07
Jan

È difficile negare come, da un punto di vista geografico, il commercio mondiale si sviluppi attraverso il Golfo Persico, il Golfo di Guinea, il Mare del Nord, l’Alaska e i Caraibi. È altrettanto difficile negare che i principali snodi attraverso i quali transitano gli scambi mondiali siano – come è stato più volte sottolineato in queste pagine – il Canale di Suez, lo Stretto di Malacca e il Capo di Buona Speranza. Per quanto riguarda il Canale di Panama, la situazione è diversa perché il suo sottoutilizzo dipende principalmente dalla sua larghezza molto limitata.
Cominciamo a rivolgere la nostra attenzione allo Stretto di Hormuz, che costituisce uno di quegli snodi strategici essenziali per la globalizzazione economica. Questo stretto collega il Golfo Persico e il Golfo di Oman, ed ha una lunghezza di 63 km con una larghezza di 40, dimensioni che rappresentano certamente un problema per l’attraversamento delle petroliere. Nonostante ciò, il 30% del commercio mondiale di petrolio passa proprio attraverso questo stretto e infatti 2.400 petroliere lo attraversano ogni anno.
Passiamo ora a un altro nodo strategico solitamente poco considerato dagli analisti distratti e cioè il Pas-de-Calais che non solo è attraversato ogni giorno da 400 navi ma è senza dubbio lo stretto più trafficato al mondo dalla marina mercantile poiché attraverso di esso è possibile raggiungere i principali porti del Mare del Nord, il porto di Londra e Dunkerque. La sua larghezza minima è di 33 km e la sua profondità media di 30 metri. Tuttavia, la particolarità di questo porto consiste nel fatto che è spesso soggetto a tempeste, forti venti e cunette.
Per quanto riguarda il Canale di Suez, è la principale via di transito del traffico marittimo mondiale, l’8%, appena oltre lo stretto di Malacca, mentre il 5% del commercio mondiale passa attraverso il Canale di Panama. Se Suez è la porta d’accesso all’Asia e al Golfo Persico e il punto di passaggio necessario per il transito dell’energia dagli Emirati Arabi all’Europa, Malacca è l’hub strategico che permette il passaggio delle petroliere dirette in Cina e in Giappone.
Non solo costeggia la Malesia, Sumatra e Singapore ma confina con molte isole che, grazie alla loro conformazione geomorfologica, permettono il proliferare della pirateria marittima.
A questo proposito, dobbiamo sottolineare che garantire la sicurezza delle rotte commerciali è fondamentale e costituisce quindi un problema prioritario per la salvaguardia della globalizzazione economica. Esistono infatti diversi pericoli: quello climatico, come per il Pas-de-Calais e le sue tempeste, o quello militare, come per lo stretto di Hormuz e le tensioni con l’Iran, per Panama e la rivalità con gli Stati Uniti, o ancora quello criminale – alludiamo alla pirateria marittima – come nel caso dello stretto di Malacca, del Golfo di Aden e dello stretto di Bab-el-Mandeb. Non è certo un caso che sia la Francia che la Cina controllino Gibuti. Non dimentichiamo, infatti, che il Corno d’Africa è stato oggetto di numerosi attacchi di pirateria tra il 2005 e il 2012, offensive che hanno certamente danneggiato il traffico marittimo a livello globale.
Il Capo di Buona Speranza è l’altro grande hub commerciale globale del mondo, in quanto collega l’Oceano Atlantico e l’Oceano Indiano. Anche se l’apertura del Canale di Suez ha reso meno necessario il traffico attraverso Città del Capo, rimane comunque una delle principali rotte globali.
Per quanto riguarda la rotta artica, sia lo scioglimento dei ghiacci che il miglioramento tecnologico dei rompighiaccio potrebbero dimezzare i tempi di viaggio Europa-Asia ora necessari per attraversare Suez o Panama, ma soprattutto ridurrebbero sia il canale di Panama che quello di Suez. Inoltre, se la rotta artica venisse effettivamente realizzata, questo potrebbe certamente polarizzare il commercio globale non solo intorno ai tre grandi poli della globalizzazione, Stati Uniti, Russia ed Europa, ma il Golfo di Aden e lo stretto di Malacca perderebbero la loro importanza.
Non c’è dubbio che anche a causa delle continue tensioni tra Turchia, Grecia, Cipro ed Egitto, il Mare Nostrum rappresenterà a medio termine uno dei principali crocevia energetici: gli attori di questo cambiamento non saranno solo gli Stati nazionali, ma anche le multinazionali del petrolio, in particolare due, Eni e Total. A questo proposito, non dobbiamo mai dimenticare che la presenza dei giacimenti di gas rappresenta una questione centrale per decidere le sorti del Mediterraneo, soprattutto se si tiene conto del fatto che il gasdotto GreenStream che collega la Libia occidentale con la Sicilia e la Sicilia passa attraverso il Mediterraneo. Italia continentale per una lunghezza di 540 km con una capacità di 11 miliardi di metri cubi i di gas all’anno. Naturalmente Green Stream deve essere inserito in un contesto molto più ampio: questo gasdotto fa infatti parte del progetto Trans-Mediterranean, che parte da Hassi R’Mel in Algeria e raggiunge l’Italia attraverso la Tunisia. Hassi R’Mel è il più grande giacimento di gas naturale del continente africano e l’hub del gasdotto del continente. È proprio da questa città che parte Medgaz, che unisce la Spagna all’Algeria, ed è anche da lì che parte il Trans-Saharan, un vasto progetto di gasdotto, lungo oltre 4.000 km, che dovrebbe diventare operativo nel 2020 e che dovrebbe consentire il collegamento tra il Golfo di Guinea e l’Europa nonostante non ci siano solo difficoltà di natura tecnologica ma soprattutto difficoltà legate alla presenza di aree altamente instabili come il Niger e il sud del Sahara algerino.
Un ruolo centrale è ovviamente svolto dalla Russia sia attraverso North Stream che attraverso Yamal. North Stream collega la Russia alla Germania attraverso il Mar Baltico, mentre Yamal collega la penisola di Yamal alla Polonia per oltre 4.000 km. Un altro Paese chiave è sicuramente la Turchia: infatti il gasdottoTrans-Anatolian, chiamato Tanap, collega Baku all’Europa attraverso la Turchia e dovrebbe fornire 23 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Infine, abbiamo il Blue Stream che collega il Caucaso russo con la Turchia.
Proprio per quanto riguarda l’Europa, non dobbiamo mai dimenticare che l’approvvigionamento di gas è possibile grazie al ruolo fondamentale svolto da tre nazioni: Russia (oltre il 40%), Norvegia (oltre il 20%), Algeria (oltre il 10%) ). Questi dati mostrano chiaramente che l’Europa dipende molto dalla Russia e per questo motivo è emersa la necessità di diversificare le fonti di approvvigionamento come il gas scistoso americano, che dovrebbe rifornire il terminale di Swinoujscie in Polonia. Inoltre, l’UE insieme agli Stati Uniti sta cercando di bloccare il progetto di ampliamento del North Stream (North Stream II). Anche il progetto Nabucco, che parte dall’Iran, attraversa il Caucaso meridionale e la Turchia per poi raggiungere l’Europa meridionale, nasce proprio per evitare che l’Unione Europea dipenda esclusivamente dal gas russo.
Ma anche se l’Europa, con l’importante eccezione del Mare del Nord, non è autonoma in termini di approvvigionamento di gas, è comunque circondata da campi di grande importanza come quelli del Mediterraneo, del Maghreb, della Russia, del Mar Caspio, dell’Iran, che permettono all’Europa di giocare su diverse tavole energetiche.
Anche se l’Oceano Pacifico non può certo essere definito il centro della produzione di energia a livello mondiale, è comunque un’area di grande importanza per l’Indonesia, la Malesia, il Brunei, la Thailandia, il Vietnam e l’Australia.
Ma è proprio in quest’area che si manifesta la presenza di un ospite di pietra, la Cina che, attraverso il controllo degli stretti e la costruzione di una marina efficiente, vuole consolidare la sua proiezione di potenza marittima. Sempre in tema di Cina, il Mar Cinese è certamente un’altra area che dal punto di vista geopolitico ha un grande significato dal punto di vista energetico. Nel complesso, se si valuta l’importanza dello stretto di Gibuti, del Mar Cinese e dell’Indo-Pacifico, ci si rende conto che la Cina attribuisce grande importanza alla sicurezza delle rotte di approvvigionamento energetico.
Per quanto riguarda gli Stati Uniti – soprattutto dopo il 2001 – hanno sicuramente diversificato le loro fonti di approvvigionamento riducendo, ad esempio, la quota acquistata nel Golfo Persico per aumentare quella acquistata nel Golfo di Guinea. Tuttavia, l’aumento del petrolio e del gas di scisto negli Stati Uniti ha certamente ridotto la quota di idrocarburi acquistati nel Golfo di Guinea. Con questa precisazione, gli Stati Uniti producono certamente il petrolio e il gas che consumano o che acquistano dal Messico, dal Canada, dal Venezuela e dai Caraibi. Gli Stati Uniti da un lato un’autonomia energetica e dall’altro costituiscono certamente uno dei fattori che ha permesso – e permette – agli Stati Uniti di avere un’egemonia globale.
Giuseppe Gagliano
Traduzione dell’articolo originale The energy power map: The role of straits, seas and oceans for global energy security pubblicato il 7 gennaio 2021 su moderndiplomacy.
Trackbacks and pingbacks
No trackback or pingback available for this article.
Per qualsiasi domanda, compila il form
[contact_form name="contact-form"]
Leave a reply