metri cubi di gas recuperabile — è il più grande giacimento del Mediterraneo orientale. Si trova in mare, a circa 170 km dalla costa egiziana. L’estensione dei giacimenti di gas è tale che la sua area è di 100 km².
Eni lo gestisce e possiede la maggioranza delle azioni (60%). Ha venduto il resto a Rosneft (30%), una società russa, e BP (10%). Gli interessi dell’azienda Eni sono numerosi in Egitto. Dal 2010 sono stati firmati diversi accordi tra Eni e la statale Egpc (Egyptian General Petroleum Corporation) riguardanti progetti nel Golfo di Suez, nel deserto, nel delta del Nilo e nell’offshore del Mediterraneo, in cambio del coinvolgimento del gruppo Egpc nei suoi permessi in Iraq e Gabon.
Il 31 gennaio 2018, il presidente al-Sisi ha inaugurato il giacimento di gas di Zohr. Tuttavia, la produzione è iniziata a un ritmo più lento — 350 milioni di piedi cubi — ben al di sotto degli importi annunciati nel 2015, producendo un miliardo di piedi cubi al giorno.
Nella primavera del 2019, la società Eni ha annunciato la scoperta di un nuovo giacimento di gas naturale al largo del Paese, nel pozzo Noor-1 nell’area esplorativa di Noor. Fonti vicine all’azienda ritengono che il potenziale coinvolto possa essere paragonato allo Zohr.
Queste scoperte sono ovviamente un vantaggio per l’Egitto poiché il Cairo sarà in grado di produrre più gas per soddisfare la sua domanda locale ed esportare di più, il che genererà ulteriori profitti, mentre nel 2015 il governo egiziano si era rassegnato a importare gas naturale da Russia, Algeria e Israele per far fronte alle carenze di produzione.
Oggi, in attesa del pieno sfruttamento dei propri giacimenti di gas, l’Egitto sta rivedendo questi accordi come quello fatto con Gerusalemme. Quindi, più o meno a lungo termine, israeliani ed egiziani dovrebbero porre in essere importanti modifiche sull’esportazione di gas naturale firmato il 19 febbraio 2018.
Al livello di politica interna il presidente egiziano sta naturalmente sfruttando a suo vantaggio queste rilevantissime scoperte allo scopo di consolidare il suo potere politico e la sua leadership.
Negli anni 2000, il presidente Hosni Mubarak ha sperperato i proventi di un precedente boom del gas in sussidi, mentre assegnava contratti lucrativi ad amici e parenti. Un errore che l’attuale presidente non sembra voler ripetere.
Affinché questo nuovo afflusso di “oro blu” avvantaggi direttamente il maggior numero di persone, il governo vuole sfruttare questa opportunità per rifornire le casse, soddisfare pienamente la domanda interna, sviluppare un’industria locale, ma anche garantire una transizione energetica in flessibilità. In particolare, fornisce un incentivo finanziario per gli automobilisti ad abbandonare la benzina e il diesel a favore del gas.
L’Egitto sta attualmente registrando un aumento del 110% delle sue riserve di gas e si sta posizionando come hub commerciale del gas per la regione del Mediterraneo. Inoltre, oltre all’italiana Eni, già molto attiva, questa notizia sta attirando nel Paese anche altre grandi compagnie petrolifere internazionali come Shell, BP, Petronas, Total o compagnie russe come Gazprom e soprattutto Rosneft. Da quando è salito al potere nel luglio 2013, con la ripresa economica del suo Paese, l’altra priorità di al-Sisi è stata quella di riportare l’Egitto al suo posto sulla scena regionale.
Così, il rais egiziano è riuscito a preservare la sua partnership con gli americani. Ha anche preso parte, almeno sulla carta, alla coalizione che sta conducendo la guerra in Yemen e guidata da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti (che sono i principali finanziatori del Cairo).
I rapporti con gli israeliani, in particolare nel Sinai, sono senza precedenti. Inoltre, ha concluso importanti e storici accordi militari e commerciali con i russi, si è avvicinato alla Cina ed è anche in trattative con Damasco e Teheran.
Tutto ciò sta significare che il presidente al-Sisi sembra aver permesso al suo Paese di riprendere il suo ruolo di attore centrale nel panorama regionale.
Inoltre, anche se il suo ruolo è poco noto ai profani ed è eclissato dalla forte visibilità internazionale di Mohammed Ben Salman e Mohammed Ben Zayed, si deve riconoscere che al-Sisi è molto coinvolto in tutte le questioni delicate della regione come il conflitto israelo-palestinese, il conflitto libico e anche nei negoziati in Siria.
Nella feroce lotta per la leadership politica nel mondo sunnita che è attualmente condotta dal blocco Turchia/Qatar e dall’asse composto da Egitto, Arabia Saudita, Stati Uniti Emirati Arabi (Eau), uniti da Israele (accordi di Abraham tra Israele, Bahrein, Emirati Arabi Uniti e Sudan) e discretamente sostenuti dalla Russia, non si può trascurare il ruolo politico del presidente egiziano. Al-Sisi ha infatti avviato una repressione senza precedenti contro i Fratelli Musulmani, di cui l’Egitto era la base storica della confraternita.
Da questa prospettiva, l’Egitto si trova in prima linea di fronte alle aggressive politiche neo-ottomane e panislamiste di Erdogan a Gaza (Hamas), in Libia (che sostiene il governo a Tripoli mentre il Cairo sostiene il maresciallo Haftar) e anche nel Mediterraneo orientale. Questo è il motivo per cui negli ultimi mesi c’è stato il sostegno del Cairo alla Grecia, a Cipro e persino alla Francia di fronte alla politica di proiezione di potenza turca.
Infatti la Turchia intende pienamente ottenere la sua parte della torta e cerca di competere con l’Egitto nella sua posizione di leader energetico nell’area. Da quel momento in poi, un riavvicinamento politico-energetico tra Egitto, Grecia e Cipro divenne inevitabile.
Già nel 2014 Atene e Il Cairo hanno firmato un memorandum di cooperazione in difesa, volto a rafforzare i loro legami militari e fornire addestramento ed esercitazioni militari congiunti. Quindi, nell’agosto 2020, la Grecia ha ratificato un accordo con l’Egitto sulla condivisione delle aree marittime, in risposta all’accordo turco-libico firmato a fine 2019 che consente alla Turchia di accedere a una vasta area marittima nel Mediterraneo orientale.
La cooperazione militare trilaterale tra Grecia, Israele e Cipro, avviata nel novembre 2017, si è intensificata negli ultimi mesi. Allo stesso modo, nel novembre 2020, lo sceicco Mohammed Bin Zayed, principe ereditario di Abu Dhabi e vice comandante supremo delle forze armate degli Emirati Arabi Uniti, ha ricevuto Kyriákos Mitsotákis, il primo ministro della Grecia, per discutere le relazioni tra gli Emirati e la Grecia e i mezzi per rafforzare i legami reciproci e lo sviluppo degli interessi comuni delle due nazioni come investimenti, commercio, politica, cultura e soprattutto difesa. Questo autentico accordo di difesa è inequivocabilmente orientato a contenere l’espansionismo turco nel Mediterraneo orientale e nel Medio Oriente.
Nel settembre 2020, il Cairo e Atene hanno finalmente firmato un trattato ufficiale che rende il Forum del gas del Mediterraneo orientale un’organizzazione internazionale con sede nella capitale egiziana. Oltre all’Egitto e alla Grecia, il Forum conta altri cinque membri fondatori: Italia, Cipro, Giordania, Israele e Palestina. L’obiettivo è quello di creare un mercato regionale del gas che serva gli interessi dei paesi membri. In concreto, si tratta di modernizzare le infrastrutture, coordinare le normative sui gasdotti e sul commercio, puntando a migliorare la competitività dei prezzi e, soprattutto, a salvaguardare i loro diritti sul gas naturale.
Per quanto concerne i rapporti con Israele occorre in primo luogo sottolineare che le prime scoperte israeliane di gas offshore sono iniziate nel gennaio 2009 con il giacimento Tamar (260 miliardi di metri cubi). Da allora, gli annunci si sono moltiplicati: Dalit, Leviathan (650 miliardi), Dolphine (2,3 miliardi), Sara e Mira (180 miliardi), Tanin (31 miliardi), Karish (51 miliardi), Royee (91 miliardi) o ancora Shimshon ( 15 miliardi). Oggi, le riserve totali di Israele, provate o potenziali, sono stimate in circa 1.5 trilioni di metri cubi di gas naturale.
Nel dicembre 2019, guidata da un consorzio israelo-americano, è iniziata la produzione del mega-deposito Leviathan dopo anni di lavoro e miliardi di investimenti. Questo progetto dovrebbe essere in grado di soddisfare le esigenze israeliane, ottenere l’indipendenza energetica per lo stato ebraico e consentire a quest’ultimo di esportare gas naturale verso i suoi vicini, o addirittura di posizionarsi come il principale paese esportatore di gas verso il Medio Oriente e l’ Europa, in particolare grazie al progetto del gasdotto del Mediterraneo orientale attraverso Cipro e la Grecia.
Ebbene proprio di fronte alla minaccia turca e alla normalizzazione dei rapporti tra gli Stati del Golfo (alleati dell’Egitto) e lo Stato ebraico, è evidente che allo stato attuale sia legittimo che Israele hanno bisogno di una forte partnership soprattutto in termini diplomatici e di sicurezza. Gli interessi geopolitici comuni potrebbero avere la precedenza sulla possibile concorrenza commerciale.
In definitiva il presidente al-Sisi aspira a stabilire una vera “diplomazia del gas” e ciò consentirebbe quindi all’Egitto di rafforzare la sua influenza, sia economica che strategica nel Mediterraneo orientale. Anche per questa ragione l’Egitto rimane un partner fondamentale per l’Italia.
Di Giuseppe Gagliano
articolo pubblicato su startmag.it
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