29
Jan
L’analisi di Giuseppe Gagliano*
L’ambiente marittimo è sia un mezzo di trasporto che una risorsa. Il primo aspetto si esprime ovviamente attraverso ciò che viene trasportato via nave: container, petrolio, minerali, molti oggetti e molte risorse della nostra vita quotidiana sono passati attraverso il mare prima di essere utilizzati. Anche i dati attraversano il mare, poiché i cavi sottomarini sono il cuore di Internet, costituendo il volto “reale” del mondo “virtuale”. Per il secondo aspetto, quello delle risorse, si tratta o di cibo, con soprattutto la pesca, di energia, fossile con petrolio e gas, o rinnovabile con le turbine eoliche e di marea, o di minerali, a partire dalla sabbia, il cui sfruttamento è poco conosciuto, ma essenziale per molte attività tra cui l’edilizia.
È dal XV secolo, che corrisponde all’inizio delle grandi scoperte, che il controllo dei mari diventa un tema importante. A quel tempo, il britannico Sir Walter Raleigh teorizzò la sua importanza: “Chi possiede il mare possiede il commercio del mondo; chi possiede il commercio possiede la ricchezza; chi possiede la ricchezza del mondo possiede il mondo stesso”. A poco a poco, il Regno Unito diventa la superpotenza marittima per eccellenza, soppiantando una Spagna e un Portogallo presto esauriti dalla colonizzazione di un Sud America troppo grande per loro e incapaci di competere con una Francia troppo terrestre. Alla fine del XIX secolo, la Gran Bretagna controlla le principali rotte marittime e il suo impero è vasto, con i grandi spazi esterni dell’Australia e del Canada e le Indie britanniche.
Ma l’entrata nel XX secolo coincide con l’arrivo di un nuovo attore negli oceani, gli Stati Uniti. Il teorico in questione è Alfred Mahan, che ha aggiornato la teoria di Raleigh specificando che il controllo del mare passa attraverso quello delle rotte marittime e che in questa materia tutto si gioca a livello degli stretti. L’anno cardine in questo senso è senza dubbio il 1914: corrisponde all’inaugurazione del Canale di Panama, un passaggio marittimo controllato dallo zio Sam, ma anche all’inizio della Prima Guerra Mondiale, che allo stesso tempo indebolisce il Regno Unito, a causa delle energie spese nel conflitto che non compensano i guadagni territoriali in Africa, Medio Oriente e Pacifico. La svolta che completa la trasformazione degli Stati Uniti nella grande potenza marittima della seconda metà del XX secolo è la seconda guerra mondiale. Gli europei, compresi quelli appartenenti al campo vittorioso, sono troppo indeboliti per mantenere le loro prerogative storiche, soprattutto quando gli imperi coloniali diventano complicati da mantenere per ragioni politiche e demografiche.
Gli Stati Uniti sono usciti dalla guerra con una colossale flotta militare e mercantile (grazie, tra l’altro, alle navi Liberty), e hanno potuto ricostituire quelle dei suoi nuovi alleati del campo occidentale. Inoltre, questo aiuto non impedisce agli americani di far prevalere i propri interessi su quelli dei loro alleati, come nel caso della crisi di Suez dove hanno contrastato con mezzi diplomatici l’intervento franco-britannico che era riuscito militarmente a riprendere il controllo di questo canale strategico. Questo dominio dei mari è stato difficilmente contestato dai russi, ridotti a un confronto asimmetrico, simboleggiato dai sottomarini. È importante sottolineare che la Russia non ha accesso diretto agli oceani, una risorsa degli Stati Uniti.
Nel 1990, l’Unione Sovietica è crollata, ma una minaccia fantasma aleggiava già sul risveglio onnipotente dell’America, quella della Cina. Sotto l’impatto delle riforme di Deng Xiao Ping, la sua economia cominciava a diventare competitiva e il paese utilizzava il suo enorme serbatoio di manodopera a basso costo per diventare “la fabbrica del mondo”. Questa economia è orientata all’esportazione e genera un traffico marittimo colossale, al quale il Dragone sta aggiungendo il suo tocco: rapidamente, le compagnie di navigazione e la costruzione navale cinesi stanno diventando attori chiave nei loro rispettivi settori. Dal punto di vista militare, il Regno di Mezzo aveva una marina quasi insignificante alla fine degli anni 80, ma oggi è secondo al mondo dietro gli Stati Uniti, anche se questi ultimi mantengono un buon vantaggio.
Sulla terraferma, la strategia cinese consiste prima di tutto nel controllare lo spazio contenuto in una prima catena di isole corrispondente al Mar Cinese Orientale e al Mar Cinese Meridionale, anche se in quest’ultimo significa non rispettare i diritti degli altri stati costieri. o addirittura intimidire Taiwan, la “provincia ribelle”. Il passo successivo è quello di dominare lo spazio all’interno di una seconda catena di isole situata più al largo, che metterebbe la Cina in contatto diretto con i possedimenti statunitensi, con il rischio di scontro che questo comporta. La cosiddetta strategia della “collana di perle”, che consiste nello sviluppo delle infrastrutture cinesi nell’Oceano Indiano, collega anche il Regno di Mezzo con un altro concorrente, l’India, che vuole affermare i suoi diritti in questo spazio che l’India considera il suo cortile. Infine, la Cina ha inaugurato la sua prima base navale d’oltremare a Gibuti nel 2018, e altre potrebbero seguire negli anni a venire, come Walvis Bay in Namibia. Questa espansione solidifica il rango della Cina come potenza mondiale, mentre la Russia ha perso la maggior parte della sua rete di basi navali nel mondo con il crollo dell’URSS.
Il potere del mare è composito, fatto di elementi che si moltiplicano tra loro più che sommarsi. Il primo di questi è l’accesso al mare, senza il quale nulla è possibile. Pertanto, il Regno Unito, paese insulare, è naturalmente predisposto alla proiezione del potere marittimo. Anche gli Stati Uniti, confinanti con due grandi spazi marittimi, sono favoriti. Per la Russia, le cose sono meno ovvie, come per la Cina; infatti, l’obiettivo della strategia della collana di perle è sia di permettere l’accesso al mare da regioni periferiche come lo Xinjiang, sia di controllare le rotte marittime. Inoltre, a suo tempo, la Russia aveva cercato di sviluppare il suo accesso al mare con “la corsa ai mari caldi”.
Una volta padroneggiato l’accesso al mare, è necessario potersi muovere, grazie alle rotte marittime e più particolarmente ai passaggi strategici. Oggi, gli americani ne mantengono il controllo, anche se il Regno di Mezzo cerca di tessere la sua tela. Per esempio, invece di voler mettere le mani sul canale di Panama, la Cina sostiene un progetto di canale concorrente in Nicaragua, anche se quest’ultimo è per il momento fermo. Il traffico richiede anche una flotta mercantile, e la Cina è tra i campioni dello shipping e anche della cantieristica, dove gli americani sono in gran parte lasciati indietro, frenati da un Jones Act protezionista che mantiene una flotta mercantile significativa, ma marginalizzata nella globalizzazione.
In generale, dove lo spazio terrestre è ampiamente controllato dalle nostre società umane, il mare sfugge molto di più a questo fenomeno, al punto che è ancora uno spazio da conquistare in molti modi. Le regioni polari, specialmente il gelido Oceano Artico, ma anche i mari che circondano il continente antartico, costituiscono una nuova frontiera per l’uomo. Anche i fondali marini e le loro risorse minerarie sono spesso meno conosciuti dello spazio terrestre.
Infine, un’ultima considerazione: l’Italia – ad eccezione delle repubbliche marinare – non ha saputo sfruttare la sua proiezione di potenza marittima. E questo è uno dei motivi, certo non l’unico, che ha impedito – e impedisce – all’Italia di avere una politica estera credibile, autorevole e soprattutto capace di fermare le ambizioni egemoniche turche.
*Traduzione articolo originale pubblicato su https://moderndiplomacy.eu/2021/01/25/the-role-of-maritime-power/
Fonte immagine https://www.navytimes.com/pay-benefits/military-benefits/2016/09/05/navy-orders-big-changes-for-littoral-combat-ships-after-engineering-problems/ (U.S. Navy Photo courtesy of Lockheed Martin-Michael Rote/Released)
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03Oct
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