16
Mar
L’attività informativa e d’analisi sul versante estero, necessariamente dinamica e multidisciplinare a fronte di fenomeni sempre più mutevoli, trasversali e inter- connessi, ha visto l’emergenza pandemica agire quale fattore di condizionamento globale e pervasivo, seppure variamente declinato per effetti e profondità, con ri- guardo non solo a crisi d’area – conflagrate, endemiche o in divenire – ma anche ad equilibri politici, disegni geostrategici e relazioni internazionali.
Nell’ottica della sicurezza nazionale e della tutela di cittadini ed interessi ita- liani all’estero, la ricerca, sostenuta dal costante monitoraggio informativo su un esteso novero di ambiti territoriali e tematici, si è focalizzata su contesti e attori di maggior rilevanza per il nostro Paese, per prossimità geografica, valenza strategica o potenziale impatto delle minacce ad essi riferibili.
CIl bacino del Mediterraneo e la regione subsahariana
Prioritaria attenzione informativa è stata riservata alla regione mediterranea, ancora alle prese con il radicale riassetto dei propri equilibri a 10 anni dalle cc.dd. primavere arabe, affetta da instabilità diffusa e attraversata da criticità di varia natu- ra che ne frenano il consolidamento in senso democratico e la ripresa economica.
Anche nel 2020 l’impegno dell’Intelligence si è concentrato sulla crisi in Libia, a supporto dell’azione del nostro Paese per una stabilizzazione inclusiva, a salvaguar- dia degli interessi nazionali nel quadrante, anche in termini di garanzia dei riforni- menti energetici, nonché in chiave di presidio avanzato sul versante del contrasto alla minaccia terroristica e all’immigrazione clandestina. In tale quadro, specifica attenzione è stata riservata agli sviluppi delle relazioni tra le diverse componenti li- biche, dell’Ovest e dell’Est, che, dalla seconda metà dell’anno – con l’interruzione delle ostilità seguita al raggiungimento del cessate-il-fuoco – hanno fatto registrare l’apertura di un’importante finestra di opportunità negoziale (vds. tavola n. 3).
- Generalizzato inasprimento delle condizioni di disagio socio-economico
- Opportunità negoziali nella crisi libica, ma molti gli attori e gli interessi in campo, interni ed esterni
- Nuovi picchi di violenza nel Sahel e persistente attivismo qaidista in Somalia
- Contenziosi e progetti nel Bacino del Levante
- In Medio Oriente, nuovi scenari con i cc.dd. accordi di Abramo, criticità economiche e di sicurezza
- Segnali contrastanti in Afghanistan, meno vittime, ma ancora molti attentati
- Mosca alle prese con importanti dossier di politica interna ed economica, ma anche con crisi emergenti o rivitalizzate
- Dinamismo di Pechino sulla scena internazionale. Confronto con gli USA, articolato rapporto con la UE, proiezione nello Spazio
6 gennaio
Da un lato, l’intervento turco a favore di Tripoli (avviato all’inizio del 2020) e il contestuale disimpegno delle forze cirenaiche dalle aree a sud della Capitale hanno riequilibrato i rapporti di forza sul campo, dall’altro, il Governo di Accor- do Nazionale-GAN, dopo circa un anno di conflitto, ha riguadagnato terreno e credibilità diplomatica nei confronti di altri player, libici e internazionali. A tali sviluppi hanno corrisposto diverse iniziative – specie sotto egida ONU, attraverso UNSMIL, nel quadro dei 3 track negoziali (securitario, politico ed economico) – volte ad elaborare un meccanismo di monitoraggio del cessate-il-fuoco che po- trebbe prevedere anche l’invio di osservatori internazionali. Il fine è quello di stabilizzare le dinamiche intra-libiche fino alla costituzione di un nuovo Esecutivo di unità nazionale in grado di traghettare il Paese verso le elezioni parlamentari e presidenziali previste entro il 2021. Si tratta di un obiettivo cruciale, insidiato, peraltro, dal riaffiorare delle tradizionali linee di conflittualità – politica, ideo- logica e tribale – che dal 2011 caratterizzano lo scenario libico. A ostacolare il raggiungimento di intese significative potrebbero concorrere, in particolare, la ripresa delle ostilità tra i gruppi armati tripolini, con l’insoluto nodo del reintegro dei miliziani in apparati di difesa e sicurezza “nazionali”, la presenza di migliaia di mercenari (specie siriani, sudanesi e ciadiani) al servizio delle due parti e, su tutto, la pletora di veti incrociati da parte dei principali attori libici interessati a proteggere i propri interessi e quelli dei rispettivi sponsor esteri. Più in generale, le evidenze dell’intelligence fanno stato della delicatezza e della complessità del contesto, caratterizzato da equilibri altalenanti e da forti interessi, locali e di spon- sor esteri, nell’ambito della ormai conclamata guerra per procura che contraddi- stingue quello scontro (con Turchia e Qatar al fianco di Tripoli ed Egitto, Emirati Arabi Uniti e Russia a sostegno della Cirenaica).
Quanto alle condizioni socio-economiche, si è assistito in autunno alla ri- presa operativa dei siti petroliferi che, se da un lato ha riattivato la produzione, bloccata da circa un anno, dall’altro non si è ancora tradotta in benefici né per la popolazione, già provata dall’impatto del conflitto e dell’emergenza pandemi- ca, né per le casse dello Stato, poiché gli introiti sono rimasti “congelati” presso una banca terza, in attesa di un accordo tra le Autorità dell’Est e dell’Ovest per un’equa ripartizione di quelle risorse finanziarie.
Il protrarsi della crisi libica ha continuato a riflettersi sulla sicurezza regio- nale, alimentando traffici illeciti e circuiti di sostegno al terrorismo jihadista, in un contesto di vulnerabilità reso più critico dall’impatto della pandemia, che, nell’aggravare le condizioni di disagio economico, ha ulteriormente inasprito di- vari e malesseri sociali.
Indicatori in tal senso sono emersi in Tunisia, dove le misure di contenimen- to adottate per fronteggiare la crisi sanitaria hanno colpito settori fondamentali, a partire dal turismo, contribuendo all’aumento della disoccupazione e alla con- trazione dell’economia. Le difficoltà socio-economiche e il diffuso malcontento.
CRISI REGIONALI E PROIEZIONI DI INFLUENZA
hanno alimentato un’ondata di proteste su scala nazionale. Il Paese, inoltre, é rimasto esposto alla minaccia terroristica endogena legata all’attivismo di forma- zioni qaidiste e filo-DAESH che, seppur ridimensionate, hanno evidenziato persi- stenti capacità operative.
In Algeria, le ricadute delle misure di contenimento al Covid-19 si sono associate ad un processo di ridefinizione degli equilibri politici interni dopo le grandi mobilitazioni di piazza del 2019 e la fine dell’era Bouteflika, a fronte di una cornice securitaria rimasta stabile grazie all’efficacia di quel Comparto difesa e sicurezza, impegnato in costanti attività di monitoraggio e contrasto ai gruppi terroristici.
Altra realtà che sul piano economico ha risentito fortemente dell’emergen- za Covid-19 è l’Egitto, che ha peraltro mantenuto un’allerta elevatissima nei con- fronti della minaccia terroristica e di un fronte jihadista particolarmente vitale, ove alla mai sopita operatività di cellule qaidiste ha continuato ad affiancarsi l’at- tivismo della branca filo-DAESH Wilayat-Sinai-WS. L’esigenza di rafforzare il con- trollo delle frontiere con Libia e Sudan, specie per prevenire il transito di foreign fighters, ha indotto Il Cairo ad inaugurare la base militare di Berenice, al confine con il Sudan.
Anche per i loro riflessi sul Nord Africa, hanno rivestito specifico interesse informativo le dinamiche della fascia subsahariana, segnatamente del Sahel e del Corno d’Africa, entrambi all’attenzione anche per il sequestro di nostri connazio- nali (Nicola Chiacchio, Padre Pierluigi Maccalli, Silvia Costanza Romano, Luca Tacchetto), tutti liberati nel 2020.
Proprio nella consapevolezza dell’importanza che la regione del Sahel riveste sotto il profilo securitario e quale hub di passaggio dei flussi di migranti clandestini verso la rotta del Mediterraneo centrale, l’Italia sta assumendo un ruolo più profi- lato, come dimostrano, tra l’altro, la nostra partecipazione al Gruppo Ristretto d’in- dirizzo politico della Coalizione per il Sahel, promossa dalla Francia, nell’ambito della quale a luglio è stata attivata, a sostegno delle Forze armate di Mali e Niger, la Task Force Takuba, nonché, sul piano bilaterale, la Missione di assistenza e suppor- to in Niger-MISIN e l’apertura di nuove Rappresentanze diplomatiche.
Accanto ad un accentuato e per certi versi inedito dinamismo politico, se- gnato dalla fase pre-elettorale in Burkina Faso e Niger e dalla transizione in Mali (vds. tavola n. 4), nel 2020 i Paesi saheliani hanno registrato un nuovo incre- mento della violenza. Si è trattato di eventi di diversa natura: etnico-tribale, anti- occidentale e, soprattutto, di matrice jihadista (più del 60% rispetto al 2019, con circa 4.300 vittime, secondo l’Armed Conflict Location and Event Data Project- ACLED). L’irrompere della pandemia ha poi, anche qui, alimentato tutte le pre- esistenti criticità sanitarie e sociali, favorendo pure l’azione di attori esterni inte- ressati a guadagnare spazi d’influenza.
IL COLPO DI STATO IN MALI
8 agosto un colpo di Stato di matrice militare e incruento nelle modalità ha portato in Mali alla rimozione dell’anziano Presidente Keita e allo scioglimento dell’Assemblea Nazionale e del Governo.
Le contestazioni alla Presidenza erano iniziate già all’indomani delle elezioni del 2018, per le condizioni economiche e sociali critiche, la dilagante corruzione, l’assenza dello Stato in talune regioni del Paese e per una cornice di sicurezza sempre più caratterizzata dalla recrudescenza della violenza interclanica e di matrice jihadista. Diversi schieramenti dell’opposizione avevano istituito un’alleanza (il Mouvement 5 Juin – Rassémblement Force Patriotique-M5-RFP) che si è resa protagonista di animate proteste, più volte sfociate in scontri con le forze dell’ordine e in temporanee paralisi delle istituzioni. Dopo vari tentativi di dialogo, risultati vani, con il golpe di agosto è stato istituito un Consiglio Nazionale per la Salvezza del Popolo, incaricato della gestione della transizione politica.
Nonostante i ripetuti appelli delle Nazioni Unite, della CEDEAO (la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale, che ha imposto anche sanzioni, poi ritirate ad ottobre) e dell’Unione Africana, la giunta golpista si è mostrata determinata a portare avanti il proprio progetto, finalizzato alla ricostruzione di uno Stato coeso e al ripristino delle istituzioni e della legalità.
Sul terreno dell’attivismo terroristico, il principale elemento di novità emer- so dal monitoraggio informativo riguarda il venir meno dell’“anomalia sahelia- na”, che negli anni passati, in controtendenza rispetto agli altri teatri di jihad, aveva registrato sinergie logistico-operative tra formazioni terroristiche di stampo qaidista (in particolare il cartello Jamaa Nusrat al Islam wa al Muslimin-JNIM e la fazione “storica” della formazione nigeriana Boko Haram-BH) e quelle afferenti a DAESH (Islamic State in Greater Sahara-ISGS e Islamic State in West Africa Pro- vince-ISWAP). Il 2020 ha infatti osservato un’agguerrita competizione, sul piano sia ideologico-propagandistico che dell’espansionismo sul territorio, tra gruppi di diversa affiliazione, con accesi scontri specie nella regione triconfinaria tra Mali, Burkina Faso e Niger, nonché intorno al bacino del Lago Ciad. In quest’area, peraltro, l’attivismo jihadista è risultato ancora strettamente connesso alle conflit- tualità interetniche – alimentate dai cronici contrasti tra agricoltori stanziali e al- levatori nomadi – tradottesi, fra l’altro, nelle ripetute violenze tra Fulani e Dogon e nella distruzione di interi villaggi (vds. tavola n. 5).
È questo il quadro che ha fatto da sfondo alle ricorrenti azioni terroristiche, anche ad alto impatto mediatico, contro postazioni di polizia, avamposti militari e obiettivi stranieri, anche dopo la neutralizzazione a giugno, in Mali, dell’emiro di al Qaida nel Maghreb Islamico-AQMI Abdelmalek Droukdel da parte delle Forze speciali francesi (vds. più avanti, capitolo terrorismo jihadista). Significativi, in Niger, l’attacco del 9 agosto contro 9 cooperanti di una OnG francese e 2 opera- tori locali e, in Mali, gli attentati condotti da JNIM e ISGS con modalità operative sofisticate nella regione triconfinaria del Liptako Gourma, snodo di passaggio di lucrosi traffici di esseri umani, armi, stupefacenti e minerali preziosi.
RELAZIONE SULLA POLITICA DELL’INFORMAZIONE PER LA SICUREZZA
Anche il Burkina Faso ha patito l’incremento di attacchi riconducibili a JNIM, segnatamente nelle regioni a Nord e Nord-Est, al confine con il Mali ed il Niger, a Sud tra Ghana e Costa d’Avorio e al confine con il Benin. Nel Paese sono risultate in aumento pure le azioni di matrice marcatamente settaria, specie in danno delle comunità cristiane del Nord, nonché le aggressioni armate contro i civili, le uccisioni mirate di capi villaggio, gli attacchi a installazioni minerarie e alle rotte di trasporto merci su strada, secondo un’articolata strategia jihadista intesa ad acuire le divisioni etniche e sociali nel Paese delegittimando le tradizio- nali autorità locali.
Spostando lo sguardo verso Est, il monitoraggio intelligence ha continuato ad appuntarsi sulla Nigeria, ove – segnatamente sulle regioni nord-orientali che si affacciano sull’area quadriconfinaria (con Camerun, Niger e Ciad) del Bacino del Lago Ciad – entrambe le fazioni (qaidista e filo-DAESH) di Boko Haram-BH hanno intensificato il proprio attivismo sia contro le locali Forze di sicurezza, sia contro la popolazione civile e i numerosi rifugiati stanziati in quelle aree. Più a Sud, indicatori critici sui livelli attuali e potenziali della violenza sono stati raccolti con riguardo al Mozambico e alla Repubblica Democratica del Congo.
Come negli ultimi anni, segnali di scadimento dei livelli di sicurezza sono stati colti anche nella regione del Corno d’Africa, dove il nostro Paese è impe- gnato in numerose attività di capacity building sia multilaterali che bilaterali. Il quadrante ha continuato a registrare fragilità istituzionali e vulnerabilità econo- miche, in un contesto influenzato dal pervasivo attivismo della formazione qaidi- sta somala al Shabaab-AS – proiettata pure in realtà limitrofe, sopratutto in Kenya – oltre che della locale branca di DAESH. Si tratta di un quadrante sempre più al centro dell’attenzione di attori regionali ed internazionali, specie del Golfo e della Turchia, ma anche di Cina e Russia, attive, la prima, nel consolidamento di partnership commerciali in ambito finanziario ed infrastrutturale e, la seconda, nel settore energetico.
Particolare attenzione è stata rivolta alla Somalia, che ha visto slittare al 2021 le previste elezioni generali a causa della permanente contrapposizione tra Mo- gadiscio e Stati federati. Al riguardo, nonostante in estate sia stato registrato un rilancio dello strumento negoziale nella dialettica centro-periferia (cd. Processo di Dhusamareb) per individuare un accordo su tempi e modalità elettorali, il per- corso di institution building del Paese non ha fatto registrare significativi avanzamenti. Si è mantenuto elevato il livello della minaccia terroristica riferibile ad al Shabaab. Al pari degli anni scorsi, la formazione si è infatti dimostrata in grado di organizzare e mettere a segno attentati particolarmente cruenti e con modalità complesse contro target ad alta visibilità (sedi e obiettivi istituzionali, infrastrutture strategiche, esercizi pubblici, interessi stranieri, omicidi mirati), quali l’azione condotta in prossimità della base turca di Mogadiscio (23 aprile) e l’attacco con presa di ostaggi all’Elite Hotel, sempre nella Capitale (16 agosto).
CRISI REGIONALI E PROIEZIONI DI INFLUENZA
L’analisi intelligence ha poi guardato ai combattimenti che, dall’inizio di novembre, hanno visto contrapposte in Etiopia, in particolare nella regione nord del Tigray, le Forze federali di Addis Abeba e quelle del Tigray People Liberation Front-TPLF di Makallè. La caduta della Capitale tigrina in mano alle Forze governative (28 novembre) ha permesso l’istituzione di un’Amministrazione ad interim del Tigray. Il conflitto nell’Etiopia settentrionale ha contribuito a rinfo- colare le tensioni interetniche di un Paese che, peraltro, ha mostrato di voler preservare il suo ruolo stabilizzatore in ambito regionale. Significativa, al riguardo, l’attenzione del Premier etiope su importanti dossier (contenzioso marittimo fra Kenya e Somalia e dialogo fra le Autorità della Somalia e del Somaliland), anche in relazione alla questione della Grand Ethiopian Renaissance Dam-GERD, la cui costruzione è terminata nel 2020 (vds. tavola n. 6).
LA GERD
La Grand Ethiopian Renaissance Dam riveste rilevanza strategica per l’Etiopia, che ambisce a divenire hub regionale per la produzione di energia elettrica ed entrare così nel novero delle principali potenze energetiche del Continente. Si tratta della più grande diga africana, i cui lavori sono iniziati nel 2011 e che assegna all’Etiopia un ruolo sempre più rilevante tra i Paesi cc.dd. upstream del Nilo. Il completamento dell’opera e la conclusione, lo scorso luglio, della prima fase di riempimento dell’invaso hanno acuito le tensioni tra Addis Abeba e Il Cairo.
Nel 2020, il contenzioso ha visto due tentativi di mediazione di alto profilo: il primo, a febbraio, sponsorizzato dagli USA e il secondo, sotto l’egida dell’Unione Africana. Tali tentativi hanno portato ad una serie di negoziati rimasti senza seguito, attesa la persistente distanza tra le parti. L’Etiopia sembra infatti disposta a trovare un compromesso solo sugli aspetti tecnici che potrà gestire direttamente e che non pregiudicheranno l’operatività complessiva del progetto, mentre l’Egitto, che identifica nelle risorse idriche del Nilo una questione di orgoglio e di sicurezza nazionale, continuerà a perseguire i propri interessi.
Nel contesto delle dinamiche incidenti nell’area del Mediterraneo, specifi- co interesse informativo ha rivestito l’accresciuta competizione tra diversi attori in merito soprattutto alla questione dello sfruttamento delle risorse energetiche off-shore nel Bacino del Levante, assurto a teatro di rivalità tra player rivieraschi ed extraregionali, tutti attivamente impegnati nel perseguimento dei propri inte- ressi, tattici e strategici, in un’area che appare ormai ridefinita da logiche di ag- guerrito antagonismo. Il confronto, intrecciato alle storiche tensioni sull’Egeo e caratterizzato dalla pronunciata assertività dei diversi attori, è parso riflettere l’in- tenzione di ridisegnare spazi e linee di giurisdizione marittima. Si è evidenziato, in particolare, l’attivismo della Turchia, che ha contestato i criteri internazionali di ripartizione delle Zone Economiche Esclusive dell’area, anche alla luce del rin- venimento di importanti giacimenti gasiferi nelle acque di Egitto, Israele e Cipro. Tali sviluppi hanno di fatto stimolato l’elaborazione di progetti potenzialmente finalizzati anche all’esportazione dei prodotti energetici verso l’Unione Europea.
Nel medesimo contesto – e ad ulteriore attestazione della rilevanza strategica del dossier – si colloca la creazione, nel gennaio 2020, dell’East Mediterranean Gas Forum, organizzazione regionale (alla quale partecipano, oltre all’Italia, Cipro, Egitto, Grecia, Israele, Giordania e Autorità Nazionale Palestinese) intesa a promuovere la cooperazione nel settore del gas tra i Paesi che affacciano sul Mediterraneo Orientale.
La Russia e lo spazio post-sovietico
Nella prospettiva analitica dell’Intelligence, la Russia, nel 2020, si è misurata con importanti dossier di politica interna ed economica, ma anche relativi a cri- si, emergenti o rivitalizzate, in diversi quadranti dello spazio post-sovietico (vds. tavola n. 8).
Sul piano interno, un passaggio di particolare rilevanza è stato rappresentato dalla riforma costituzionale, annunciata dal Presidente Putin il 15 gennaio e con- clusasi con il referendum del 1° luglio.
Al contempo, il Paese ha dovuto confrontarsi con il severo impatto della pandemia, che ha richiesto considerevoli misure economiche a sostegno della popolazione, tali da determinare, per la prima volta dal 2014, una riduzione nei prossimi tre anni delle spese per la difesa. Per altro verso, Mosca ha rafforzato la cooperazione bilaterale nel settore sanitario con numerosi Paesi, inclusi quelli dell’area del MENA.
Agli effetti della pandemia sono connessi, inoltre, gli accordi raggiunti (in aprile e in giugno) in seno all’OPEC+ sul taglio della produzione di petrolio (poi lievemente ridimensionato nell’intesa raggiunta a dicembre), che ha messo fine alla guerra dei prezzi allo scopo di risollevare i mercati dopo il crollo della do- manda. Russia e Arabia Saudita sono risultati i Paesi impegnati in più significativi tagli di produzione, con i connessi costi, ma al contempo, in quanto principali fornitori internazionali, ne sono stati anche i principali beneficiari, sia per l’ef- fettiva stabilizzazione dei prezzi sia per il successo d’immagine, avendo potuto di- mostrare ai mercati di essere in grado di cooperare efficacemente in congiunture particolarmente negative.
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03Oct
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