09
Nov
‘Il villaggio globale avrà i suoi idioti e avranno una portata globale’, sentenzia Lord Martin Rees, cofondatore del Center for the Study of Existential Risk dell’Università di Cambridge a proposito dei rischi derivanti dalle nuove biotecnologie, intenzionalmente abusate da gruppi finanziari privati che rischiano di colpire la produzione agricola e portare al collasso l’umanità. Caso certamente non isolato di pessimismo cosmico. Ma quale sarebbe lo scopo di questo nichilismo senza precedenti?
Da alcuni anni (2013 circa) i più attenti osservatori si aspettavano la deflagrazione di una grave crisi finanziaria entro il 2020. La crisi del 2007/08 non ha suggerito prudenza tra gli speculatori finanziari né maggiore attenzione e contenimento da parte dei governi. Secondo Paul Krugman gli economisti hanno deragliato lasciandosi abbagliare da complessi e affascinanti calcoli matematici e confondendoli con la realtà. Terminata l’ondata della grande depressione, gli economisti sono tornati ad idealizzare l’economia, un luogo animato da individui razionali che interagiscono in un contesto di mercati perfetti. Una mitizzazione che ha serrato gli occhi degli esperti al cospetto di bolle finanziarie sempre più insostenibili e irrazionali.
Secondo Stiglitz, una bolla può portare a un incremento della ricchezza (per un periodo prolungato), ma con possibili effetti negativi sul capitale produttivo ‘reale’. Chi ha livelli elevati di ricchezza, può, al contrario dei comuni cittadini, ottenere facilmente credito e con questo acquistare beni che verranno usati come garanzia per le speculazioni più rischiose. Ad un certo punto, però, la bolla dovrà essere sgonfiata in qualche modo e senza abbattere i rendimenti degli speculatori più esperti. Questo può avvenire solo se chi sta in basso paga il prezzo maggiore ad esempio attraverso la contrazione calibrata e premeditata di alcune realtà produttive. Un piano che è destinato ad erodere i mezzi di sostentamento della base sociale sia in termini di materie prime disponibili che di ricchezza circolante. Come fare perché questo avvenga senza danneggiare i giocatori più accaniti? La domanda da 100 pistole: l’economia finanziaria ha eclissato dal dibattito accademico l’irrazionalità dei mercati e il meccanismo delle bolle?
Per Saskia Sassen, poiché la finanzia si basa sul debito, ha bisogno di portare acqua (ovvero pezzi e pezzetti di economia reale) al suo mulino. Gli asset finanziari hanno, quindi, la prerogativa di promettere grandi profitti ma, di fatto, sono debiti. A questo scopo è fondamentale la finanziarizzazione di settori non finanziari, cioè di economia reale. Ora, cosa accade quando gli apprendisti stregoni si lasciano prendere troppo la mano e i soldi veri finiscono? Quali fondi di quale barile si dovrà andare a raschiare?
La crisi del 2008 non ha avuto dubbi sulla ‘socializzazione del debito’: le facoltose sostanze di un manipolo di ingordi hanno continuato a lievitare a spese dei risparmi di una vita dei contribuenti. E la crisi – prevista e appena deflagrata– da quale pozzo intende attingere? Se si era a conoscenza del problema, perché ci siamo scivolati così irrimediabilmente? Secondo il Prof. Pedro Páez Pérez è necessario avere una lettura sistemica della crisi del 2008.
Affermare, come da narrativa dominante, che il peggio fosse passato negli anni più recenti, non consente di vedere che siamo nel pieno di una crisi strutturale di sovrapproduzione anche di tipo scientifico e tecnologico, che sta inondando di merci a basso costo un mercato che non riesce a rispondere con la vivacità attesa dal livello di guadagno che il capitale monopolista esige e che stanno finendo i ‘rimedi ai rimedi della crisi’ e alcuni paesi più di altri finiscono nell’occhio del ciclone di una guerra finanziaria senza precedenti nella storia.
Una guerra combattuta certamente tra i vecchi attori dei conflitti storici tra Stati-Nazione ma non solo. Nella logica di un capitale monopolista-finanziario assistiamo all’attraversamento e al sorpasso della geografia da parte del capitale monopolista-speculativo che non ha interesse a recuperare il credito, al contrario, è interessato a perpetuare all’infinito il meccanismo tributario basato sul debito finendo per percorrere forme arcaiche di sfruttamento. Si abbandona il tema del plusvalore attivo in favore di una sottomissione tributaria di alcuni Paesi nei confronti di altri.
Una logica ricolonizzatrice che non finisce per danneggiare solo le periferie ma il cuore stesso delle metropoli in un processo di distruzione del tessuto produttivo. Una novità assoluta nella storia del capitalismo per Páez Pérez, che osserva l’esclusione degli Stati Nazione da parte del complesso militare-industriale. Negli stessi Stati Uniti, i grandi poli produttivi che hanno lungamente servito il complesso militare-industriale sono, oggi, siti fantasma. È un processo che non risparmia affatto nemmeno il tessuto produttivo dell’Europa continentale. Si stanno, quindi, ponendo le basi per una crisi e una regressione della civiltà anch’essa senza precedenti e frutto di questa empasse della logica interna del capitalismo. Dunque possiamo affermare che il capitale è vittima del suo stesso successo produttivista.
La soluzione sta nella rimodulazione del concetto di produzione, che sia grande o piccola, capitalista o non ma che abbia come punto fermo la dignità del lavoro, il rispetto della natura, la costruzione del ‘buon vivere’ più che del consumismo, e la rottura della dittatura della finanza speculativa mondiale con la sua visione a corto raggio.
Si vince, inoltre, non lasciando più alle banche la facoltà di decidere in vece degli Stati quali azioni siano prioritarie né di perpetuare, così come l’Unione Europea sta facendo, la follia fallimentare del Fondo Monetario Internazionale basata sull’austerità: ne va della pace e della prosperità di tutti i popoli del mondo. Per cui , secondo Páez Pérez è importante che i cittadini discutano apertamente di questi temi e rompano questa religione oscena del dio denaro e della santificazione dei mercati finanziari e si inizino a comprendere con responsabilità i rischi enormi che poche tasche profonde causano alla pace mondiale ma anche alla stabilità quotidiana della gente.
L’esempio ecuadoriano della Sovrintendenza per il Controllo del Potere di Mercato propone di superare il paternalismo che vuole la supervisione dello Stato al di sopra di tutto in favore di una condivisa responsabilità da parte della società civile. Una rappresentazione condivisibile che richiede, però un maggior sforzo di comprensione e studio da parte della cosiddetta società civile. E però cosa succede se questa viene privata della capacità di visione e analisi di quanto accade? La metafora della “rana bollita” è spesso usata per descrivere la strategia della gradualità, e può, forse, essere utile a capire la progressiva e cieca discesa nel totalitarismo ultrafinanziario in cui siamo immersi, impediti ad uscire dalla convinzione che there is no alternative.
Krugman ricorda come negli anni 30, per comprensibili ragioni, la finanza non godeva di grande rispetto. Per Keynes i mercati finanziari erano come giochi in cui i concorrenti devono scegliere i sei volti più belli tra un centinaio di foto e il premio è assegnato al concorrente la cui scelta si avvicina di più alle preferenze medie dell’insieme dei giocatori. Il concorrente, quindi, deve scegliere non i volti che considera più belli ma quelli che secondo lui hanno maggiori probabilità di attirare gli altri giocatori. Con ciò Keynes pensava che fosse una pessima idea lasciare che le più importanti decisioni economiche fossero prese dai mercati finanziari dove speculatori di ogni tipo passano il tempo a rincorrersi e afferma: “Quando la crescita dei capitali di un paese diventa il sottoprodotto delle attività di un casinò, è probabile che ci sia qualcosa che non va”.
La complessità ha razionalizzato ciò che antiche culture già sapevano: caos e ordine convivono e si rigenerano reciprocamente. A seconda dello stimolo si trasformano in organizzazione e disorganizzazione. Il rischio, individuale e collettivo, un tempo si misurava in termini grossolani o “a naso” e sfociava in azzardo quando non si avevano cognizioni e informazioni sui fattori determinanti del gioco (o dell’impresa).
Oggi il rischio viene calcolato e previsto analizzando una moltitudine di dati anche apparentemente non correlati e spingendo il gioco dal futuro immediato dell’esito di un gioco semplice, al futuro lontano di un “gioco” complesso. La speculazione finanziaria è uno dei tanti giochi in cui l’azzardo non esiste più. Da tempo essa dispone di strumenti finanziari, di calcolo, di previsione e informativi che consentono di analizzare dati e situazioni con il massimo della precisione o dell’attendibilità. Tutto ciò che viene fatto in tale campo, le decisioni da assumere, le direzioni da prendere, l’individuazione dei “giocatori”, il risultato da ottenere e la determinazione di chi deve vincere o perdere, quando e quanto perdere o vincere, è ben studiato, deliberato e mai lasciato al “caso”. Inoltre, la minimizzazione dei rischi e la massimizzazione dei vantaggi fanno parte integrante della strategia di gioco e spesso diventano la strategia stessa. In ogni gioco esiste però un elemento arcaico che può modificarne gli esiti: barare. La moneta e il dado possono essere truccati, il giocatore ha il fatidico asso nella manica, il prestigiatore, nel suo gioco, è abile fino a provocare l’illusione di realtà. I mezzi moderni (si fa per dire) dell’antica arte del barare riguardano sia gli aspetti fisici del gioco, quelli matematici o probabilistici, quelli psicologici, quelli economici, quelli politici e quelli di comunicazione che hanno raggiunto livelli di pura manipolazione. Si bara sui dati di base, si alimenta la paura, si altera il mercato, si corrompono i decisori, si tradisce l’alleato, si sopprime l’avversario, si delegittimano persone e istituzioni, si modificano assetti statali, si altera l’ambiente, si creano false attese e false attività, si negano o nascondono informazioni, si creano crisi, e si mente spudoratamente su tutto ecc.
Ognuno di questi modi di barare è presente in almeno il 95% delle operazioni finanziarie di tutti i livelli. Quelle più importanti e lucrose nazionali e internazionali li comprendono tutti. Nel campo della speculazione finanziaria, tutto si fa tranne che andare a tentoni. Perfino il tempo atmosferico viene gestito da società riconducibili ai grandi complessi bancari e militari che operano a livello globale. In ogni caso è un gioco al massacro da cui nessuno esce immacolato. Se gli speculatori trainano mutuano questo sistema dagli Stati Uniti e dal mondo anglosassone, anche gli orientali non sono da meno. Lo stratagemma per non destare sospetti consiste nel mascherare strategie di aggressione sistematica all’economia con normali attività finanziarie i cui proventi saranno, peraltro, impegnati in attività filantropiche.
Risulta utile anche una analisi delle operazioni sovietiche, dice il Prof. Giaconi Alonzi: “Non per banale colpo al cerchio e alla botte, ma per analisi storica e concettuale. La guerra della “maskirovka” è una tecnica, come dicevano i vecchi analisti francesi, “da debole a forte”, e quindi la potenza informatica e informativa dei grandi Paesi, come gli Usa, moltiplica gli effetti di tali operazioni. Il risparmio sulle operazioni belliche è evidente, infatti esse si mettono in atto ormai solo su quelle che i Paesi dominanti chiamano ancora “rimland”, terre marginali, confini cultural-economici, che devono diventare aree in cui riempire il vuoto creato ad arte con altri pieni, la “democrazia”, la droga (si veda l’Afghanistan attuale) oppure creare, nelle rimland conquistate, Stati cuscinetto da opporre alla penetrazione, economica e finanziaria prima che politica, di altri concorrenti globali. E’ questa tutta la storia della presenza Usa in Asia Centrale, oppure la questione della protezione, che i cinesi fanno molto bene, della loro nuova “Via della Seta”. E qui arriva lo ‘Xingkiang’ ovviamente. La guerra informativa è soprattutto economica, sia nel senso che costa poco, rispetto al dover poi riempire il vuoto creato dalle armi con i propri interessi, e qui il tempo oggi non basta, sia che riguarda i comportamenti economici e finanziari. Perché nessuno oggi mette in dubbio che la BCE o la Banca d’Italia debbano vendere o comprare i titoli del debito pubblico UE dai “clienti secondari”, garantendo loro un diritto d’asta e un ottimo guadagno? Nessuno se lo chiede. Si vende il debito, e quindi occorre “impanneddarlo”, ovvero, come dicono i palermitani, letteralmente, “rivestirlo di carta stagnola”. Vendere un prodotto con alto quoziente politico è dura, non a caso il vecchio Putin, che ha studiato nelle scuole “giuste”, ha detto a suo tempo che lui non farà mai vendite massicce di debito pubblico russo”.
Nell’assenza o nel minor peso del ruolo regolatore dello Stato che consente operazioni massicce di insider trading, ovvero di quelle attività condotte da chi è in possesso di informazioni riservate e rilevanti utilizzandole a proprio vantaggio. È proprio per rispondere a queste operazioni che il Legislatore Europeo ha introdotto la disciplina degli Abusi di Mercato (MAD) o Market Abuse da distinguere dall’aggiotaggio.
Il Market Abuse riguarda due tipologie di illecito: l’abuso di informazioni privilegiate o Insider Trading (usata per guadagnare profitti o evitare perdite) e la manipolazione di mercato ovvero manipolazione artificiale di prezzi di strumenti finanziari attraverso la diffusione di false voci e la negoziazione di strumenti finanziari collegati. Una informazione privilegiata, se resa pubblica, può avere effetti significativi sui prezzi di questi strumenti o sui derivati collegati. In Europa già nel 1989 si fece un primo tentativo di porre un limite a pratiche finanziarie illecite legate alla detenzione di informazioni privilegiate con la 89/592/CEE, recepita in Italia con la legge n.157 del 1991. Insufficiente, evidentemente, a fermare l’estro creativo e l’abilità degli speculatori più esperti, per cui si intervenne successivamente con il TUF o decreto legislativo n. 58/1998. I successivi interventi europei volti ad evitare manipolazioni di mercato e tutelare i risparmiatori, sono approdati alla prima MAD, recepita in Italia con la legge n. 62 del 2005.
La discrezionalità lasciata dalla direttiva 2003/6/CE viene, però criticata, in quanto lascia ai paesi singoli la scelta di intervenire a livello sanzionatorio oltre che preventivo. Questo crea aree di rischio maggiori di altre che, di fatto, indeboliscono l’intera eurozona, mentre occorrerebbe maggiore coordinamento anche per la presenza di connessioni tra il mondo finanziario e quello della malavita organizzata di stampo mafioso. Il procuratore Gratteri ha più volte denunciato la mancata volontà da parte dei paesi europei di rispondere alle richieste di modificare i codici penali in modo da limitare al massimo aree di libertà finanziaria per i malavitosi dal colletto bianco.
L’Italia, ad esempio, è uno dei Paesi accusati di non aver adeguatamente recepito la MAD in quanto non sono adeguatamente tutelati i Whistleblower, ovvero chi denuncia attività illecite rilevate sul posto di lavoro. Inoltre, secondo gli osservatori, il decreto legislativo 107/2018, che recepisce la MAD II ignora completamente la punibilità del tentativo e lascia molte lacune anche nel profilo processuale. Di positivo vi è la designazione di una Autorità nazionale, la CONSOB, incaricata di controllare la corretta applicazione della normativa, vi sono nuove sanzioni penali oltre alla non applicazione del ne bis in idem: cioè si può essere incriminati per più volte per lo stesso crimine.
Il capitalismo ultrafinanziario ha la tendenza ad orientare la politica fino a sostituirsi ad essa decriminalizzando alcuni tipi di frodi attraverso la convergenza di interessi di una serie di ‘pivot’ facenti parte di una rete. Basti pensare alla quantità di uomini delle istituzioni provenienti da gruppi finanziari internazionali in un sistema infinito di porte girevoli. Un sistema che travalica i limiti della geografia politica o del partitismo. Chi giova di questo sistema non ha confini ideologici ma li usa per creare il giusto terreno su cui proliferare nell’humus dei fondi pensione e assicurativi dei comuni mortali. La cordata di Goldman Sachs per l’acciaieria più discussa d’Italia, l’ex Ilva di Taranto, si collega a manovre più ampie giocate sullo scacchiere internazionale e disegna uno schema chiaro teso alla creazione di bolle finanziarie. Uno schema che si allarga a tutte le materie prime, comprese quelle agricole. Qui viene offerto l’esempio della bolla dell’olio d’oliva facilitato da un batterio che poteva facilmente essere gestito e che si è scelto di affrontare con cure draconiane che hanno abbattuto la produzione, generato una crisi irreversibile in uno dei settori più importanti dell’agroalimentare e perdite superiori al miliardo e 200 mila euro. Un modello criminale, se applicato ad altre derrate alimentari, possibile motore di terribili carestie. Un gioco al massacro in cui perde chi sta in basso e vince chi occupa le posizioni più privilegiate.
Fino a che punto i bankster possono danneggiarci?
Estratto dalla tesi del Master in “Intelligence Economica” ed. 2019-2020
Candidata Chiara Madaro
Tutor Marco Giaconi Alonzi, Gen. Fabio Mini
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03Oct
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